Editoriale del COLLETTIVO EURONOMADE
1. Trasformazioni e ristrutturazioni
Vecchio insegnamento marxiano è che il capitale, come rapporto sociale, utilizzi di continuo l’incontro con i propri “fuori”, con tutto ciò che non dipende e non è organizzato dal capitale stesso, come occasione per la propria trasformazione. Non stupisce, quindi, che la lunga crisi, la crisi pandemica ma anche il suo innesto sulla crisi di lunga durata che l’ha preceduta, si presenti ora con i tratti della riconversione. Scherzando, ma non troppo, si potrebbe dire che lo slogan che tanto ci era piaciuto durante la primavera di lockdown del 2020, quello slogan apparso in Cile per cui alla normalità mai saremmo voluti tornare, essendo proprio la normalità il problema, sia stato alla fine fatto proprio dal capitale. Alcune trasformazioni sono evidentemente accelerazioni di processi preesistenti alla pandemia: l’espansione del capitalismo delle piattaforme si iscrive in una durata più lunga e precedente alla frattura del Covid-19. È buona igiene mentale – e politica – però resistere alla tentazione di derubricare a mera “ideologia” tutta l’insistenza delle attuali governance sull’innovazione e sulla riconversione, ecologica o digitale. Il fatto che si sia davanti a un tentativo di profonda ristrutturazione va assunto in tutta la sua realtà. Come esempio – ma esempio decisivo per la sua importanza – spicca l’effettiva imponenza quantitativa del piano Biden per gli investimenti strutturali, del quale nei giorni scorsi, dopo una battaglia non facile al Congresso, è stata approvata la prima tranche. Le categorie con cui abbiamo letto la crisi finanziaria del 2008 non reggono all’impatto di questa nuova fase: l’austerity è evidentemente archiviata, e sostituita da una capacità di investimento assolutamente inedita. Ma insieme all’austerity, va in archivio anche l’idea di omogeneità di fondo, sulla scala globale, dei movimenti del capitale. Un intervento interno di investimento strutturale così massiccio non coincide per nulla con il riproporsi di un rilancio dell’egemonia americana vecchio stile: è anzi significativamente contemporaneo al ritiro precipitoso dall’Afghanistan, a segnare la consapevolezza dell’insostenibilità di quel ruolo egemonico di fronte alla nuova mappa delle relazioni globali, caratterizzata da un policentrismo irriducibile, a partire, evidentemente, dalla presenza della sfida cinese.
2. Grande è il disordine, sotto il cielo e sulla terra
Intendiamoci: che siano finiti come tendenza generale l’austerity e il dogma del pareggio di bilancio, e che sia assunto oramai anche dal mainstream e dalla stessa governance che “money is not a concern” (così Draghi a Glasgow…), non toglie il fatto che la nuova fase si presenti anch’essa con fortissime contraddizioni, all’insegna della difesa delle diseguaglianze e della riproduzione della povertà e delle gerarchie di classe, di genere e di razza. Rilevatrice, in questo senso, è l’insistenza sul fatto che il debito dovrà essere finalizzato a criteri di valutazione strettamente ancorati a un modello di produzione tutto incentrato sulla centralità dell’impresa, in profondissima e decisiva contraddizione con la necessità – pur invocata da tante parti durante il primo periodo dello stop pandemico – di ripensare politiche di sostegno alle strutture di base del welfare e della riproduzione sociale. Sarà decisivo, però, perché i movimenti sociali possano esercitare una spinta decisiva all’interno di queste nuove contraddizioni, essere consapevoli che l’ingresso in una fase espansiva riapre in ogni caso il campo all’azione politica e crea nuove possibilità di intervento in questo campo conflittuale tra sostegni alla “produzione” e bisogni fondamentali della riproduzione sociale.
