Di CHIARA GIORGI

«Si vive, ci si ammala e si muore di classe. Tutto si risolve in ultima analisi in un aumento di capacità del capitale a gestire medicalmente la società, magari fingendo di gestire socialmente la medicina». Così scriveva negli anni Settanta Giulio A. Maccacaro figura chiave di una critica radicale alla medicalizzazione della società e di un processo di politicizzazione del sapere medico-scientifico fondato su una lettura di classe e su una dimensione collettiva della salute, come condizione e sostanza di quella individuale. La consapevolezza forte di allora era infatti che la salute fosse fatto sociale e politico, sociale nella genesi e politico nella risoluzione, e che proprio la medicina dovesse farsi politica, ossia essere investita da progetti e istanze di trasformazione complessiva.

E proprio questa chiave di interpretazione si rivela oggi di grande importanza per leggere le sempre più crescenti diseguaglianze che sul terreno della salute e dell’accesso alla sanità si producono, ma anche per cogliere le resistenze e i conflitti che su questo ambito si danno. L’ultimo libro di Domenico Ribatti (Diseguaglianze e malattie. La sfida aperta della sanità mondiale, La nave di Teseo, pp. 153), si concentra sulle disparità nella salute e sulle problematiche che ruotano attorno alle possibilità di accedere a servizi sanitari equitativi, universalistici e garantiti. Sin dalle prime pagine Ribatti definisce il diritto alla salute come un diritto «inclusivo», in quanto esso nel suo statuto implica non solo l’accesso a cure e strutture mediche qualificate, ma comprende «molti altri fattori senza i quali non è possibile vivere in piena salute, come l’accesso al cibo, all’acqua», ad un ambiente salubre, a informazioni corrette in materia di prevenzione. Di qui prende corpo una disamina anche storica, benché a tratti rapida, della traiettoria della salute in Italia e in Europa, che va dall’età moderna sino ai giorni nostri, nella non facile impresa di condensare in un numero di pagine contenuto il tema. Si ripercorrono allora alcuni momenti chiave di questa vicenda, dalla formazione della medicina sociale nel XVIII secolo (come Foucault ci insegna), al decollo ufficiale del welfare state con il Piano Beveridge, alla creazione dell’OMS, alla nascita dei primi servizi sanitari nazionali, all’introduzione della Primary Health Care nel ’78, alla riorganizzazione del capitalismo in chiave neoliberale che della salute ha fatto uno dei suoi ambiti privilegiati per nuovi processi di valorizzazione del capitale. Si dà spazio alla voce di alcuni protagonisti e interpreti di riflessioni e pratiche politiche alternative su questo versante, da Franca Ongaro Basaglia, al più problematico Ivan Illich, a Maccacaro, a cui peraltro l’autore ha di recente dedicato un’altra pubblicazione. Si forniscono dati importanti delle attuali condizioni di salute presenti in più realtà del mondo, sottolineando con forza come alla base delle malattie vi siano politiche sanitarie e politiche socio-economiche inique. Ribatti ci fornisce una sorta di mappa delle diseguaglianze mondiali della salute, soffermandosi sulle odierne disparità e discriminazioni, diremmo di classe, sesso e razza, che rendono “la salute diseguale”, prendendo anche in considerazione la condizione dei migranti e degli immigranti e le loro difficoltà nell’accesso ai servizi sanitari. A riproporsi con forza, di contro a un paradigma selettivo e biomedico della salute, tutto incentrato sull’approccio individuale alla malattia, è l’attenzione ai determinanti sociali della salute, alla tutela e promozione di un diritto sociale fondamentale che nell’ottica di Ribatti rientra nella questione dei diritti umani, la quale «permette di identificare la complessa relazione tra salute e giustizia». È questa prospettiva che a suo parere consente di concentrarsi sui soggetti più svantaggiati che rischiano di rimanere ai margini delle decisioni prese in materia sanitaria. Potremmo aggiungere, che questo è oggi un punto centrale affinché, più che affidarsi agli “esperti”, diritto alla salute e accesso universale ai servizi sanitari siano parte integrante di una politica del cambiamento e della liberazione. Se la salute globale, come scrive l’autore, ha l’obiettivo di lottare contro le diseguaglianze per garantire a ciascuna/o questo diritto, e se, viceversa, da decenni l’agenda politica sanitaria si è orientata verso una sempre maggiore dipendenza dai criteri di compatibilità economica, in una progressiva inversione di tendenza dal pubblico al privato, la sfida su questo versante è più che mai all’ordine del giorno. Una sfida che comporta non solo un rilancio dell’autonomia e dei principi democratici e universalistici dell’OMS, di un progetto comune per un Europa sociale capace di adottare politiche di contrasto alla povertà, ma anche una profonda riformulazione dei nessi costitutivi tra istanze di eguaglianza e di libertà.

Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il 18 dicembre 2021.

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