ROBERTA POMPILI.

 

Una nuova soggettività abita le trasformazioni del mondo contemporaneo: una soggettività molteplice e in divenire, un puzzle immaginario e materiale, continuamente riconfigurato dalle tante differenze da cui è attraversato. La forza di questa soggettività avanza reclamando spazi e diritti, nelle aule parlamentari, così come nelle piazze. La stessa sfida del “genere”, ha rappresentato un importante approccio transdisciplinare di studio e di ricerche – gli studi di genere e gli studi queer – che ha messo al centro dell’attenzione la soggettività sessuale e quella di genere come processi aperti e non come identità chiuse. Anche in Italia da qualche tempo una nuova generazione di studiose e studiosi inizia a misurarsi con intelligenza e creatività su questo piano politico e culturale. Ne è dimostrazione un libro in uscita in questi giorni edito da Ombre corte, Il genere tra neoliberismo e neofondamentalismo (pp. 208, euro 18). L’opera, a cura di Federico Zappino, filosofo e attivista conosciuto in Italia anche come traduttore di importanti testi di Judith Butler, è una raccolta di diversi saggi e contributi che apre lo spazio ad una riflessione articolata e plurale di ricercatrici e ricercatori, attiviste femministe e queer. Il grande merito del curatore è infatti quello di restituirci il risultato di un fertile terreno nomadico di ricerca realizzatosi all’interno di un anno in cui sono avvenuti numerosi “incontri, discorsi, scritture, momenti di riflessione, e di lotte” sul tema del genere.

Il genere – suggerisce Zappino – è un terreno privilegiato su cui esercitarsi per evidenziare gli assetti della società contemporanea: la ragione neoliberale da una parte e dall’altra «il prodotto di scarto del catastrofismo neoliberale stesso, il neofondamentalismo» (Melinda Cooper).

La logica neoliberale, come ben descritto da Dardot e Laval, implica la produzione della forza-lavoro, in quanto produzione di una soggettività individualizzata che si costruisce come imprenditore di sé (il soggetto-impresa), capace di incorporare i modelli economici di rischio e calcolo, costi e benefici. I diversi saggi si soffermano ad analizzare la linea del genere dentro l’architettura del soggetto liberale: nel capitalismo il genere (come la razza) è un dispositivo mobile, il cui confine variabile registra le tendenze in atto nella società rivolte di volta in volta ad aumentare, oppure ad attenuare la linea della subordinazione. La ragione neoliberale non implica necessariamente la repressione delle differenze in senso classico, poiché il capitalismo è piuttosto interessato alla cattura del valore che viene prodotto dalle differenze attraverso dispositivi che le reificano, le essenzializzano e producono le identità, dando vita ai processi di individualizzazione.

Neoliberismo e neofondamentalismo

In molti contributi vengono nominati i concetti di diversity management e il mainstream di genere – Renato Busarello, Cristina Morini, Gianfranco Rebucini – per riferirsi alle politiche delle imprese, degli stati nazionali e della governance europea, ma anche quelli di omonormatività, di omonazionalismo e di femonazionalismo: tali concetti sono messi in scena per descrivere gli strumenti di tecnologia e di comando per la cattura del valore del lavoro vivo nel capitalismo contemporaneo, in altri termini strategie di riorganizzazione neo-liberista di gestione delle differenze, al fine di predisporre e prefigurare modelli di soggettività, naturalizzare gerarchie e disuguaglianze sociali e dunque ottimizzare le risorse del «capitale umano».

Renato Busarello, ad esempio, in Diversity management, pinkwashing e omo-neoliberismo. Prospettive critiche sul caso italiano denuncia l’ambivalenza dei processi di riconoscimento e valorizzazione (queer value) attiva nella società e sponsorizzata da imprese e banche: la messa al lavoro del genere passa attraverso l’imposizione della “naturalità” della performance di genere, dalla reificazione dell’immagine del «gay» nel campo della moda all’utilizzo della “naturalizzata” predisposizione femminile per la cura sfruttata in molteplici campi professionali.

Un posizionamento meridiano e terrone, dai margini, è quello proposto da Alessia Acquistapace, Elisa A.G. Arfini, Barbara De Vivo, Antonia Anna Ferrante e Goffredo Polizzi nel loro saggio Tempo di essere incivili. Una riflessione terrona sull’omonazionalismo in Italia al tempo dell’austerity che affronta il tema dell’omonormatività e dell’omonazionalismo. In questo contributo viene analizzata l’iconografia degli appuntamenti principali di piazza contro il DDL Cirinnà (23 gennaio 2016), e vengono messi in luce gli l’elementi che demarcano, anche visivamente, la spoliticizzazione e l’addomesticazione delle sessualità eccedenti (l’immagine del letto nella casa) dentro una cornice sovranista e nazionale (il piumone tricolore), da cui altre ed altri sono esclusi (non italiani, non bianchi). La sveglia che accompagna la scritta «è ora di essere civili», rappresenta la costruzione di un canovaccio visivo in cui la dimensione lineare del tempo del capitale – civili vs incivili – costruisce lo spartiacque simbolico che delinea i perimetri nazionali riproducendo il fuori dell’alterità coloniale.

