Di ANTONIO NEGRI
Recentemente è stato ripubblicato in inglese da Brill un aureo libretto di Alfred Sohn-Rethel, Lavoro intellettuale e lavoro manuale. Per una teoria della sintesi sociale. A quella pubblicazione è aggiunta una postfazione nella quale il curatore-traduttore riporta vari testi di presentazione critica del libro, fra i quali alcuni di quelli occasionati dalla traduzione italiana del libro nel 1977 e pubblicati in Lotta continua fra agosto e settembre di quell’anno. In effetti, in Italia il libro era stato tradotto e pubblicato nel 1977 da Feltrinelli, nella collana “Materiali marxisti” (a cura del collettivo di Scienze politiche di Padova). Dubitiamo tuttavia che oggi lo si possa facilmente ritrovare sul mercato in quell’edizione, perché questo, come tutti gli altri libri editi in questa collezione, furono mandati al macero da Feltrinelli in seguito all’arresto ignobile e vergognoso – il 7 aprile 1979 – dell’intero collettivo di Scienze politiche di Padova con l’accusa di insurrezione contro lo Stato. L’articolo qui ripreso è quello di presentazione di Antonio Negri – pubblicato il 6 settembre 1977, pp. 6-7, in Lotta continua. Inutile ricordare che, come spesso accadeva allora, l’impaginazione frettolosa dei piombi e i numerosi refusi resero l’articolo quasi illeggibile. Quanto all’autore, se ne era proprio dimenticato. E tuttavia, dopo aver riletto e corretto l’articolo, e dopo averne parlato con persone più di lui esperte del pensiero di Sohn-Rethel, l’autore ritiene che sia utile riprenderlo e di nuovo offrirlo alla lettura di chi si appassiona ancora a questi temi.
Recensione a Sohn-Rethel, Lavoro intellettuale e lavoro manuale
Vale subito la pena di proporre quello che nel marxismo rivoluzionario è il problema fondamentale: qual è il ruolo che in questa e in altre opere di Sohn-Rethel gioca la classe operaia? La domanda è legittimata dal fatto che, a prima vista, il discorso sulla classe operaia sembra assente, o meglio darsi – nei termini del più ortodosso materialismo storico – semplicemente come potenzialità, come mera latenza. Come negatività del processo capitalistico, come possibile Aufhebung della forza lavoro e non come soggetto. Ma le cose non stanno esattamente in questi termini. Comunque porre questo problema è lo stesso che confrontare il pensiero di Sohn-Rethel con le acquisizioni teoriche della scuola marxista rivoluzionaria italiana degli anni ’60, con quello che si è chiamato – a buona ragione o a torto – “operaismo”, e verificarne le eventuali analogie e/o differenze. Sohn-Rethel lo riconosce volentieri (cfr. Dophand, Darlstadt und Neuwied, 1972, p. 67).
Ora, c’è un primo elemento che va fortemente sottolineato: in Sohn-Rethel l’andamento complementare (per qualche verso complice e parallelo) dello sviluppo delle forze produttive – sempre più sussunte alla potenza sociale del capitale – e della composizione tecnica e politica di classe operaia non si solleva dall’essere residuale. Vale a dire che in ogni caso il protagonista dello sviluppo è per lui il capitale (Die Doppelnatur, p. 21 sgg.). E ciò non solo nel mondo della conoscenza dove l’ordine formale del conoscere è unidimensionale, ma anche nel mondo della produzione dove l’aumento della forza produttiva della classe operaia – a fronte dell’appropriazione, che il capitale opera, di tutte le forze produttive sociali – è effetto e conseguenza dello sviluppo capitalistico. La trasformazione della forza lavoro è un effetto (conseguente ma cionondimeno costituente) della trasformazione del modo di produrre (Die Doppelnatur , p. 34 sgg.). Con ciò manca in Sohn-Rethel quello che a noi sembra il contributo fondamentale della recente critica operaia, vale a dire la comprensione del nesso lotte-sviluppo, della funzione trainante delle lotte operaie nello sviluppo e sulle articolazioni dello sviluppo capitalistico. Ma ciò solo fino ad un certo punto: fino a quando cioè il movimento materiale dello sviluppo capitalistico non raggiunga la maturità complessiva del lavoro astratto e non abbia riprodotto la classe operaia a questo livello. In Sohn-Rethel la classe operaia ha dovuto essere portata a questo livello per presentarsi come soggetto, ha dovuto attraversare tutto il purgatorio che il capitale le ha imposto, per farsi classe operaia rivoluzionaria, alternativa in atto.
