di LABORATORIO BIOS – FUXIA BLOCK*
Siamo Marea e travolgeremo qualunque scoglio per riuscire a trasformare la potenza e la passione di queste giornate in un oceano di autodeterminazione, sovversione e liberazione per tutte.
Con queste parole si è conclusa l’assemblea plenaria di domenica 5 febbraio a Bologna. Una due giorni in cui, attraverso 8 tavoli di discussione partecipati da centinaia di attiviste, la rete nazionale NON UNA DI MENO ha ripreso in mano le redini di un percorso coraggioso e ambizioso che ha posto al centro il metodo femminista dell’orizzontalità, del “personale è politico” e dell’intersezionalità delle lotte: un nuovo paradigma costituente capace di ripensare radicalmente le fondamenta dell’organizzazione politica di movimento, verso una socialità libera e liberante dalla violenza sulle donne e dalla violenza del genere.
Siamo partite da uno stato di cose esistenti che non siamo più disposte ad accettare. Abbiamo deciso di rimetterci in cammino, insieme alle compagne argentine, polacche e a quelle di oltre 30 paesi nel mondo perché mai più nessuna donna, trans, gay, lesbica venga aggredita, insultata, inferiorizzata, marginalizzata, uccisa dalla violenza maschile e dal dominio patriarcale.
Partire dalla denuncia di un fenomeno tanto emergenziale quanto strutturale, che colpisce tutte e alcune più di altre, ci ha portato a decidere che fosse necessario costruire dal basso un piano femminista contro la violenza sulle donne e di genere. Un piano capace di incidere e sovvertire i processi di governance istituzionale – la dove le politiche di governo dei corpi della nazione si producono – per ribadire con fermezza che non siamo più disposte ad assoggettare le nostre vite ad un dominio neoliberale materiale e simbolico. Non Una di Meno, perché nessuna dovrà più essere uccisa, sfregiata, picchiata, annichilita e isolata. Non una di meno, perché tutte insieme ci riprenderemo gli spazi, i tempi e il reddito che ci spetta.
A partire da questi pilastri di condivisione politica e di pratiche, siamo riuscite a produrre un salto teorico ed epistemologico, unico nella sua radicalità e nella sua capacità ricompositiva: individuare nella pratica dello Sciopero lo strumento che permette di rendere visibili, riconoscibili e pubblici i nostri corpi e le nostre vite, in una dimensione di indisponibilità e di sottrazione dai meccanismi di cattura, di dominio e di valorizzazione del capitale neoliberista. Perché se la violenza sulle donne e di genere (in tutte le sue forme) si esprime attraverso le molteplici sfumature della maschilità egemonica, della divisione sessuale del lavoro e della messa a valore delle nostre intere esistenze, allora è solo inceppando e ostacolando attivamente i meccanismi di produzione e riproduzione sociale che riusciremo a mandare in frantumi il paradigma neoliberista della violenza di genere del capitale.
È necessario, allora, costruire lo sciopero dell’8 marzo come passaggio fondamentale in cui sperimentare un blocco della produzione capitalistica e della riproduzione sociale a partire dalla centralità del soggetto donna e femminista, per evidenziarne la portata trasformativa e costituente: agitare e agire le pratiche discorsive di un corpo politico di movimento che, con buona pace di tanti, non può essere definito attraverso le ammuffite categorie interpretative della politica maschile/lista. Il movimento che su scala globale sta portando in piazza milioni di donne, uomini, trans, gay, lesbiche, intersessuati, ner*, migranti, subaltern*, disoccupat*, pover* e precar*, sta costruendo spazi di riconoscimento, legittimità e possibilità per tutt* coloro che vogliono opporsi a un dominio maschile, capitalistico e violento all’interno delle proprie vite. Questo non significa semplicemente determinare nuove alleanze nelle lotte delle minoranze e dei subalterni. Significa, piuttosto, riconoscersi in quello che Carla Lonzi avrebbe definito “Soggetto Imprevisto”: uno spazio di rivoluzione epistemica e di sovversione dell’esistente all’interno dei conflitti globali del capitale. Uno spazio intersezionale, plurale femminile (che si esprime anche attraverso il linguaggio), a partire da sé, in cui ognun* sia in grado di immaginare micropratiche di resistenza e di rovesciamento dello stato di oppressione. Uno spazio di soggettivazione infedele alle genealogie e alle aspettative del presente, indisponibile alla pacificazione, alla rassegnazione, all’integrazione nella normatività di genere, sessuale, politica, istituzionale. Imprevisto nella caratura femminista, radicalmente Altra, dove la ritualità delle forme della politica –istituzionale e di movimento – venga spiazzata da un inatteso procedere carsico, oceanico. La proposta politica di un Soggetto Imprevisto non impone idealtipi essenzialistici o identitari, ma apre piuttosto un luogo di immaginazione e sperimentazione radicale, per tutte e per tutti.
Dalla straordinaria mobilitazione di Roma del 26 Novembre, passando per Bologna abbiamo costruito questo spazio discorsivo inedito, diventato immediatamente terreno di azione e di agibilità politica transnazionale.
Uno spazio che le donne hanno ripensato mettendo al centro la critica alla società eteronormata e alla maschilità egemonica che produce violenza, per ridefinire i confini e i metodi non solo della politica ma dell’esistente, della società in cui viviamo.
Se la nostra vita non vale, non produciamo. Se la nostra vita non vale, ci sottraiamo. Se la nostra vita non vale, tutta la società deve cambiare.
