di CHRISTIAN MARAZZI*.
(dopo l’intervento di Miguel Mellino su “Il Minotauro Globale” di Yanis Varoufakis, proseguiamo la discussione sul libro del ministro delle finanze greco pubblicando la recensione di Christian Marazzi, uscita nei giorni scorsi su il manifesto)
«Nulla ci rende umani quanto l’aporia: quello stato di intenso disorientamento in cui ci troviamo quando le nostre certezze vanno a pezzi». Così inizia il libro di Yanis Varoufakis, Il Minotauro Globale (Asterios Editore, traduzione di Piero Budinich, Trieste 2015). Il ministro delle finanze greco si riferisce al settembre del 2008, i giorni della crisi della Lehman Brothers e di un’intera epoca, quella del capitalismo finanziario. Ma lo stato di aporia non si è certo dissolto, lo stiamo vivendo in questi giorni di negoziazione tra la Grecia e l’Unione europea, giorni di «guerriglia semantica» se non fosse per la posta in gioco, la conquista di un margine di tempo per avviare quel processo di ricostruzione interno di cui il popolo greco ha drammaticamente bisogno. Di cui tutti noi abbiamo bisogno, se è vero che l’esperimento Syriza, quell’essere «dentro e contro» il sistema monetario e finanziario europeo, rappresenta il primo tentativo di «verticalizzare» i movimenti, di far transitare bisogni, rivendicazioni, aspirazioni dai luoghi concreti e sofferti in cui si esprimono all’unico piano istituzionale adeguato, quello europeo in cui si gioca la partita decisiva. Vecchia tattica per una nuova strategia, e l’avvio, per quanto estenuante, convince.
Oltre il crack
Il Minotauro Globale è un saggio di macroeconomia marxista, scritto per essere letto oltre gli ambienti accademici, risultato di un lungo percorso iniziato con l’economista Joseph Halevi con un primo articolo pubblicato nel 2003 dalla Monthly Review, poi confluito, con la collaborazione di Nicholas Theocarakis, in un libro accademico intitolato Modern Political Economics. Varoufakis cerca di rispondere alla domanda «cosa è realmente accaduto?», ponendo al centro della sua analisi lo squilibrio fondamentale che ha determinato, storicamente, forme diverse di governamentalità geopolitico-finanziaria. «La mia risposta evocativa è: il crack del 2008 ha avuto luogo quando un animale chiamato il Minotauro globale è stato ferito in maniera fatale. Finché governava il pianeta, il suo pugno di ferro era implacabile, il suo dominio spietato». Il Minotauro della nostra epoca prende forma a partire dal 1971 e ha un nome preciso: si tratta dei deficit gemelli statunitensi, quello del bilancio del governo Usa e il deficit commerciale dell’economia americana, deficit che si erano andati accumulando verso la fine degli anni sessanta col venir meno delle eccedenze commerciali (esportazioni) americane e con la crescita delle economie tedesca e giapponese. Invece di ridurre i deficit gemelli, nel corso degli anni settanta gli Stati Uniti decisero di trasformarli in una immensa aspirapolvere tale da assorbire i capitali provenienti dal resto del mondo. Attraverso questo prisma, questa chiave di lettura, scrive l’Autore, «tutto sembra più motivato: l’ascesa della finanziarizzazione, il trionfo dell’avidità, la diminuita importanza degli organismi di regolamentazione, l’egemonia del modello di crescita anglo-celtico. Tutti i fenomeni che hanno caratterizzato quell’epoca improvvisamente appaiono come meri sottoprodotti dei massicci afflussi di capitale per alimentare i deficit gemelli degli Stati Uniti», per nutrire il Minotauro. Varoufakis sviluppa questa tesi con molta intelligenza e eleganza lungo tutto il suo libro, passando dagli anni cinquanta del Piano globale all’epoca della finanziarizzazione, dal fordismo al post-fordismo, sviscerando tutti gli arcani «tecnici» della crisi del 2008 e i suoi effetti devastanti sull’Europa. Non è irrilevante osservare che nel pieno della crisi, già a partire dal 2009, sulle pagine del Financial Times e anche di giornali come l’Economist abbiamo avuto modo di leggere analisi simili alla sua. Si pensi solo agli articoli di Martin Wolf, certamente non marxista, ma tra i più convinti sostenitori della tesi dello squilibrio fondamentale. In una nota finale, Varoufakis scrive: «Dal momento che il Minotauro è stato abbattuto dalla crisi del 2008, tutti ora riconoscono che gli squilibri globali sono un problema – sia a livello internazionale (surplus della Cina nei confronti degli Stati Uniti e dell’Europa), sia in Europa (surplus della Germania nei confronti del resto dell’eurozona». Ma, appunto, ci è voluta una crisi storica per illuminare la notte. E non sembra bastare.
Il rompicapo reale
Ora, cosa succede «quando il despota oppressore si ammala e le ancelle prendono il comando?». È il problema, oggi, dell’Europa e, per quanto riguarda l’Asia, della Cina. La crisi persiste e è destinata a durare perché manca un meccanismo di riciclo delle eccedenze nel cuore di eurolandia. In assenza di tale meccanismo, lo squilibrio tra economie in surplus e paesi in deficit viene gestito con iniezione di liquidità da parte della Bce che però non sgocciola nelle economie reali in disavanzo, ma alimentano il circuito finanziario della speculazione. Le misure d’austerità, inoltre, non riducono certamente gli squilibri, ma li acuiscono, deprimendo la crescita e aggravando la povertà. La lotta della Grecia per intaccare questo squilibrio e l’assenza di una politica monetaria con una Bce che funga da vera banca centrale, ruota attorno a questo rompicapo. È l’epilogo del libro di Varoufakis. Su scala internazionale lo squilibrio fondamentale non sembra aver ancora colpito a morte il Minotauro. Oggi l’Europa ha un surplus commerciale trainato dalle esportazioni soprattutto tedesche (verso gli Usa, ma anche verso la Cina e la Russia). La Cina, seppur in perdita di velocità, continua comunque ad esportare più di quanto importa. Ma, soprattutto, questi paesi, invece di investire al loro interno, continuano a preferire gli investimenti speculativi dei loro risparmi all’estero, e gli Stati Uniti sembrano aver riscoperto il gioco dell’aspirapolvere.
Riprese fittizie
Lo squilibrio fondamentale, almeno nel medio periodo, è destinato a rafforzarsi a causa di politiche monetarie divergenti da una parte e dall’altra dell’Atlantico, con gli Stati Uniti proiettati verso l’aumento dei tassi di interesse (e quindi un rafforzamento del dollaro) e l’Europa avviata verso politiche di espansione della liquidità (e quindi un indebolimento dell’euro). Questa volta, secondo l’Economist, si possono prevedere due pericoli. Uno a breve termine, con la diminuzione delle esportazioni americane a causa sia del dollaro rivalutato e della scarsa domanda dei paesi importatori (come l’Europa e la stessa Cina), sia della riduzione degli investimenti interni, specie nel settore energetico (a causa del basso prezzo del petrolio). La ripresa statunitense rischia quindi di durare poco. L’altro pericolo, ma a medio termine, è una ripresa dell’indebitamento delle economie domestiche americane che, certo, è diminuito nel corso della crisi, ma sta già aumentando, specie nel settore immobiliare. L’eterno ritorno dello squilibrio rende ancor più fondamentale la lotta della Grecia, e la lettura del libro di Varoufakis.
*questo articolo è uscito il 24/2/2015 su il manifesto