Di SERGIO FONTEGHER BOLOGNA
Penso valga la pena ricordare, sia pure per brevi cenni, una delle iniziative di Toni Negri che ha lasciato un segno nella storia dei movimenti rivoluzionari degli anni 70 e in particolare nell’evoluzione del pensiero “operaista”. In questa iniziativa Toni volle coinvolgermi in un momento in cui i nostri rapporti erano diventati complicati a causa della mia uscita da Potere Operaio avvenuta proprio nel momento in cui, grazie a Toni, ottenevo un incarico di insegnamento presso l’Istituto di Dottrina dello Stato della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Padova, novembre 1970.
Il bisogno di riprendere una produzione teorica dopo la fase Quaderni Rossi-Classe Operaia si era fatto impellente una volta che il ciclo di lotte operaie, iniziato a Milano con lo sciopero dei 70 mila elettromeccanici del 1960-61, si era concluso alla fine del 1969. La costituzione materiale del Paese era cambiata ed erano cambiate con la strage di Piazza Fontana le regole non scritte del gioco politico. Le previsioni dell’operaismo di un’offensiva operaia di rottura si erano avverate del tutto, il soggetto protagonista di quella fase conflittuale era stato ben individuato nell’operaio massa, il lessico operaista ormai veniva utilizzato anche dai detrattori dell’operaismo. Era necessario riorganizzare l’intero bagaglio concettuale che aveva consentito di ottenere quei risultati ma al tempo stesso era necessario, preso atto che la costituzione materiale del paese era cambiata, aggiornare i dispositivi culturali e teorici che ci avrebbero permesso di affrontare la nuova fase. Dovevamo esplicitare il percorso che ci aveva portati al 68/69 e tracciare in anticipo quello che avremmo dovuto e voluto intraprendere.
Per Toni c’era un’esigenza in più, l’esigenza molto banale di trovare una sede dove mettere a disposizione di tutti i risultati del lavoro di ricerca che il Collettivo di Scienze Politiche aveva iniziato, una volta che l’organico dell’istituto era stato completato e che consisteva in una cattedra, quella di Toni, in quattro incarichi d’insegnamento e in una serie di figure di ricercatori-tecnici. I nomi dei titolari erano Luciano Ferrari Bravo, Ferruccio Gambino, Mariarosa Dalla Costa, Alisa Del Re, Guido Bianchini, Sandro Serafini, Sergio Bologna.
Toni prende contatto con la casa editrice Feltrinelli, della quale ero un collaboratore almeno da una decina d’anni, e si rivolge al direttore editoriale Giampiero Brega, uomo di grande sensibilità e intelligenza, e gli propone di dedicare una collana speciale ai lavori di questo gruppo di ricerca, senza impegnarsi per una quantità determinata di volumi all’anno. Una collana che avrebbe fatto parte della saggistica, ma con una sua denominazione, Materiali marxisti, già utilizzata da “Contropiano”, la rivista che Toni aveva accettato di lanciare assieme ad Asor Rosa e Cacciari, ma dalla quale si sarebbe allontanato dopo il primo numero (1968). Non ricordo se agli incontri e alle discussioni con Brega avessi partecipato pure io, né ricordo se Toni mi avesse messo al corrente della sua idea prima di parlarne con la casa editrice. Per certo io esercitai la mia funzione di condirettore di collana soltanto fino al settembre 1974, lasciando poi che la responsabilità delle scelte editoriali fosse interamente assunta dal Collettivo di Scienze Politiche, in particolare da Luciano Ferrari Bravo e Sandro Serafini. Io dall’anno prima, 1973, avevo cominciato ad occuparmi intensamente della rivista “Primo maggio” ed a quella dedicavo gran parte della mia attenzione di militante e di studioso. Era una rivista che ben poco aveva a che fare con Padova, ancor meno con l’ambiente accademico, perché era radicata a Milano nel circuito delle librerie indipendenti, punti di riferimento, come la Calusca di Primo Moroni, dei movimenti di base diffusi e della cultura underground. Il Collettivo di Scienze Politiche non è mai stato coinvolto nella preparazione dei numeri di “Primo Maggio”, solo Ferruccio Gambino ha dimostrato interesse e la disponibilità a collaborare. Toni stesso, una volta pubblicati i due importanti saggi su “Marx e la crisi” e sul “Partito Operaio contro il lavoro”, segue le pubblicazioni della collana con un certo distacco, salvo poi riprenderla totalmente in mano alla fine del decennio con La forma Stato (1977), Marx oltre Marx (1979) e Il comunismo e la guerra (1980), quando oramai è in carcere.
