di SAVERIO ANSALDI.
La Francia ci sorprende sempre, in un modo o nell’altro. Poche settimane dopo la ratificazione costituzionale dello stato di emergenza da parte del Parlamento, la grosse Koalition (Socialisti più Destra Repubblicana) che di fatto governa il Paese dallo scorso novembre con l’appoggio esterno del Medef (Confindustria), ha partorito una sorta di Jobs Act alla transalpina. La cosiddetta “Legge El Khomri”, dal nome del Ministro del Lavoro che l’ha presentata, ma non concepita, poiché il vero deux ex machina del progetto è il Ministro dell’Economia Emmanuel Macron, deve chiudere il cerchio aperto con la cosiddetta “Legge di modernizzazione” promossa da quest’ultimo e approvata un anno fa dal Parlamento. Si tratta quindi di due pesanti “riforme” dell’economia promosse dal rampante Ministro Macron, ex mosca cocchiera di Goldman Sachs ed ora zelante esecutore degli imperativi categorici della Confindustria francese. Cosa prevede la nuova proposta di legge sul lavoro ? Essa si presenta prima di tutto come una semplificazione ed uno snellimento del “Codice del Lavoro” (Code du Travail), che il Medef, sempre un po’ ritardo rispetto ai suoi corrispettivi europei, considera ormai come un ingombrante reperto archeologico. Si tratta quindi di liquidare quel poco che rimane di diritti e di garanzie dei lavoratori per favorire la “flessibilità” delle aziende e la trasformazione finanziara della produzione. Fra le principali misure previste dalla “Legge El Khomri” spicca quella relativa alla possibilità di far lavorare i dipendenti fino a sessanta ore settimali in funzione delle “circostanze eccezionali” derivanti dalle necessità della produzione, l’aumento della richiesta degli straordinari da parte dell’azienda senza l’obbligo di un accordo preventivo di settore, la generalizzazione dei contratti a termine, la riduzione significativa delle contrattazioni sindacali obbligatorie con la sostituzione di referendum aziendali e, soprattutto, la ridefinizione delle condizioni di licenziamento per “motivi economici”. Quest’ultimo è ormai reso possibile sulla base della previsione di un calo trimestrale dei profitti aziendali. Siamo quindi sostanzialmente in linea con il Jobs Act renziano.
Da questo punto di vista, quel che è accaduto in Francia nelle ultime settimane non fa che confermare quello che Deleuze e Guattari definiscono nell’Anti-Edipo il doppio processo schizofrenico del capitalismo : da un lato “blocco”, “cattura” e rigidità imposti ai desideri di trasformazione sociale attraverso leggi liberticide, stato di emergenza, etc, e dall’altro rottura del limite, critica del codice, rifiuto della norma e deterritorializzazione. Il capitalismo non tollera i desideri senza limiti (chiunque di noi può trasformarsi in ogni momento in un fanatico terrorista) e nel contempo non smette di farsi carico della loro promozione produttiva (il codice del lavoro è il principale ostacolo che impedisce ad ognuno di noi di diventare un geniale imprenditore, sul modello irraggiungibile del sempre compianto Steve Jobs ). Questo doppio processo, come ci ricordano sempre Deleuze e Guattari sulla scorta dell’analisi dei flussi monetari e della rendita condotta da Marx nel Terzo Libro del Capitale, dipende dalla disproporzione colossale fra il valore finanziario delle aziende e la forza lavoro dei loro dipendenti. Tale disproporzione può essere conservata ed aumentata solo attraverso l’introduzione di “crisi” periodiche all’interno del processo stesso, il che spiega perché per i capitalisti “le cose funzionano bene solo quando sono scombussolate”. In tal senso, il “plusvalore” della forza lavoro non perde la sua centralità, ma è solo costantemente decentrato per mezzo dell’innovazione scientifica e tecnologica, la quale garantisce il progredire della rendita finanziaria. La flessibilità produttiva, per massimizzare il tasso di profitto del capitale, ha anche però sempre bisogno dell’ “anti-produzione” garantita dalle leggi dello Stato. Ecco perché una “riforma” neoliberale del lavoro può diventare ancora più efficace in un quadro istituzionale che conferisce pieni poteri ai prefetti e alla polizia, sospendendo di fatto le principali garanzie costituzionali.
Ora, è propri all’interno di questo dobbio processo che si innesta il movimento degli studenti, liceali ed universitari, dei precari, dei dissocuppati e dei lavoratori di tutti i settori che da dieci giorni hanno iniziato a manifestare in tutto il paese contro la “Legge El Khomri” e il permanere dello stato di emergenza. Perché di questo si tratta. Di un rifiuto dell’emergenza e della “crisi” come strumenti per far funzionare il capitalismo attraverso il meccanismo complementare della rendita finanziaria e della flessibilità produttiva. La lotta si concentra proprio sulla disproporzione fra il valore della forza lavoro e il profitto del capitale. Gli studenti, a cominciare dai giovani liceali, fra i più attivi, hanno perfettamente espresso nello loro manifestazioni il nocciolo del problema : non hanno alcuna intenzione di diventare la riserva flessibile di un capitale fondato sulla rendita, dicono basta alle leggi che da più di trent’anni non fanno che trasferire gli “investimenti” pubblici al settore privato e, soprattutto, pretendono di disporre liberamente della loro vita e del loro lavoro. Desiderano altro, per dirla chiaramente. Desiderano rompere con lo sfruttamento che viene venduto con la promessa di un futuro esaltante e che si risolve di fatto in infami attività precarie. Rifiutano la miseria di salari che non prevedono neanche una minima contribuzione previdenziale ed una minima copertura sanitaria. Desiderano nien’altro che una nuova democrazia del lavoro e una nuova affermazione del diritto comune alla vita. Questa democrazia si pone agli antipodi della “sicurezza” imposta dallo stato di emergenza e promossa dalle ignobili riforme del lavoro che ne conseguono. È proprio su questa democrazia che, come ci dimostrano i giovani liceali francesi, si giocherà sempre e comunque il futuro delle nostre lotte.