E allora nella produzione biopolitica come dare vita ad uno sciopero dai/dei generi? In Gender Strike! Il Tariffario del lavoro gratuito, Bruna Mura, Caterina Peroni e Camilla Veneri ci raccontano l’esperienza situata del movimento transfemminista queer all’interno della mobilitazione nazionale dello «sciopero sociale», e di come un questionario/tariffario sia stato lo strumento utilizzato per indagare le modalità in cui il genere viene messo al lavoro, ma soprattutto per de-naturalizzare i comportamenti e per ripoliticizzare la vita.

E poi c’è l’altro polo, quello del neofondamentalismo. Nell’arco di questi ultimi anni abbiamo visto dilagare nell’agenda politica le crociate oscurantiste «anti gender», un coalizione eterogenea di soggetti che ha mostrato particolare e morbosa attenzione verso i corpi e il genere, la sessualità, ponendosi in termini – apparentemente – antisistemici alla governance delle differenze neoliberale. Per Zappino, il neofondamentalismo mette in scena «una vasta compagine di attori e istituzioni, principalmente religiosi, ma anche di estrema destra, come di sinistra, accomunati dalla condivisione di prospettive conservatrici, e reazionarie». Il saggio di Cristian Lo Iacono (Filosofia sociale dell’odio antiomosessuale) si cimenta in una attenta disamina degli aspetti relativi all’ordine discorsivo fondamentalista religioso e reazionario. D’altra parte ogni testo di questa collettanea è un contributo prezioso. E così, se il saggio di Elisa Bellè, Caterina Peroni ed Elisa Rapetti si sofferma sull’analisi delle retoriche di naturalità che sottendono entrambe le posizioni «pro-gender» e «anti-gender» che hanno animato il recente dibattito, Beatrice Busi (in Fare e disfare il sesso) indaga le formazioni discorsive che hanno strutturato nel tempo il sistema sesso/genere a partire dai modelli biomedici. Il Governo neoliberale dei corpi disabili, sul quale riflette Brunella Casalini, diventa invece una chiave di lettura per ripensare la razionalità neoliberale che allontana sempre di più il soggetto dalla consapevolezza della propria dipendenza, interdipendenza e vulnerabilità, quella vulnerabilità, o precariousness, che il soggetto moderno è stato abituato a negare in se stesso e a proiettare sulla figura del disabile. E poi Carlotta Cossutta, ancora, che interroga la riarticolazione di genere all’interno dei confini dello spazio pubblico e privato, ne “Il personale è politico”. Eppure – tornando al filo principale che attraversa la molteplicità dei lavori – non è solo l’articolazione dei due piani distinti neoliberismo e neofondamentalismo, in mutua relazione tra loro, che desta in noi preoccupazione.

Piuttosto, ci appare sempre più urgente come suggerisce Angela Balzano nel suo saggio Le conseguenze dell’amore ai tempi del biocapitalismo. Diritti riproduttivi e mercati della fertilità, un’analisi sulla stretta alleanza tra neoliberismo e neofondamentalismo: una nuova convergenza fondata – come possiamo vedere all’opera, da ultimo, nel Piano Nazionale per la Fertilità – sull’opportunità per il capitalismo contemporaneo di declinare la crescente medicalizzazione dei corpi – sul tema della patologizzazione si soffermano anche Olivia Fiorilli e Stefania Voli – come mezzo per trasferire la custodia della moralità dalla chiesa alla clinica, più adatta a rivestire una funzione normalizzante e regolarizzatrice. Un’alleanza sempre più stringente dal momento che nel crack neoliberale, «l’unità sostanziale della nazione, in precedenza fondata su un welfare in via di dismissione, deve essere garantita mediante l’istituzione tradizionale per eccellenza: la famiglia».

Sovvertire l’ordine eterosessuale

Il libro si chiude con il saggio di Federico Zappino, Sovversione dell’eterosessualità, nel quale si evidenzia come la lotta all’omofobia celi i meccanismi attraverso cui prendono forma i dispositivi di individualizzazione (identità) del progetto neoliberale. Collocato dentro il piano discorsivo della lotta alle discriminazioni, il tema della lotta alla omofobia, infatti, come suggerisce anche Didier Fassin, occulta i rapporti politici che sono alla base della discriminazione, nonché la logica economica e sociale più ampia che la sottende; e, al contrario, essa alimenta un’oggettivazione essenzialista e una soggettivazione vittimista che finiscono per coesistere sia per coloro che sono «discriminati» come per coloro che esercitano “discriminazione”. In altri termini, la lotta all’omofobia reifica e riproduce le identità rendendo possibili ancora una volta il governo della vita e il suo sfruttamento. Zappino individua nella riconferma della norma eterosessuale – comune tanto alla ragione neoliberista quanto alla ragione neofondamentalista – un elemento fondamentale di produzione/repressione del piano molteplice della vita e della sessualità, base di costruzione di un ordine (ri)produttivo materiale e sociale; nel contempo la stessa rappresenta un terreno politico importante per tenere aperti spazi inediti di contro-soggettivazione.

E allora Cosa possono fare i corpi insieme? si domanda la teorica della performatività del genere, Judith Butler, nell’ intervista realizzata da Federica Castelli. Se le grandi trasformazioni produttive implicano una nuova soggettività che reclama un‘altra vita, un’altra sessualità e nuovi diritti la studiosa, reduce dall’esperienza diretta di Occupy, sembra farci intendere che solo l’interruzione dello spazio pubblico e delle sue temporalità da parte delle forze che vengono represse ed escluse può riaprire la partita della politica e della democrazia.

Questo articolo è uscito su il manifesto il 7.10.2016

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