1. Il primo volume della collana s’intitola Operai e Stato, oggi lo abbiamo nella ristampa di Derive e Approdi. Consiste in gran parte dei materiali che erano stati presentati nel corso di un seminario che si era svolto presso l’Istituto di Toni Negri a Padova nel dicembre 1967. I pochi accenni che farò a quel seminario sono frutto della memoria di Ferruccio Gambino, io ho completamente cancellato quell’evento e sono stato sempre convinto che quel seminario in realtà si fosse svolto a casa di Toni a Venezia, quando abitava sul Canal Grande. In ogni caso una cosa è certa, quei testi – in particolare il mio, quelli di Rawick, il testo di Negri su Keynes e il testo di Luciano Ferrari Bravo – sono tutti precedenti l’ondata delle lotte operaie che hanno portato ai Comitati di base della Pirelli, alle lotte Fiat, al maggio francese, possiamo dire che sono per un verso la coda dell’elaborazione teorico-politica di “Classe Operaia” e dall’altro l’inizio di una produzione teorica che anticipava l’autunno caldo. Il seminario era caratterizzato dalla presenza di George Rawick, uno dei grandi storici radicali americani che era stato portato in Italia da Gambino. Con lui saremmo andati, Ferruccio ed io, a visitare gli stabilimenti Fiat di Torino e Olivetti di Ivrea. Rawick tenne delle conferenze in altre città italiane, a Firenze nella sede del Centro Francovich, che era stato sempre il punto d’incontro della redazione di “Classe Operaia”. Il testo di Mauro Gobbini invece era di qualche anno dopo, era stato presentato a Padova a un seminario della fine 1970, mentre il testo di Negri su Marx e la crisi e di Gambino sulla Ford inglese sono stati scritti esplicitamente per il volume, quindi l’anno successivo. La data esatta dell’uscita del libro è 31 dicembre 1971, la data di edizione è 1972, quindi prima della morte di Giangiacomo Feltrinelli, avvenuta nel marzo 1972. Il fatto che Potere Operaio, di cui Negri allora era un importante esponente, avesse avuto contatti con Feltrinelli quando era entrato in clandestinità, non ebbe conseguenze nei rapporti editoriali con la casa editrice, grazie soprattutto a Brega, ma avrebbe comunque creato in certe figure più legate alla famiglia e all’Istituto (oggi divenuto Fondazione) una certa avversione verso Negri che si sarebbe manifestata nel 1979 al momento in cui scattò l’operazione 7 aprile.
Operai e stato può in un certo senso considerarsi lo sviluppo di quella intuizione trontiana che diede il titolo al primo editoriale di “Classe Operaia”: Lenin in Inghilterra. Infatti i saggi di Negri, Rawick, Gobbini, Gambino, Ferrari Bravo inquadrano, tutti, i problemi della rivoluzione della classe operaia nello scenario dei paesi industrialmente più avanzati: Stati Uniti e Gran Bretagna, rompendo un’impostazione, che era dominante in tutte le formazioni a sinistra del PCI, di collocare le problematiche della rivoluzione nello scenario della rivoluzione d’ottobre in Unione Sovietica o in quello dei paesi del cosiddetto Terzo Mondo, di cui allora nel lessico occidentale faceva parte pure la Cina di Mao. Il mio saggio invece spiegava la genesi del concetto di operaio massa, un termine che, lanciato nel seminario del 1967 e ripreso subito nei volantini distribuiti davanti a tante fabbriche, ormai era stato adottato a livello generale nelle grandi lotte del ‘68/’69. Un discorso, quello che facevo in quel saggio, che s’inseriva nel filone aperto da Romano Alquati sulla composizione di classe e cercava di svilupparlo con gli attrezzi di lavoro dello storico e non con quelli del sociologo. Il mio saggio sarebbe stato tradotto in tedesco l’anno successivo dal Merve Verlag di Berlino, che lo pubblicò assieme ad uno scritto di Cacciari sul Linkskommunismus. Per l’edizione tedesca io aggiunsi una nota bibliografica.
