Di ROBERTO CICCARELLI
La soggettivazione è il terzo volume delle lezioni tenute da Gilles Deleuze su Michel Foucault tra il 1985 e il 1986 in preparazione dell’importante volume uscito con il titolo secco: Foucault, oggi pubblicato in Italia da Cronopio. Le lezioni sono state raccolte in un volume edito da ombre corte (pp. 200, euro 18), con un’introduzione di Girolamo De Michele, che si aggiunge a quelli intitolati Il sapere e Il potere già recensiti su Il manifesto a partire dal 2014. Possono essere letti di seguito e in maniera incrociata. Insieme sono utili per comprendere l’ampiezza del laboratorio aperto da Deleuze già pochi mesi dopo la scomparsa di un amico così vicino, così lontano. In più, sono il segno di un’amicizia filosofica verso chi gli aveva dedicato una impegnativa sentenza: «Il ventunesimo secolo sarà deleuziano».
AVEVA RAGIONE a scriverlo Foucault nel 1970 nel commento a uno dei libri più importanti della filosofia del Novecento: Differenza e ripetizione pubblicato da Deleuze nel 1968. Era l’evocazione di una centralità che si è presto rivelata tale nel pensiero contemporaneo. Foucault aveva considerato il «rovesciamento del platonismo» operato da Deleuze in una congiuntura del suo percorso. Oggi, al termine del primo ventennio del nuovo secolo, possiamo comprendere questa idea in una più complessiva ricostruzione del pensiero deleuziano, all’interno del quale si inserisce un confronto, non certo occasionale, con le traiettorie dello stesso autore di Sorvegliare e punire.
La grandezza del progetto deleuziano può essere ironicamente apprezzata anche in negativo. Pensiamo alle instancabili falsificazioni di chi lo ha inteso come una filosofia dell’«essere», un «accelerazionismo» capitalista, una teoria «desiderante» del «neoliberismo». Questo progetto è estraneo anche all’ossessione per la teologia politica che contempla il «vuoto», la negatività assoluta e un trascendente elevato a simbolica divinità rimossa. Sono tutte variazioni sul tema che attribuiscono a Deleuze un idealismo assoluto, un vitalismo irrazionalistico o percorsi incastrati nel regime delle antinomie impolitiche e neutralizzanti del postmodernismo criticate da Fredric Jameson nel suo celebre libro omonimo.
L’infondatezza di queste analisi rivela più che altro i problemi dei loro autori e occulta la concretezza dei testi deleuziani, i loro molteplici sviluppi e criticità. La sterile ripetitività di questi commenti è la manifestazione di un clima neo-conservatore che depotenzia la critica del capitalismo di Deleuze (con Félix Guattari) per giustificarlo come elemento insuperabile.
Elementi per un’interpretazione di tutt’altra rilevanza possono essere individuati sin dai Quaderni del carcere di Gramsci, passando dalla Dialettica negativa di Adorno. Come quella di Deleuze, anche queste opere hanno reinventato l’uso di una categoria della metafisica classica come l’«immanenza» nell’elemento di una dialettica diversa da quella formulata dalla tradizione hegeliana del marxismo.
UNA DIALETTICA che non rinvia all’idea di un soggetto autoriferito, o a un’ontologia pura e affermativa, come si ripete di continuo a proposito di Deleuze, ma a concetti ben più articolati come sintesi disgiuntiva, molteplicità o differenziazione in un divenire delle forze, delle prassi e dei poteri. L’«immanenza» è inquadrabile in questa cornice e va intesa come uno dei possibili ripensamenti del materialismo di ispirazione marxiana, già riconoscibile in numerosi ambiti della politica contemporanea.
Questa lettura permette di comprendere, come poche altre, il movimento «che abolisce lo stato delle cose presenti», il concetto con il quale Marx e Engels hanno descritto il «comunismo». Oggi tale movimento può essere inteso come una «soggettivazione» che si esercita, e non può esistere altrimenti che agendo nella storia e nei suoi conflitti. Su questo stesso piano storico di immanenza andrebbero intesi anche il potere, il sapere e la loro critica. Sono ragionamenti ricorrenti anche in altre filosofie materialiste, a cominciare da La critica della ragione dialettica di Jean-Paul Sartre, ad esempio.