Sia ben chiaro, la nuova congiuntura conflittuale che abbiamo aperto non è una semplice lotta per la “parità fra i generi”. I tavoli bolognesi hanno messo al centro dell’analisi come il sistema patriarcale, dell’eterosessualità obbligatoria e della violenza di genere, omofobica e transfobica, si annida e si riproduce in tutti i contesti del sociale entro i quali la posta in gioco è il governo e l’assoggettamento della vita in sé, nelle sue fenomenologie insorgenti, recalcitranti al capitale nelle sue articolazioni di dominio maschile. Osserviamo e ritroviamo le forme di questo dominio nella violenza del linguaggio, nelle sue varianti populiste e razziste che colonizzano carta stampata, social network e che contaminano gli spazi educativi. Lo ritroviamo, ancora, nei linguaggi e nelle pratiche di chi rievoca paradigmi lavoristi, tanto nei “movimenti” quanto in interi settori di sindacalismo tradizionale, per opporsi alle nuove forme di welfare universalista, il solo capace – come nel caso del reddito incondizionato – di garantire un concreto strumento di tutela contro la violenza della precarietà.
La violenza contro le donne e di genere si produce e si riproduce in termini sistemici, e quindi solo in termini sistemici, allargati e intersezionali è possibile contrastarla.
Per questo l’8 marzo non sarà uno sciopero tematico. Non sarà solo sciopero delle donne contro la violenza né lo sciopero dalla produzione per rivendicare equità salariale. Non si ridurrà a sciopero simbolico (o meno) dalla cura e dal lavoro riproduttivo per scardinare l’imposizione dei ruoli di genere e per rendere visibile il lavoro gratuito. Non sarà una semplice sommatoria di lotte ma l’insieme di tutte queste pratiche.
L’8 marzo sarà complicità inedita fra le soggettività in lotta contro la violenza maschile per aprire una breccia costituente dentro al cuore del neoliberalismo.
L’8 marzo sarà un passaggio cruciale, ma non sarà l’evento che aspettavamo da anni. Non sarà il giorno della rivoluzione.
Sarà sottrazione, sovversione, riappropriazione e blocco.
Sarà una giornata di lotta globale in cui attorno a un plurale femminile, un Soggetto Imprevisto, tutte le forme di dominio, oppressione e subalternità troveranno spazio di esistenza, riconoscimento e possibilità.
Questo è possibile non certo perché il soggetto politico femminista sia accogliente e trasversale ontologicamente. Bensì perché il movimento femminista che si sta riconfigurando in questi mesi ha scelto come spazio di intellegibilità e di azione quello della decostruzione del reale, dei generi, delle forme della maschilità egemone e della politica, per permettere a tutt* di rifiutare la produzione e la riproduzione sociale delle disuguaglianze, delle alterità e dei confini, di genere e nazionali.
Tuttavia, non sarà uno spazio neutrale né neutralizzabile. Affermare che si apre come spazio aperto per tutt* non significa che ognuno possa usarlo strumentalmente, secondo i propri fini politici, di bottega.
Riconoscendo e restituendo potenza al nostro posizionamento femminista abbiamo scelto il metodo della sovranità assembleare come spazio decisionale e di proposta politica, metodo che non potrà scendere a mediazione alcuna e che rifiuterà qualunque tentativo di strumentalizzazione e/o sussunzione all’interno degli strategismi della prassi politica.
Per attraversare la giornata dell’8 marzo e questo processo in modo costitutente e materialista, riteniamo fondamentale individuare uno strumento che sia in grado di trasformare questa tensione evocativa in capacità mutualistica e democratica. Che sappia dare a tutt* la possibilità di sottrarsi, di sovvertire e di sperimentare nuove comunità femministe e nuovi spazi biopolitici di liberazione.
Per questo l’8 marzo metteremo al centro lo strumento del Reddito di Autodeterminazione come forma di redistribuzione della ricchezza, di possibilità concreta e materiale per le donne di fuoriuscita dal ricatto economico della violenza, di riconoscimento del lavoro gratuito di tutti e di tutte, di uscita dalla precarietà e dalla povertà; come pratica di sciopero delle donne e dai generi permanente attraverso cui rifondare una società libera dalla violenza, dallo sfruttamento del capitale e dalla schiavitù del lavoro.
Reddito di autodeterminazione per disfarci degli imperativi normativi del genere, dell’eterosessualità obbligatoria, dell’obbligo riproduttivo. Reddito di autodeterminazione per disfare la famiglia tradizionale e ricostruire reti affettive e mutualistiche diffuse. Reddito di autodeterminazione contro il ricatto del lavoro senza diritti. Reddito di autodeterminazione contro la precarietà, le promesse costantemente disattese, l’autosfruttamento. Un reddito che sia la possibilità reale di sottrazione quotidiana, di blocco, di liberazione, un vero e proprio sciopero dei e dai generi. In questo senso uno sciopero dei e dai generi permanente.
In tempi grigi, oscuri e funesti in cui populismi di ogni colore si insediano ai vertici del potere politico e finanziario globale, in cui la forza trasformativa e costituente della moltitudine fatica a trovare spazio nelle tradizionali forme della politica e dei processi costituenti già sperimentati, pensiamo che lo spazio politico che le donne di tutto il mondo stanno aprendo non possa essere ridimensionato ne governato.
Il Soggetto imprevisto ha fatto nuovamente irruzione nella politica e nelle nostre vite.
Se la nostra vita non vale, tutta la vita deve cambiare!
“Riconosciamo a noi stesse la capacità di fare di questo attimo una modificazione totale della vita” (Carla Lonzi)
*Questo testo è stato pubblicato nel sito: http://www.bioslab.org/nonunadimeno-divenire-soggetto-imprevisto/