2. Stato e sottosviluppo: il caso del Mezzogiorno italiano, era il secondo volume della collana.
Era il risultato del progetto di ricerca – penso finanziato dal CNR – avviato da Toni Negri nel 1969 e concluso due anni dopo per il quale aveva ingaggiato, come coordinatore, Aldo Musacchio, che era stato Segretario della Cassa per il Mezzogiorno, un uomo quindi che aveva vissuto in prima persona il grande sogno di poter trasformare l’economia del Sud mediante processi di programmazione interamente governati dall’apparato pubblico. Un processo che indubbiamente contribuì a superare certi squilibri ma ne creò degli altri. Il richiamo all’esperienza del New Deal, mutatis mutandi, era inevitabile ma lo era altrettanto il confronto con “il piano del capitale” che era stato all’origine dell’esperienza dei “Quaderni Rossi”. Il volume esce ancora nella collana diretta da me e da Toni Negri, in realtà io non feci mai parte del gruppo di ricerca CNR, quindi l’intera responsabilità della progettazione e realizzazione del volume fu di Luciano Ferrari Bravo in collaborazione con Serafini e Guido Bianchini e la supervisione di Negri. E fui del tutto estraneo anche alla realizzazione del terzo volume della collana, Lo schiavo americano dal tramonto all’alba di George Rawick, che fu tradotto da Bruno Cartosio, il quale aveva iniziato con me a Milano la pubblicazione della rivista ”Primo maggio”, una rivista, tra l’altro, che avrebbe avuto tra i suoi collaboratori alcuni dei maggiori specialisti della storia operaia degli Stati Uniti, da Cartosio stesso a Gambino, da Fernando Fasce ad Alessandro Portelli ed altri, portando alla conoscenza del pubblico italiano l’entusiasmante storia dell’IWW, il sindacato che aveva organizzato i lavoratori mobili, stagionali e precari provenienti dalle ondate migratorie del primo 900, tra i quali molti italiani di orientamento anarcosindacalista, aventi le tipiche caratteristiche dell’operaio massa. Ricordo che, divenuto incaricato di Storia del movimento operaio, la prima tesi di laurea che seguii e presentai come relatore fu quella di una studentessa, Serena Tait, su Louis Fraina, un sindacalista italiano emigrato in America in quel periodo del primo Novecento.
Il libro di Rawick fece molto rumore, l’anno precedente Einaudi aveva pubblicato L’economia politica della schiavitù di Eugene D. Genovese. La storia del proletariato americano aveva contribuito fortemente alla formazione della cultura dei movimenti studenteschi del 67/’68. Einaudi aveva pubblicato il 1 gennaio 1967 Autobiografia di Malcom X, tradotto da Roberto Giammanco, ne avevano parlato subito i “Quaderni piacentini”; fu invitato in Italia James Boggs, che venne con la moglie Grace Lee Boggs; tenne varie conferenze affollatissime, a Milano all’Università Statale e poi in una sede del PSIUP, dove gli fece da traduttore Ferruccio Gambino; quella alla Facoltà di Sociologia di Trento fu in parte realizzata con il mio contributo, perché lo misi in contatto con gli studenti di Trento, che in seguito saranno tra i fondatori di Lotta Continua.