Insistiamo, quindi: è impossibile oggi pensare il capitale e i suoi movimenti in una chiave unitaria. Nessuno stop della globalizzazione, come troppo semplicisticamente si era profetizzato negli anni scorsi da parte dei sovranisti: i movimenti del capitale non preannunciano nessun ritorno a geografie nazionali, ad un ritorno della supremazia delle decisioni statali sui processi della produzione. Nessun ritorno della supremazia del Politico nazionale e “sovrano” sull’economico è alle porte. Piuttosto, la globalizzazione capitalistica è segnata dalla moltiplicazione delle differenze, che ne mettono in discussione la classica lettura unitaria: quella, per intenderci, che il ciclo dei movimenti critici della globalizzazione raffigurava nell’immagine polemica del “pensiero unico neoliberale”. Come non appare più segnato dai dogmi dell’austerità e dell’equilibrio di bilancio, saltati di fronte alle nuove esigenze espansive di intervento e di spesa, così il neoliberalismo – sempre che sia ormai utile utilizzare un concetto così esteso e onnicomprensivo – appare ben consapevole dell’impossibilità di omogeneizzazione, e anzi valorizza sempre più la capacità del capitale di funzionare attraverso la connessione e la valorizzazione delle differenze. Differenze che impongono, sul piano geopolitico, un abbandono delle vecchie modalità di egemonia, nel tentativo di esercitare invece una maggiore capacità di intervento puntuale e selettivo nella diversità irriducibile e plurale dei conflitti, come mostra di voler fare, almeno nelle intenzioni, la nuova politica estera degli Stati Uniti.
Ristrutturazione e differenza sono, fino a questo punto, l’anima della trasformazione del capitale. L’incontro del capitale con i suoi limiti non sta però solo nella sua capacità di fare della crisi un motore di trasformazione, e del limite un nuovo terreno di conquista. Sta anche, per richiamare di nuovo un elemento marxiano che risuona nell’attualità, nel fatto che il limite del capitale è l’accumulazione stessa: la necessità di estrarre valore ne impedisce la chiusura autoreferenziale, ne ribadisce continuamente la natura di rapporto sociale. In termini concreti: proprio mentre affronta la sua trasformazione espansiva e la sua ristrutturazione nel segno delle differenze, l’accumulazione capitalistica si rivela sempre più esposta all’incontro con i suoi “fuori”: sempre più necessari all’accumulazione, ma sempre dotati di relativa autonomia rispetto ai movimenti del capitale.
La ristrutturazione, la transizione, la ripresa non avvengono nel vuoto, ma in un pieno di relazioni sociali, di soggettività, di ambiente e risorse che si presentano come limiti esterni, non solo come ostacoli interni alle trasformazioni del capitale. Costituiscono al tempo stesso le nuove condizioni dell’accumulazione e l’attrito, l’elemento di resistenza che i rinnovati regimi di accumulazione incontrano.
3. I limiti del capitale
I movimenti globali oggi stanno esattamente esprimendo l’imprescindibilità e, insieme, la capacità di sviluppare resistenza di quelle condizioni necessarie per la stessa ristrutturazione del capitale. Sono le zone di confine della riproducibilità dei rapporti di capitale: ma proprio la grande ristrutturazione in corso le rende sempre meno regioni semplicemente esterne, e sempre più terreno centrale su cui si esercitano i processi di accumulazione.
Riproduzione, ambiente, cooperazione: sono i terreni indispensabili alla ristrutturazione del capitale e insieme, i terreni in cui questi processi di ristrutturazione incontrano attrito, devono confrontarsi con limiti esterni alla organizzazione dei processi produttivi. Le necessità dell’accumulazione qui confliggono con l’autonomia della cooperazione, con la priorità della riproduzione e della cura, con l’urgenza della catastrofe climatica. La ristrutturazione del capitale smette di essere un’operazione, per quanto inedita e massiccia, tutta interna alla ripartenza dell’accumulazione e incontra un limite esterno all’accumulazione stessa. Una faglia di resistenza che infatti costringe il capitale a stringere le maglie della governance, a imporre pesanti condizionamenti alla direzione dei flussi di spesa, ad accompagnare la ristrutturazione con continue strette disciplinari e selettive. A stringere in una morsa autoritaria governance globale ed esercizio del governo.
