di MARTINA TAZZIOLI.
A due anni dalla dichiarazione dell’ UE di una “crisi dei rifugiati” in Grecia, nel 2015, il contesto greco diventa per le istituzioni europee e per le autorità greche stesse uno spazio di “post crisi”, stando alle narrazioni delle agenzie europee. A sancire la transizione verso una fase di “post crisi” sono, secondo la Commissione europea, i numeri degli arrivi di migranti via mare che hanno effettivamente subito un drastico calo dal 20 marzo 2016, data dell’ entrata in vigore dell’ accordo bilaterale tra UE e Turchia, noto come UE-Turkey Deal. Da quel giorno le geografie e le pratiche del controllo della mobilità dei e delle migranti si sono radicalmente riassestate, sia in mare che sulla terraferma.
Tuttavia, seguire la politica e la logica dei numeri degli arrivi significherebbe corroborare la narrazione dell’esistenza di una “crisi dei rifugiati”. ripetutamente proposta non solo dagli stati e dalla Commissione europea, ma anche dalle stesse ONG e dalle organizzazioni internazionali che rendono possibile il funzionamento di hotspots come quello di Moria, sull’ isola greca di Lesvos. Se dagli arrivi spostiamo lo sguardo sugli effetti di contenimento, sia in termini di confinamento spaziale che di sospensione temporale, prodotti dalle politiche migratorie e dagli accordi bilaterali, la Grecia appare oggi uno spazio-hotspot per i migranti che arrivano e per coloro che sono nel paese dal marzo 2016. Da luogo di transito e prima “tappa” europea del “Balkan corridor”, la Grecia è divenuta uno spazio di confinamento prolungato, da cui in molti tra i richiedenti asilo, sono forzati a ripartire in direzione opposta rispetto alla rotta balcanica, vale a dire verso la Turchia. Sulle isole greche dove si trovano gli hotspots (Lesvos, Chios, Samos, Kos e Leros) vi sono, stando ai numeri resi pubblici dal governo greco, circa 13 000 richiedenti asilo, mentre 1800 sono le persone, principalmente provenienti da Pakistan, Siria e Algeria, che sono stati deportati in Turchia, sulla base dello EU-Turkey Deal, attraverso i trasferimenti settimanali che avvengono con i traghetti di linea dalla città di Mitilini, sull’ isola di Lesvos. Per quanto i canali delle deportazioni verso la Turchia stiano procedendo a un’intensità maggiore rispetto al 2016, la maggioranza dei migranti che riescono ad arrivare sulle coste greche senza essere respinti dalla Guardia Costiera turca, restano “prigionieri delle isole”, come dichiara D., un ragazzo maliano bloccato sull’isola di Chios dall’ aprile dello scorso anno.
L’etichetta “post crisis” attribuita alla Grecia dall’ Unione europea ha, come ovvio, una portata politico-economica molto tangibile, ben oltre il piano discorsivo. Di fatti, dal 1 agosto i fondi versati dall’ UE alla Grecia verranno ridotti drasticamente, e avrà inizio una lenta transizione da una gestione della “crisi” a marchio Unione Europea verso una supportata in gran parte dalle autorità greche. Transizione che dovrebbe compiersi teoricamente entro fine anno, e che vedrà come prima ripercussione la partenza dalle isole di molte organizzazioni internazionali, come Save the Children e Doctors of the World. Attorno ai fondi UE si sta giocando infatti una battaglia tra governo greco e istituzioni europee, che ha nei rifugiati stessi la principale moneta di scambio. Una battaglia giocata prima di tutto sul piano dei numeri: 62 000 richiedenti asilo sarebbero ospitati nel paese, secondo il governo greco, 47 000 secondo l’ UE, con quest’ultima che si riferisce alle statistiche fornite da UNHCR. In base al numero dei richiedenti asilo, di fatti, sono stati erogati i fondi dell’ EU Internal Security Funding, che ha finanziato molti dei campi per rifugiati e gli stessi hotspots, e dello Humanitarian Aid and Civil Protection funding (ECHO). È attraverso ECHO che sono nate nuove ONG greche negli ultimi due anni; e, più in generale, ECHO costituisce la principale linea di finanziamento attraverso cui il laboratorio greco delle politiche migratorie ha man mano preso piede. La Grecia è infatti al momento uno degli spazi più interessanti attraverso cui osservare le riarticolazioni tra logiche umanitarie, pratiche securitarie, e forme di capitalizzazione economica.