A PARTIRE da una ponderata meditazione e intenso lavoro teorico su questi temi leggiamo le pagine de La soggettivazione. Per Deleuze, Foucault è il filosofo della forza considerata il principio regolatore dei rapporti tra il soggetto, il potere e il sapere. Questa forza non è energetica, né l’espressione di una volontà, ma una capacità di produrre un affetto ed è a sua volta l’oggetto di un affetto. In sé la «forza» è un rapporto tra molteplici elementi confliggenti che trovano una coesistenza nell’idea di «governo». Il governo – «invenzione dei greci» sottolinea Deleuze a commento di Foucault – piega il rapporto tra le forze all’esigenza di governare se stessi e gli altri in una prospettiva comune di autodeterminazione. Ancora prima di un organo dello Stato, il governo è una relazione con se stessi e gli altri. È indipendente tanto dalle forme del sapere, quanto dai rapporti di potere. Deriva da loro, ma ne diventa indipendente attraverso la soggettivazione che permette ai subalterni di diventare autonomi rispetto al potere, mentre il potere cerca di catturarli di nuovo, appropriandosi di ciò che gli sfugge.
DA QUI NASCE la sua esigenza di orientare gli individui imponendo l’idea che esista un unico ordine politico dal quale è impossibile uscire. Dall’altra parte, in questo rapporto dialettico si risponde con la resistenza. Elemento precedente alla formazione di un rapporto di potere, la resistenza è irriducibile al movimento che tende a rinchiuderla in una «gabbia d’acciaio».
Deleuze inserisce Foucault in una linea che va da Storia e coscienza di classe di György Lukács a Operai e capitale di Mario Tronti. Questi libri sono i capisaldi del pensiero materialistico dell’immanenza basato sull’idea che la soggettivazione sia irriducibile alla totalizzazione del potere. Inizia quando spezza il circolo dialettico del potere (legalità e repressione) e il modo in cui questo potere inventa regole individualizzanti per recuperare la «fuga» dalle sue minuziose regole interiorizzate.
La teoria della soggettivazione offre un’indicazione pratica importante: la politica si definisce a partire dall’incontro tra lotte trasversali e relazioni tra eterogenei che rompono le istanze del potere omogeneizzante e creano una «pragmatica dell’esistenza» al di là dei rapporti di forza determinati. Significativo, a questo proposto, è il racconto del Sessantotto fatta da Félix Guattari nella lezione del 13 maggio 1986 in continuità con un notevole articolo pubblicato con Deleuze nel 1984, Mai 68 n’a pas eu lieu (Maggio 68 non ha avuto luogo, ora nella raccolta Due regimi di folli e altri scritti, Einaudi).
È UN RACCONTO che fa giustizia di tutte le falsità retrospettive imbastite su un evento che ha modificato le modalità attraverso le quali la politica si soggettiva, e viene assoggettata, in quello che Etienne Balibar ha definito il «capitalismo assoluto». Stiamo parlando di un «movimento generoso e aperto» che, a partire dai femminismi, dagli studenti e dagli operai di allora, si riverbera oggi nei soggetti dominati, imprevisti e molteplici. La soggettivazione è un dispositivo che muta al cambiare delle circostanze storicamente determinate.
Dalla sua comprensione, e pratica di massa, può nascere la rottura nell’uso e nella durata del tempo. È il passaggio a un’altra logica basata sull’uso inclassificabile dell’esistente e diretta verso l’apertura di potenzialità, percezioni, affetti e nuove istituzioni. Al tempo delle politiche di emergenza, del capitalismo delle catastrofi e dell’immunizzazione auto-disciplinante e securitaria contro i virus e per il «bene comune», questo pensiero dell’immanenza va coltivato. Dal suo giardino possono sbocciare mille fiori.
***
Un libro contro il Cine-Capitale
Il «cine-capitale. Il Cinema di Gilles Deleuze e il divenire rivoluzionario delle immagini» di Jun Fujita Hirose, filosofo e critico cinematografico, docente all’Università Ryukoku (Kyoto) è stato pubblicato da Ombre Corte con una prefazione di Ubaldo Fadini. Il libro è una teoria critica del modo di produzione cine-capitalistico che si rivolge a chi intende impegnarsi in un progetto collettivo di riattivazione della teoria generale del cinema, oltre che di critica del capitalismo sulle tracce di Deleuze.
Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il 29 aprile 2020.