Di questo passaggio del pensiero di Sohn-Rethel crediamo si possa apprezzare l’indubbia fedeltà al punto di vista marxiano (ché, è fuori di dubbio, in Marx si dà – e probabilmente non poteva non darsi – un notevole stacco tra prospettiva oggettiva e determinazioni soggettive del processo), fedeltà all’ipotesi centrale della prospettiva rivoluzionaria marxiana non svilita dall’accoglimento della surrettizia influenza di messaggi revisionistici. Ma anche crediamo di dover sottolineare un certo appiattimento del quadro marxiano perché – come d’altronde Sohn-Rethel più volte nota – è proprio della nostra epoca poter attualizzare soggettivamente, nella tematica della transizione, il punto di vista marxiano, altrimenti costretto al dualismo della teoria e della pratica. Probabilmente qui, più che una ragione teorica pura e semplice, troviamo una atmosfera teorica storicamente determinata, qui gioca quel senso della sconfitta che tutto il pensiero marxista tedesco, negli anni tra il ’20 e il ’30, si porta addosso. L’opera di Sohn-Rethel nasce appunto in questi anni e subisce questo clima. Ma solo lo subisce perché infatti non c’è ragione teorica che imponga, al livello della sua analisi, una concezione residuale del movimento di classe operaia. Anzi: l’intero quadro della sua ricerca è inteso a superare proprio le due opposte tendenze, quella francofortese dell’esasperazione ideologica del metodo e quella grossmanniana dell’unilinearità esclusiva dell’analisi materialistica delle connessioni di capitale, e gli effetti dualistici che ne derivavano, nel senso della soluzione utopistica e della soluzione catastrofica.
Scienza e classe
Ciò appare con ancor maggior chiarezza quando si guardi agli esiti dell’analisi. Il processo di crescente astrazione del lavoro è un processo di soggettivazione della classe. Il salto qualitativo avviene al livello più alto. Nel momento stesso in cui il capitale si è appropriato di tutta la forza produttiva sociale, in quello stesso momento la qualità della forza produttiva operaia sociale astratta mostra la sua intera forza formante, innovativa. Il mondo delle astrazioni formali della scienza, nella misura stessa in cui si è appropriato l’intero modo di produzione, plasmandolo a sua immagine e somiglianza – nella stessa misura è costretto a riconoscere la forza dell’alternativa operaia (Doppelnatur, p. 13 sgg.). All’economia formata si oppone l’economia formans, la lotta di classe può a questo punto riaprirsi nella scienza, nell’intero complesso di quella struttura di comando che costituisce, attraverso l’astrazione scientifica del lavoro, il capitale. In Sohn-Rehtel il punto di vista operaio esplode al più alto livello. Ma non solo al più alto livello, come alternativa e lotta di classe nella scienza. Anche nella più grande estensione, come recupero di tutto il lavoro astratto della classe operaia: “il processo di riproduzione di capitale deve essere considerato come identico al processo di riproduzione della società stessa”. La risposta alla sconfitta del movimento operaio degli anni ’20 è ideale, ma tendenzialmente valida: è proprio sui terreni sui quali la sconfitta è stata subita, a fronte dei processi di astrazione del lavoro e di proletarizzazione della classe, è proprio su questi terreni – che qui si discoprono come il medesimo – che la lotta può essere ripresa e le condizioni del processo di rivoluzionario ritrovate come mature (cfr. Oekonomie und Klassenstruktur des deutschen Faschismus, Surkhamp, Frankfurt, 1973). Questo esito, questo primo esito del lavoro di Sohn-Rethel va considerato come estremamente importante, quale che sia il cammino percorso.