Tra la scala d’azione del capitale e le resistenze sui terreni “esterni” su cui l’estrazione si esercita, si apre una faglia profonda, che rende estremamente complicata la capacità di azione politica in grado di incidere efficacemente. Tra la cooperazione com’è valorizzata dal capitale, connessa nelle reti e riprodotta dall’algoritmo, e la cooperazione come esperita dalle soggettività si apre una distanza che impedisci qualsiasi “transitività” immediata fra lotte e sviluppo, come poteva essere tradizionalmente pensata nell’organizzazione delle lotte. È lo statuto ambivalente della cooperazione che oggi si divarica: precondizione e limite “esterno” dei movimenti del capitale, e, contemporaneamente, oggetto e prodotto della capacità del capitale di connettere differenze, Da qui, l’estrema difficoltà soggettiva che attivismo e movimenti incontrano nel fronteggiare questa fase di trasformazione espansiva del capitale. Ma è su questo terreno, su questi “fuori” relativi che fungono da frontiere essenziali della stessa ristrutturazione, sull’incrocio tra cooperazione, riproduzione, natura, che si apre oggi il lavoro di inchiesta necessario a superare il disorientamento di fronte a trasformazioni del capitale, che non è più possibile affrontare con l’armamentario maturato all’interno delle contestazioni dell’austerity.
4. Il caso Italia
Il caso italiano è sicuramente un esempio molto chiaro di queste tensioni. L’intervento europeo è meno audace, nelle dimensioni, del piano statunitense: la contraddizione però tra l’intervento finanziario e i condizionamenti e le finalità dell’intervento sembrano ancora più evidenti. Il governo Draghi conferma l’apertura dei flussi di finanziamento, sia la centralità dell’impresa capitalistica. La disponibilità a contrarre debito va di pari passo con un’insistenza paradigmatica sulla distinzione tra debito buono e debito cattivo: i parametri della valutazione della presunta bontà del debito però non rompono minimamente con l’assoluta centralità della crescita produttiva a breve termine e sull’aumento del PIL. L’approvazione della legge finanziaria avviene perciò nel quadro di una forsennata campagna contro il già debole ed equivoco reddito di cittadinanza: il risultato è che gli unici interventi di rilievo vanno nel segno di un’ulteriore stretta sulle condizionalità del reddito, rendendolo ancora di più uno strumento di fragilità e precarizzazione. La ripresa draghiana considera un welfare universale debito pessimo, probabilmente un ostacolo a una messa a disposizione sempre più precaria e controllata di forza lavoro, al servizio dell’imperativo della centralità del profitto d’impresa. Lo spazio di azione delle destre, sia politiche che confindustriali, resta molto ampio, e capaci di determinare occasionalmente anche maggioranze esplicitamente reazionarie, come si è visto con l’archiviazione del disegno di legge Zan.
La reazione di piazza immediata nelle manifestazioni contro la bocciatura del ddl Zan ha un’importanza e un’esemplarità da cui è secondo noi importantissimo apprendere, se si vuole costruire un’azione di opposizione credibile alle politiche del governo italiano. Sono state piazze importanti, e con tratti assolutamente inediti, sia per il dato generazionale, sia per la capacità di rompere con identitarismi, marginalismi e passioni tristi. E, dato il periodo, non era affatto scontato che si manifestassero con questa forza e soprattutto con questa capacità innovativa. Nel loro chiedere “moltopiùdizan”, hanno manifestato tutta la distanza tra gli imperativi disciplinari, familistici, spesso francamente autoritari (che anche le indicazioni sulla gestione dell’ordine pubblico stanno plasticamente confermando) che guida il governo della “ripresa” e una capacità di riappropriarsi di autonomia con tratti largamente inediti. Imparare da queste piazze, e comprendere queste tendenze, ci sembra fondamentale per i movimenti.