In particolare, la Grecia è diventato il primo paese UE in cui si sta sperimentando un progetto europeo di finanziarizzazione delle misure di supporto ai richiedenti asilo in cooperazione con UNHCR. Refugee cash assistance programme è il nome della piattaforma unica con cui vengono distribuite carte di debito ai richiedenti asilo dallo scorso aprile; progetto in cui sono state incluse tutte le ONG che operano nei campi di rifugiati o negli hotspot in Grecia. Per parlarne parto dalle gabbie di Moria, l’hotspot più narrato dai media europei e anche quello maggiormente sotto accusa per il sovraffollamento costante e la permanenza forzata di migranti al suo interno, in attesa che le domande di asilo vengano processate. L’ hotspot di Moria, in cui al momento sono bloccate circa 3200 persone, costituisce punto nevralgico delle politiche migratorie europee e, al contempo, lente attraverso cui guardare l’ Europa, è un luogo di confinamento noto per i livelli concentrici di filo spinato, ben visibili anche dall’esterno, che dividono in modo gerarchico i migranti all’interno, in base alla nazionalità. Dall’esterno tuttavia non si riesce a cogliere molto più che questo, oltre ad osservare la complessa economia del campo, che sconfina rispetto al muro esterno dell’hotspot, in particolare da quando ai migranti è stato concesso di uscire durante il giorno.
L’hotspot, luogo ad accesso ristretto per eccellenza, ha tuttavia i suoi canali di ingresso possibili, in particolare quando si riesce a vestire una casacca di una ONG, che ho indossato per un giorno, con l’obiettivo di assistere alla distribuzione mensile delle debit cards ai migranti effettuata dall’organizzazione americana Mercy Corps. Appena varcato il cancello principale, l’economia spaziale dell’hotspot è visibilmente scandita dalle gabbie concentriche e dal filo spinato che avvolge ogni settore del campo. Le zone A, B e C, sono destinate ai “soggetti vulnerabili” in maggioranza famiglie siriane, e a donne sole. L’etichetta “vulnerabili” comporta che al cancello di ognuna di queste gabbie-settori vi sia un volontario, dell’ONG Eurorelief che impedisce ai rifugiati degli altri settori del campo di entrare, e, in nome della protezione, respinge con forza all’interno un minore che prova ad uscire nel cortile antistante. Vulnerabilità che tuttavia, come spiegano gli operatori di MSF, spesso non viene riconosciuta da UNHCR quando resta non-visibile, come nel caso di torture e violenze sessuali subite dalle e dai migranti.
Oltre ai settori “protetti” anche le altre zone dell’hotspot sono ad accesso limitato: per accedervi, ogni residente dell’hotspot deve mostrare un braccialetto che accerta la propria apparenza a quell’area di tende o containers. I nomi di queste zone del campo – “Pakistani sector” e “African compound” e “North African sector” – indicano di fatto i criteri di diniego, ovvero di chi, tra gli abitanti di Moria, ha quasi la certezza di non ricevere lo status di rifugiato. Come si può evincere, a giocare un ruolo determinante nelle “selezioni” effettuate dallo European Asylum Support Office (EASO), sono le nazionalità: i cittadini di nazionalità pakistana sono tra i più soggetti alle deportazioni verso la Turchia, e l’aumento visibile di migranti algerini a Lesvos ha significato per loro un tasso diniego pressoché totale Il filo spinato avvolge anche l’ area in cui si trovano i containers di EASO e UNHCR: un filo di protezione, lo definisce il poliziotto che sorveglia la lunga fila di migranti fuori dall’ufficio di EASO, in seguito alle numerose rivolte avvenute nell’hotspot a fronte delle attese infinite prima che le domande di asilo vengano processate, o addirittura per depositare la domanda di asilo.
Con l’implementazione dello EU-Turkey Deal, chi viene dichiarato “inammissibile”, e dunque preventivamente escluso dai canali dell’asilo, così come chi riceve il diniego della protezione internazionale, viene trasferito nel pre-removal center interno a Moria, in attesa di essere deportato in Turchia. Una prigione nella prigione, dove si perdono le tracce di chi entra: non ci sono numeri ufficiali sulle persone detenute: richiedenti asilo che venivano seguiti per assistenza medica o che ricevevano la ricarica mensile della carta di debito, improvvisamente spariscono.