Giungiamo così al centro della problematica teorica sul concetto di classe. Qui dunque, in Sohn-Rethel, il concetto di classe operaia si presenta solo come concetto della transizione – se è vero quanto si è venuto finora dicendo. I passaggi che ci hanno condotto a questo punto possono sembrarci insufficienti ma quando l’analisi si fa così strutturale(diacronica), abbiamo tra le mani un concetto di classe operaia assolutamente ricco. Innanzitutto è immediatamente il concetto di un potere. Vale a dire che tutti i dualismi dell’interpretazione economica e/o politica del marxismo, quando giungiamo a questo punto dell’analisi crollano: meglio, ne crollano le possibilità formali. Perché la classe del lavoro astratto sussume l’autonomia del politico; viceversa, l’unità del processo rivoluzionario di classe operaia contiene in sé le condizioni di un pensiero scientifico, di un potenziale innovativo per la distruzione dello sfruttamento e l’enorme sviluppo della forza produttiva del proletariato (fattosi società intera). In Sohn-Rethel la concezione del potere di classe è una concezione del tutto unitaria, materialisticamente fondata e fondante, a partire da condizioni di sviluppo che sono quelle previste nelle pagine dei Grundrisse marxiani.
“Potere della transizione”
Ma non basta. La classe operaia non è solo potere, ma potere sensato, potere della transizione. Ricordiamo che in Sohn-Rethel è l’intelligenza tecnica a presentarsi come forza produttiva eminente. Sarebbe sufficiente ciò ad eliminare i perniciosi effetti di ogni applicazione della legge del valore al progetto di transizione come è avvenuto in tutto il cosiddetto “socialismo realizzato”: l’intelligenza tecnica rompe diper sé i limiti del funzionamento, spaziale e temporale della legge del valore, ma come tendenza dell’attività produttiva sociale intera rompe questi limiti oltre che per sé, per tutto il proletariato. Il rovesciamento del cervello sociale della produzione nel processo dirivoluzionamento ha in sé una forza antagonistica nei confronti della legge del valore e totalizzante nei confronti del proletariato. La nuova sintesi sociale, il realizzarsi della marxiana legge-piano si pone come struttura organizzativa antagonistica determinata nei confronti del funzionamento della legge dell’appropriazione capitalistica. Ma è anche, contemporaneamente, sintesi della mente e della mano, qualificazione – cioè – della nuova sintesi sociale in termini di unità del processo produttivo, di dissoluzione delle sue due facce, di esaltazione del lavoro vivo come insieme di lavoro concreto e di tutto il potenziale innovativo-scientifico, tecnologico, di lotta.
È chiaro che, al di là della suggestiva potenza critica della proposta, la definizione concreta dei termini della “nuova sintesi” proposta da Sohn-Rethel non può che lasciarci, per più versi, perplessi. Qui davvero l’opera sua sembradatata, tanto quanto lo era quella prima parte che abbiamo criticato e nella quale la concezione materiale e storica dello sviluppo vedeva un concetto di classe operaia come elemento sostanzialmente residuale. Bene, là abbiamo parlato di quel clima di sconfitta che sta alla base, come scandalo e segno di confronto, degli sviluppi più originali del marxismo occidentale, sia sul lato della scuola di Francoforte sia sul lato del rinnovamento delle più ortodosse impostazioni del materialismo, in Grossmann e nei suoi allievi. Qui di nuovo l’analisi è fortemente datata. L’ideale della nuova sintesi sociale, le caratteristiche che mostra, la sostanza ideologica (storicamente recuperata) di cui è impregnata sembrano riferirsi all’atmosfera politica e teorica del consiliarismo tedesco anni ’20. Vale a dire che il progetto di sintesi sociale non mantiene la maturità dei presupposti teorici da cui è attraversato: essi sono la maturazione e la socializzazione della potenza del lavoro astratto come nuovi termini di definizione della classe operaia. Quando dall’analisi del concetto si passa a quella del soggetto della nuova sintesi, gli elementi di riferimento storico sembrano ridiventati fondamentali ed esclusivi: la centralità produttiva del lavoro astratto come potenziale rivoluzionario si piega alla determinatezza storica di contenuti soggettivi artigianali-professionali-consiliari. Si assiste al paradosso di un lavoro astratto che, per divenire soggetto rivoluzionario, deve riconquistare caratteristiche di lavoro concreto. Ma ciò è contraddittorio con tutto quanto precede, col presupposto cioè che l’unità della mente e della mano costituisca un’unità sociale e astratta, e ponga la base dell’unità del progetto comunista al più alto livello dello sviluppo capitalistico. La nuova sintesi va teoricamente articolata a questo livello della forza produttiva e programmaticamente disposta a questo livello della sua possibilità sovversiva.