5. Una “sana ventata” individualista
Se da una parte queste piazze ci confermano sulla priorità del valore politico della riproduzione sociale, in tutte le sue articolazioni, dall’altra registriamo l’affermarsi sulla scena pubblica di istanze pseudo-libertarie di ispirazione variamente populista e neofascista, che rinviano a un’idea quasi ottocentesca di libertà negativa, coniugata a una percezione proprietaria, e altrettanto anacronistica, del proprio corpo. Alcune mobilitazioni cui abbiamo assistito nelle ultime settimane segnalano la riproposizione di una libertà “maschia”, nuovamente spacciata per universale ma invece fortemente connotata da sessismo e disprezzo delle identità minoritarie e “altre”. La razionalità neoliberale si appropria così di un altro caposaldo delle politiche di liberazione delle donne e delle minoranze che a partire dagli anni Sessanta hanno segnato la via della liberazione dei corpi e delle vite dalla costrizione dei ruoli di genere e dalla segregazione sociale: il diritto di autodeterminazione oggi reinterpretato come valore contrapposto alla solidarietà e alla dignità di ciascun@ e di tuttx. È una nuova ventata individualista che tenta di oscurare le molteplici sperimentazioni di messa in comune delle nostre vite, di mutualismo e solidarietà fondamentali nelle fasi più dure della pandemia per la tenuta complessiva del tessuto sociale e ancora vive nelle città, sebbene ora oscurate dal rilancio dei consumi e della retorica produttivistica.
6. Che fare
Nonostante questi buchi neri, siamo convinti che il conflitto per rovesciare questo governo della ripresa, a partire dalla priorità della riproduzione sociale sugli imperativi “veteroproduttivistici” e sugli egoismi proprietari, resta del tutto aperto, proprio per le caratteristiche dinamiche e incerte di questa fase, su cui abbiamo insistito. Proveremo a nutrire ricerche e inchieste che indaghino su queste frontiere della riproduzione: sulle forme della cooperazione, e sui modi di costruire dalla cooperazione il comune, dentro le molteplici e differenti espressioni di quella cooperazione e contro il rafforzamento dei dispositivi proprietari; sull’organizzazione del capitalismo digitale e delle piattaforme, dove la rete costituisce a un tempo potenziamento e cattura di quella cooperazione; sulla produzione intersezionale di soggettività e sui dispositivi di costruzione identitaria, che catturano quella produzione, riconfinandola e disciplinandola nelle forme necessarie alla valorizzazione. Cantieri di ricerca che hanno evidentemente l’intenzione di contribuire a sviluppare, nelle zone di impatto della ristrutturazione capitalistica, dei contropoteri stabili e duraturi, che siano all’altezza delle molteplici e differenziate operazioni del capitale.
Se volete inviare un contributo per le sezioni “Europa/Mondo“, “Capitalismo digitale“, “Comune/Metropoli” o “Povero Yorick” scrivete a redazione.euronomade@gmail.com indicando nell’oggetto il titolo della sezione.
Europa/Mondo.
A cura del COLLETTIVO.
Le singole sezioni del nostro sito costituiranno i nodi di questo laboratorio. La sezione Europa sarà denominata, più adeguatamente, Europa/Mondo, nella convinzione che è ancora più vero che in precedenza che è assolutamente impossibile provare oggi un’interpretazione europea se non guardandola dall’esterno, e collocandola all’interno della crisi e ristrutturazione delle catene del valore globale. NextGenerationEu e i piani nazionali di ripresa e resilienza non sembrano in Europa configurare l’analogo dell’intervento interno statunitense e scontano evidentemente la crisi di lunga durata del progetto europeo: nonostante ciò, si tratta pur sempre di una netta inversione rispetto alle politiche di austerity, che va indagata alla luce di quella rottura della presunta monolicità del neoliberalismo di cui dicevamo. Contemporaneamente, la crisi del progetto europeo si rende manifesta alle sue frontiere: la connessione delle lotte sull’attraversamento dei confini con le lotte “interne” sulla trasformazione radicale della cittadinanza europea è un’urgenza politica fondamentale per l’azione dei movimenti. L’analisi delle diverse scale su cui si dispongono i processi globali, vorrebbe aprire, in Europa/Mondo, alla discussione che ci sembra politicamente più urgente: quella sull’attualità di un radicalmente rinnovato orizzonte internazionalista per le pratiche politiche. In seguito troverete le introduzioni al lavoro di inchiesta e di ricerca che si propongono le nuove – o rinnovate – sezioni del sito. Le abbiamo intese anche come piccole call, per cercare risposte, idee e proposte per la costruzione di questi nuovi nodi di indagine.