Tuttavia, in parallelo ai circuiti di filo spinato che delimitano i gradi di esclusione differenziale dai canali dell’asilo, vi sono altri circuiti non-visibili e immateriali che convergono negli hotspots e nei centri di accoglienza in Grecia. Questi sono circuiti di dati e informazioni che prendono forma a partire da una presa umanitario-finanziaria sulle vite dei e delle migranti, e in particolare su ciò che UNHCR stesso definisce le “popolazioni transnazionali in transito”. Gli stessi migranti che sono bloccati a Moria da un anno o più e a cui sarà molto probabilmente negata la protezione internazionale e dunque il diritto di restare in Europa, sono al contempo oggetto di misure di estrazione di valore dal loro stesso permanere in quel luogo. Non mi riferisco qui a ciò che in letteratura è stata definita la “migration industry”, ovvero l’economia che ruota attorno alla gestione dei centri di detenzione e di accoglienza, né al profitto ricavato dalle grandi corporation che producono nuove tecnologie per rafforzare i confini o identificare i migranti. I circuiti di cui parlo sono piuttosto l’esito dell’introduzione di nuovi modi di digitalizzazione e finanziarizzazione delle forme di intervento umanitario e di supporto monetario nei confronti dei richiedenti asilo. Questo si concretizza nell’erogazione di carte di debito Mastercard, con il logo di UNHCR e di ECHO, a tutti coloro che all’interno degli hotspots e dei campi greci vengono dichiarati da UNHCR “people of concern”. L’attore finanziario coinvolto è Pre-Paid Financial Services con sede a Londra. Per ogni carta rilasciata, UNHCR paga una commissione di 6 euro a Pre-Paid Financial Services, e una tassa è prevista anche ogni transazione effettuata da ciascun richiedente asilo, cosi come per ogni ricarica mensile. Solo sulle isole, ogni mese vengono rilasciate circa 500 nuove carte, e a Lesvos si ricaricano circa 2500 carte ogni volta.
21 luglio 2017: La squadra di Mercy Corps entra dentro Moria di prima mattina, come ogni mese per effettuare la registrazione dei nuovi “beneficiari” e la verifica di coloro che già hanno una carta. Non è secondario in questo contesto che il termine “beneficiario” stia man mano rimpiazzando quello di “asylum applicant” nelle dichiarazioni rilasciate sia da UNHCR che dalle varie ONG che operano in Grecia. La verifica mensile consiste nell’accertarsi che le persone in possesso di una debit card UNHCR siano effettivamente nell’hotspot e che i loro documenti siano ancora validi – il permesso temporaneo della polizia greca o l’asylum card rilasciata dopo aver depositato la domanda di asilo nell’ufficio di EASO. I poliziotti dell’umanitario-finanziario procedono tenda per tenda, container per container dentro l’hotspot, tra i vialetti circondati da filo spinato: i dati contenuti nel documento valido vengono aggiornati e inseriti negli Ipad di Mercy Corps e in un secondo momento verranno comunicati a UNHCR che detiene il controllo sul database generale dei “beneficiari” del cash assistance programme e sulle transazioni da loro effettuate. Il documento viene fotografato accanto alla carta, e al “beneficiario” viene chiesta conferma della tenda o container in cui vive nel campo. Inevitabilmente, l’introduzione delle carte di debito ha dato luogo a geografie di appropriazione da parte di alcuni migranti, che fanno ritorno a Lesvos da Atene nel giorno del mese in cui Mercy Corps ricarica le carte, presentandosi come abitanti dell’hotspot.
L’espressione “financial inclusion”, sempre più usata da UNHCR riecheggiando i documenti della World Bank, è alquanto fuorviante se mobilitata per descrivere i processi di finanziarizzazione della mobilità e della permanenza temporanea dei richiedenti asilo. Infatti, tenda dopo tenda, la verifica e registrazione effettuata da Mercy Corps ha come esito una percentuale rilevante di migranti esclusi dal programma di cash assistance, anche a causa della chiusura frequente dell’ufficio di EASO, che spesso trattiene i documenti che devono essere rinnovati. In altre parole, la presa umanitario-finanziaria sui rifugiati si basa su un accesso controllato e ristretto agli stessi circuiti bancari, che si concretizza nell’esclusione di molti migranti, addirittura tra coloro che sono a tutti gli effetti legalmente nel Paese, ma che per svariate ragioni non hanno un foglio di carta originale che lo attesti.
90 euro a persona, 340 per nucleo familiare: queste sono le cifre fissate da UNHCR in accordo con le autorità greche, della ricarica mensile delle carte di debito. La cifra sale da 90 a 150 in alcuni campi di rifugiati o centri di accoglienza dove, a differenza di Moria, non viene fornito cibo. Tuttavia, anche nell’hotspot di Moria questa sembra essere la prossima tappa: interrompere la distribuzione di cibo e vestiti e far si che i richiedenti asilo cucinino autonomamente.