In questo modo, d’altra parte, liberandosi una serie di elementi che a noi sembrano troppo storicamente determinati e limitati, il pensiero di Sohn-Rethel può essere aperto a una complessità di sviluppi e di usi. Per gli usi val la pena di insistere su quelli che si collegano all’interpretazione marxista degli strati emergenti e della proletarizzazione dell’intelligenza tecnica. Su questi temi il lavoro teorico e politico è iniziato ma è davvero solo all’inizio se si pensa alla quantità e alla qualità dei campi di analisi e di pratica trasformatrice della realtà cui l’analisi deve applicarsi. Ora, su questo terreno, è immediatamente evidente l’importanza preliminare dell’approccio di Sohn-Rothel: l’analisi e la critica dell’ideologia possono essere qui interamente riconsegnate alla lotta di classe. È infatti sul terreno di classe che Sohn-Rethel ci propone di usare la dialettica marxiana, sul terreno della “merce sociale”, non solo dunque della socialità delle merci, ma di quel particolare modo di riproduzione del proletariato (dello sfruttamento della forza lavoro) che è proprio del capitale sociale. Il “nuovo modo di esposizione” comincia qui a far le sue prove. Questo metodo e questi livelli di analisi possono, su queste basi, essere generalizzati (Die Doppelnatur, pp. 69-70).
La classe operaia è forte?
Naturalmente, non c’è uso di una teoria che non sia anche suo sviluppo. Ma, oltre agli usi e agli sviluppi legati all’uso, il pensiero di Sohn-Rethel – soprattutto dal punto di vista operaio – merita uno svolgimento connesso ai più interni elementi della sua proposta e del suo metodo. In particolare ciò riguarda il problema della transizione e l’istanza di reintrodurre – eliminato quello legato alla teoria del valore – un criterio razionale di valutazione dei suo passaggi politici e strutturali (Die Doppelnatur, p. 34 sgg.). È davvero tanto forte la classe operaia da poter porre il problema della misura della propria forza? Da poter radicalmente negare l’uso della legge del valore nella determinazione della pianificazione per il comunismo (contro la pratica universalmente imposta dal menscevismo)? Da poter dedurre in maniera razionalmente adeguata lo sviluppo della propria rivoluzione? Questi sono interrogativi che già risuonano in un’area tanto più larga del mondo dei lettori di libri filosofici, interrogativi che drammaticamente insorgono ogni qualvolta – come oggi sempre più frequentemente – l’azione della classe operaia tenta di organizzarsi in programma comunista e su questo progetto converge tutto il proletariato. Il bisogno di comunismo si fa bisogno di teoria proprio attorno a questo astrattissimo problema. Certo alcune importanti risposte le possediamo già: la forza-invenzione proletaria da liberare e la “capacità di godere”, come dice Marx, da ricostruire collettivamente, entrambi come elementi del rifiuto operaio della costrizione capitalistica al lavoro – questi sono temi sui quali concentrare il dibattito. Ma c’è anche altro, la necessità cioè che queste tematiche si colleghino al progetto di organizzazione, e quindi alla misura del rapporto strategia-tattica, composizione-programma. Il pensiero di Sohn-Rethel ci porta fino alla soglia di queste problematiche.
Per concludere, Sohn-Rethel è, per così dire, un autore che ci introduce al tema del soggetto rivoluzionario. La sua analisi, tuttavia, perviene a questo problema in maniera ribaltata, attraversando il mondo della merce e interiorizzando il senso della sconfitta. Maniera ribaltata ma reale, dialetticamente corretta. La maturazione storica ed il raddrizzamento teorico del suo discorso ci rendono infatti la tematica del soggetto oltremodo arricchita, adeguata alle attuali urgenze dell’analisi comunista, che deve interamente provarsi sul terreno teorico pratico della ricomposizione del lavoro astratto, dell’articolazione delle sue stratificazioni, dell’unificazione della sua coscienza. E soprattutto deve provarsi sulla questione del programma, che è prima di tutto capacità di quantificare la propria forza in termini di trasformazione della realtà. Naturalmente, e su ciò in Sohn-Rethel non ci sono dubbi, trasformazione rivoluzionaria, trasformazione che è sconfitta del nemico: “La formula e la legge economica che derivano dalla socializzazione strutturale del lavoro è una condizione necessaria ma non sufficiente a rendere possibile una società senza classi”.