Capitalismo digitale
a cura di CLARA MOGNO e TANIA RISPOLI
Come si muove e produce valore il capitale lungo le maglie della rete digitale? Quale l’impatto, sociale, economico, produttivo, e ambientale, che produce l’uso delle tecnologie nel capitalismo 4.0? Quali i processi di estrazione di ricchezza e i nuovi rapporti di potere che si instaurano nell’interconnessione tra virtuale e reale? E poi, quali le strategie esplorate e quali da inventare per solcare la rete inventando e producendo nuove forme di contropotere che siano intersezionali? A queste domande dedichiamo la sezione “Reti”, che cambia nome e diventa “Capitalismo Digitale”.
La pandemia ha mostrato con ancora più evidenza come le piattaforme siano strumenti eccezionali per connettere realtà e singoli nella creazione del comune e nell’organizzazione e strutturazione di contro-informazione, pratiche partecipative inedite, processi di rivendicazione, soggettivazione, e lotta. Allo stesso tempo però, con la loro pervasività, hanno aumentato il tempo di connessione e di lavoro, mentre tramite i processi di concentrazione hanno aumentato vertiginosamente i loro profitti.
A partire dai contributi raccolti qui e dai lavori che il collettivo EuroNomade ha condotto negli ultimi anni apriamo un percorso di ricerca e interrogazione collettive che mira a produrre nuovi strumenti ermeneutici e di lotta dentro e contro la rete. Raccogliamo interviste, recensioni, testi inediti, e materiali alla mail della redazione.
Comune/Metropoli
a cura di CHIARA GIORGI, MARIA ROSARIA MARELLA, UGO ROSSI
Oltre la crisi riproduttiva, sanitaria, ecologica e urbana: per una politica del comune
Con il miglioramento della situazione sanitaria, il ritorno alla cosiddetta normalità sta delineandosi come una grande operazione di rafforzamento delle condizioni pre-pandemia. Questi ci appaiono gli elementi principali che caratterizzano la fase attuale di ripristino della normalità in chiave conservatrice e per molti aspetti reazionaria:
- la centralità delle infrastrutture della riproduzione sociale nuovamente oscurata di fronte al rilancio in grande stile di produzione e consumi;
- progetti di privatizzazione della sanità pubblica che dopo la grande paura tornano più agguerriti che mai;
- una forte ripresa delle politiche di privatizzazione dello spazio urbano nel quadro di una nuova stagione di turistificazione e gentrificazione sempre più spinte delle città;
- la questione ambientale che assume connotati ambigui e contraddittori, se non minacciosi, con il nucleare che torna fra le pieghe della cosiddetta transizione ecologica, mentre con ogni evidenza si apre una nuova fase di sfruttamento che la macabra lista delle quotidiane morti sul lavoro conferma tragicamente.
La crisi strutturale cui assistiamo oggi – al tempo stesso riproduttiva, sanitaria, ecologica e urbana – richiede di mettere in campo una politica del comune capace di cogliere la multi-dimensionalità del sistema di dominio capitalistico sulle nostre vite.