Il volume successivo fu L’operaio multinazionale in Europa, uscito nel maggio 1974, curato da Sandro Serafini, con contributi, tra gli altri, di Mariarosa Dalla Costa, Claudio Greppi, Yann Moulier e Karl Heinz Roth. In quel periodo Claudio Greppi, geografo, compagno che aveva partecipato sin dall’inizio all’esperienza di “Quaderni Rossi” e ancor prima alla pubblicazione del giornale “Democrazia Diretta” con Gianfranco Faina a Genova, aveva preso casa a Venezia avendo ottenuto un insegnamento al corso di Urbanistica di Preganziol, come Luciano Ferrari Bravo. Aveva quindi preso l’abitudine di frequentare intensamente l’Istituto di Toni a Padova, in particolare per l’amicizia con Guido Bianchini, mettendo a disposizione le sue ricerche statistiche e le sue mappe sulla distribuzione della classe operaia in Europa. Il termine “operaio multinazionale” fa parte della grande produzione lessicale dell’operaismo, come “operaio massa”, “composizione politica di classe”. Il lessico è una grande forza identitaria, il lessico operaista aveva la particolarità di unire a una parola un concetto, che a sua volta rimandava a dei ragionamenti storici/economici/sociologici complessi. Il lessico operaista insomma non era fatto di semplici “neologismi”, per questo riuscì a imporsi anche fuori dal perimetro operaista. In linea generale l’”operaio multinazionale” seguiva la traccia dell’editoriale del n. 2 di “Classe operaia”, che era intitolato Lotte in Europa, scritto da me, così come Operai e stato aveva raccolto lo spunto dall’editoriale del n. 1, Lenin in Inghilterra, scritto da Mario Tronti.
3. Il volume successivo, Crisi e organizzazione operaia, uscito nel settembre 1974, ha per me un valore e un significato particolari. E’ composto da soli tre saggi, un saggio di Paolo Carpignano, tradotto da Pancino, e uscito in inglese sul primo numero di “Zerowork”, rivista nella quale era fortemente impegnato Ferruccio Gambino, e il saggio di Toni, Partito operaio contro il lavoro. Negri doveva averlo scritto in una fase molto complessa della sua vita. Era uscito da Potere Operaio, aveva abbandonato una parte di quei compagni con i quali aveva condiviso i momenti più alti della lotta di classe in Italia, aveva la necessità di porre le basi programmatiche di un nuovo movimento politico che sarebbe stato l’Autonomia operaia. Per me il saggio su “Marx corrispondente della ‘New York Daily Tribune’” rappresenta un passaggio importante della mia storia intellettuale e professionale perché segna l’inizio del mio interesse per l’industria dei trasporti e della logistica, seguendo il magistero di David S. Landes, per il quale la seconda rivoluzione industriale è impensabile senza la rivoluzione nei trasporti della metà dell’Ottocento.
I tre volumi successivi della collana furono curati tutti dal Collettivo di Scienze Politiche di Padova. Il primo, Sulla Fiat e altri scritti di Romano Alquati, è stato curato da Guido Bianchini, il secondo, Imperialismo e classe operaia multinazionale, con introduzione di Luciano Ferrari Bravo, uscito in aprile 1975, è un’antologia di testi di otto autori: J. O’ Connor, M. Nicolaus, E. Mandel, C. Neusüss, R. Vernon, S. Hymer, N. Poulantzas, F. Gambino. Il terzo, Sviluppo e sottosviluppo. Un’analisi marxista, di Geoffrey Kay, fu tradotto da Giuliano Ferrari Bravo (il fratello minore di Luciano) e Francesca Guarneri. Fu pubblicato nel 1976. Io ero praticamente uscito dalla progettazione della collana, ma rientrai per la preparazione del volume successivo, il n. 9 della serie: L’altro movimento operaio. Storia della repressione capitalistica in Germania dal 1880 a oggi, di Karl Heinz Roth, tradotto da Lapo Berti, un compagno della redazione di “Primo maggio” che ha avuto una lunga