Dall’umanitario assistenziale si va in tal modo verso una logica umanitaria-finanziaria che, dall’interno delle gerarchie prodotte dalle agenzie dell’asilo tra i migranti bloccati a Moria, forgia soggettività a cui viene richiesto di contribuire al loro stesso governo, come attivi partecipanti delle politiche di contenimento della loro mobilità. Tali effetti e imperativi di soggettivazione, combinati con misure disciplinari come ad esempio l’obbligo di “fissazione geografica”, riprendendo una celebre espressione di Foucault, in questo caso a un campo o a un hotspot, sono in ultima analisi ancor più rilevanti dell’inclusione in quanto tale dei richiedenti asilo nei circuiti finanziari. Chi non accetta le condizioni del sistema di “accoglienza detentiva” greco viene immediatamente espulso anche dai circuiti finanziari di UNHCR. Di fatti, l’introduzione su larga scala di carte di debito per richiedenti asilo in Grecia non è stata pensata da UNHCR e dall’UE come parte di un progetto di integrazione dei rifugiati nel paese. Al contrario, le catture della presa umanitario-finanziaria sulle vite dei e delle migranti e le modalità di estrazione di valore che ne derivano sono concepite per essere esercitate su soggetti in transito, o temporaneamente bloccati; o in ogni caso, su individui che saranno presto sprovvisti dello stesso diritto di accesso al sistema di credito, in quanto “rejected refugees”. L’inclusione selettiva dei migranti nei circuiti umanitario-finanziari avviene non in opposizione ma insieme a processi destituzione sul piano legale e a una criminalizzazione crescente dei richiedenti asilo in Europa. Cosi come i livelli concentrici di filo spinato di Moria e gli effetti di confinamento spaziale che producono vanno ad articolarsi con i circuiti immateriali di capitalizzazione delle “popolazioni in transito”.
In che modo effettivamente funzionano questi circuiti a livello di circolazione di dati? Chi vi ha accesso e a che fini vengono usate le informazioni in tempo reale sulle transazioni effettuate dai rifugiati con la carta di debito?
Se a possedere i dati è esclusivamente UNHCR, a poter “vedere” le transazioni sono tutte le ONG coinvolte nel progetto, passando attraverso Pre-Paid Financial Services. L’intero progetto è stato condiviso con le autorità greche “anche se verranno scambiati solo i dati personali, relativi alla situazione legale delle persone e alla loro provenienza, ma non quelli relativi alle transazioni”, assicura la responsabile di UNHCR fuori dal campo di Souda sull’isola di Chios, mentre procede ad assegnare Mastercard ai richiedenti asilo in fila. In realtà, come spiega all’interno del campo di rifugiati di Eleonas ad Atene il coordinatore della Red Cross, organizzazione coinvolta nel cash assistance programme, con il passaggio del coordinamento dalle singole ONG a UNHCR lo scambio di dati con le autorità greche, anche relativo alle transazioni, potrebbe avvenire a breve. Dal computer collegato con Pre-Paid Financial Services, l’operatore della Red Cross mi mostra i dati a cui in tempo reale lui stesso può accedere: localizzazione di tutte le transazioni effettuate, sia dei prelievi che dei pagamenti nei negozi e supermercati, semplicemente inserendo il numero che viene assegnato a ciascun richiedente asilo. Tuttavia, mentre l’accesso al cash assistance è fortemente individualizzato, e dipende dallo status giuridico dei singoli migranti, il modo in cui finora UNHCR ha analizzato le transazioni è attraverso analisi generali del tipo di uso effettuato dai rifugiati delle carte di debito. Infatti, allo stato attuale non è di interesse né delle autorità greche né dell’UE monitorare gli spostamenti in Grecia dei richiedenti asilo, o verificare che non attraversino il confine macedone. Al contrario, più che controllare ogni singolo movimento il problema attuale degli attori del governo delle migrazioni in Grecia consiste nel gestire la presenza dei e delle migranti sul territorio.
All’interno di Moria una signora siriana mostra la sua asylum card, per ottenere la ricarica mensile della carta di debito: sul suo documento non compare, per sua fortuna, il timbro rosso, che indica le restrizioni geografiche (“geographical restrictions” ) imposte dallo EU-Turkey Deal, secondo cui tutta la procedura di asilo deve essere svolta sulle isole. Per la maggioranza delle persone bloccate da mesi a Moria, quel timbro significa non solo immobilità ma anche alto rischio di trasferimento forzato in Turchia. Mentre procede la registrazione mensile delle carte, tra tende e containers, nella prigione interna all’hotspot 35 dei migranti accusati di aver partecipato alle proteste del 18 luglio contro la lentezza nell’esame delle domande di asilo scompaiono dalla lista di Mercy Corps. La Fast Track Procedure, concepita per espellere più velocemente i migranti dalle isole greche, si scontra e si articola con altri confini temporali che producono contenimento a oltranza, sulle isole.