Povero Yorick
A cura di GIROLAMO DE MICHELE e ROBERTA POMPILI
Il Povero Yorick è stata la nostra “storica” sezione di approfondimento degli stili, dei linguaggi, dei conflitti “culturali”. Il terreno dei conflitti culturali è evidentemente diventato, senza alcuna sorpresa da parte nostra, il luogo della ridefinizione delle intersezioni, della produzione di coalizione e di assemblaggi, così come anche il luogo della cattura all’interno di recinti identitari e di rinati essenzialismi. Senza sorpresa, dicevamo: perché il luogo della produzione di soggettività, con buona pace di chi si attarda ancora alla ricerca di supposte gerarchie tra conflitti “materiali” e “culturali”, o, nel peggiore dei casi, tra diritti “civili” e “sociali”, è oggi esattamente il luogo in cui si definisce la capacità di connettere e valorizzare le differenze che è al cuore del capitalismo contemporaneo. Per noi, il terreno che occupa sempre più spazio nella ridefinizione delle lotte “culturali” va riconquistato alla centralità – questa sì davvero e robustamente materiale – del nesso tra la produzione di soggettività e la centralità della riproduzione sociale. È questo il terreno su cui si installa – e a cui va riportata – la capacità politicamente produttiva dell’intersezionalità – e in generale la capacità delle linee di razza e di genere di non eludere, ma di ridefinire potentemente le linee dei conflitti di classe. Il terreno della riproduzione, sempre più terreno di valorizzazione e di ricattura per il capitale non è liscio, è sempre stato attraversato da contraddizioni e conflitti, ieri come oggi. Pensiamo per esempio alle nuove tecnologie riproduttive, che erano state pensate con l’intento di sostenere con la fecondazione assistita, la riproduzione di un certo “tipo di famiglia”. Di fatto, come fu per la separazione fra sessualità e riproduzione grazie all’arrivo della contraccezione, la separazione tra procreazione e filiazione ha aperto a nuove ridescrizioni/immaginazioni della parentela, a rivendicazioni e a conflitti di una nuova soggettività.
D’altra parte, le recenti teorizzazioni femministe hanno sottolineato l’importanza di una nuova etica e sensibilità, una respons/ability che cambia drasticamente il segno di questa idea particolare di riproduzione, sviluppando ad esempio il concetto politico di interdipendenza e di cura. Questa idea va letta contestualmente all’emergere di una nuova soggettività tecnologicamente connessa post-umana, post-relazionale, post-identitaria che si è fatta largo attraverso le grandi trasformazioni economiche, politiche sociali e ambientali e le drammatiche “crisi” migratorie, climatiche e ambientali, pandemiche. Movimenti di straordinaria importanza pongono materialmente nuove domande su bisogni e desideri sulla riproduzione/cura/interdipendenza della vita: Refugees Welcome, Non Una Di Meno, Black Lives Matter, Friday For Future. Mentre il capitalismo contemporaneo procede accumulando su tutta la terra il valore frutto dello sfruttamento, dell’oppressione, della finanziarizzazione e dell’estrattivismo sulle vite umane e non umane, l’eterogeneità delle sue operazioni corrisponde a una eterogeneità di mondi, di forze del “lavoro vivo”. Un pluri-verso attraversato da una molteplicità di soggetti, la cui possibilità di agire è legata ai mutevoli posizionamenti conoscitivi, sempre parziali e provvisori. Il sapere/conoscenza del passato era proprio dell’individuo, soggetto storico nel rapporto con la proprietà privata, lo stato e la famiglia che operava con i suoi modelli conoscitivi organizzati nelle dicotomie di razionale/irrazionale, natura-cultura sviluppatisi dall’illuminismo in poi nel pensiero politico. Di recente diversi autori hanno preso distanza dalla posizione dell’epistemologia tradizionale che implica un soggetto consapevole e i suoi costrutti (una figura prominente nella narrazione della modernità), privilegiando l’idea per cui le persone fanno parte delle configurazioni in corso del mondo, la conoscenza deve essere trattata come una parte dell’essere. Questa critica al modello trascendente e universale della conoscenza, all’idea tradizionale di riproduzione ci serve per operare un salto immaginativo, un indispensabile strumento per operare nel presente e aprirci alla prospettiva di un futuro come costruzione culturale. Occorre operare sul livello di una nuova astrazione. Una immaginazione di/per/con soggetti con conoscenze provvisorie e parziali, che apra a relazioni epistemiche oltre le rarefazioni delle coppie oppositive, dualismi e dicotomie, che produca circuiti ibridi di pratiche e saperi. Una ontologia politica che riguardi la cura di mondi divergenti e insieme interdipendenti che si verificano costantemente attraverso negoziazioni, intrecci, incroci e interruzioni.