militanza in “Classe Operaia”, ha partecipato a Potere Operaio e ne è uscito nel 1973. K.H. Roth è stato uno dei dirigenti del movimento studentesco tedesco, SDS, attivo a Amburgo. Era venuto in Italia, a Milano, già nel 1970, per incontrarmi e conoscere l’operaismo italiano, poi verrà a Padova per conoscere il Collettivo di Scienze Politiche. Sarà tra i fondatori del gruppo Proletarische Front e ha sempre riconosciuto il suo forte debito verso l’operaismo italiano.Il suo libro, scritto in parte con la sua compagna Angelika Ebbinghaus, ebbe vasta diffusione, fu tradotto in varie lingue ma nel corso degli anni emersero anche i suoi grossi limiti, per cui gli autori ne vietarono ulteriori edizioni e traduzioni, fino al 2007, quando permisero la traduzione in spagnolo, preceduta però da una lunga prefazione in cui analizzavano in dettaglio i principali punti deboli del loro impianto storiografico. In quel periodo, 1972-74, Padova era la meta di diversi personaggi del marxismo contemporaneo, tra cui Alfred Sohn-Rethel. Ricordo che Ferruccio Gambino ed io lo portammo a pranzo ad Arquà Petrarca. Nel 1977 uscì per la collana I fatti e le idee di Feltrinelli (ma in realtà era un volume dei Materiali marxisti) la traduzione di Lavoro manuale e lavoro intellettuale. Per la teoria della sintesi sociale di Sohn-Rethel.
4. Gli anni tra il ‘75 e il ‘77 sarebbero stati quelli dei miei rapporti più difficili con Toni, tanto è vero che avevo cercato di trasferirmi ad Architettura di Milano dove insegnava Alberto Magnaghi, ottenni lì un incarico per due anni ma fui sommerso dai ricorsi per cui dovetti desistere. Anche Negri d’altro canto aveva cercato di prendere le distanze dall’università italiana andando ad insegnare a Parigi. Così nacquero gli ultimi volumi della collana, scritti tutti da lui, come La forma Stato e Marx oltre Marx, che rappresentano una tappa molto importante della sua produzione teorica. Ma prima di questi ultimi volumi Feltrinelli pubblica, sempre nella collana Materiali marxisti, il saggio di Benjamin Coriat, La fabbrica e il cronometro. Saggio sulla produzione di massa, magistralmente tradotto da Luciano Ferrari Bravo, 1979.
Poi arriva il 7 aprile, Toni Negri e gli altri compagni dell’Istituto, Alisa, Luciano, Guido, Sandro, vengono arrestati e dentro la casa editrice Feltrinelli persone come Giampiero Brega e Sylvie Coyaud sono attive nella campagna di solidarietà con gli arrestati, non solo, la casa editrice pubblica ancora di Toni Negri Il comunismo e la guerra. Invece all’interno dell’Istituto Feltrinelli c’è chi collabora con i magistrati, permettendo loro l’accesso all’archivio personale che Toni aveva lì depositato. È soltanto l’inizio di un cambiamento radicale di linea politica che coinvolgerà poi anche la casa editrice e che avrà come conseguenza l’invio al macero di tutte le copie rimaste in magazzino della collana Materiali marxisti. Avvertito quando ormai era troppo tardi, riuscirò a salvarne qualcuna. Nel 1985 Ferruccio Gambino, rientrato dall’estero dopo un’assenza dall’Italia di quasi cinque anni, riceverà una telefonata da un ragioniere della Feltrinelli che gli offre di acquistare una giacenza di Operai e Stato soltanto, le copie di tutti gli altri volumi della collana essendo già state distrutte. Ferruccio ne prenderà 200, che negli anni regalerà ai compagni. Oggi si può trovare qualcosa in antiquariato. Se Derive&Approdi volesse ristampare qualche altro volume di quella collana non sarebbe una cattiva idea.
La stesura di queste brevi note non sarebbe stata possibile senza il supporto della memoria di Ferruccio Gambino, Sylvie Coyaud, Karl Heinz Roth, Claudio Greppi, Paolo Carpignano. Li ringrazio e chiedo comprensione per le forti lacune dei miei ricordi.