di CARMELO PALLADINO.
Chi definisce la scuola “la Russia di ogni governo” e si stupisce del fatto che ogni qualvolta si provi a mettere le mani sulla scuola c’è sempre un’ondata di protesta e di indignazione da parte di insegnanti e studenti, finge di ignorare che in realtà l’opposizione è costante perché costantemente si propone – pur con abito nuovo – la medesima riforma.
Il progetto della cosiddetta “buona scuola”, infatti, intende dare “piena attuazione” alla legge sull’autonomia scolastica varata nel marzo del lontano 1997 e citata da tutti i precedenti disegni di legge1, siano essi stati approvati o meno.
Per non distinguersi, tra marzo e luglio 2014, Giannini e il fu sottosegretario Reggi erano stati espliciti sul tema2, ma è l’art. 1 del DDL approvato purtroppo il 20 maggio scorso alla Camera che lo attesta definitivamente3. Se qualcuno poi nutrisse ancora dei dubbi, lo conferma anche la serie di accorati suggerimenti che Luigi Berlinguer, ministro dell’Istruzione dal maggio del 1996 all’aprile del 2000, ha recentemente voluto fornire al Presidente del Consiglio sulla condotta da seguire per raggiungere l’obiettivo4.
Chi si è opposto prima e continua a farlo ora, quindi, si oppone di fatto al medesimo progetto, ovvero quello che ha come parola chiave l’autonomia, o meglio, per ridare il significato corretto alle parole, l’aziendalizzazione della scuola pubblica. Per verificare quanto detto è sufficiente leggerne il testo (L. 59/1997, art. 21): in esso la cifra aziendalistica investe sia il piano lessicale (il preside diventa dirigente, lo studente utente, gli obiettivi educativi offerta formativa) sia quello pratico (le istituzioni scolastiche, cui viene conferita personalità giuridica, possono accettare donazioni da privati, stipulare convenzioni con soggetti esterni, partecipare a consorzi per acquisire beni e servizi)5 e si lascia così alle spalle le finalità educative, di fatto trasformate in finalità di mercato. Il privato che investe nell’Istruzione pubblica, come facilmente intuibile, non lo fa certo per scopi filantropici, bensì, come il suo ruolo richiede, per motivi di lucro e/o pubblicitari. Basti pensare ai buoni scuola Conad, dove la catena di supermercati donava beni agli istituti i cui componenti avessero fatto la spesa presso i propri punti vendita. La banca che magari sponsorizza la digitalizzazione delle aule non insegna ai ragazzi ad essere innovativi, ma suggerisce loro dove andare a firmare il primo debito. E lo stesso si può dire per quell’industriale che finanzia nuove attrezzature: egli vorrà in cambio una competenza forgiata ad hoc, privando così i futuri lavoratori di una compagine di conoscenze più ampie che potrebbe servire loro per aumentare la propria professionalità. In poche parole vengo trattato come consumatore persino nel luogo in cui dovrei formarmi come cittadino, in cui dovrei apprendere il sapere critico, in cui dovrei svilupparmi appieno come persona. Piegare l’istruzione alle esigenze di mercato non significa dunque essere innovatori, ma reazionari, vuol dire dimenticare i diritti del Novecento per ritornare ai privilegi dell’Ottocento. Ecco perché del DDL n. 2994 non è possibile chiedere semplici modifiche, ma va preteso il ritiro; il suo problema è l’impianto complessivo, non i singoli provvedimenti. Ne è dimostrazione uno tra i punti al centro – insieme al 5xmille6 – del dibattito mediatico di questi giorni, vale a dire la possibilità che ogni dirigente avrà di scegliere (o meglio individuare, come recita la più recente versione del testo) all’interno di un albo territoriale gli insegnanti a cui assegnare incarichi triennali, eventualmente riconfermabili. La cosiddetta “chiamata diretta”. Tale provvedimento, conferendo maggiori poteri al dirigente scolastico, rappresenta in effetti un vero stravolgimento sia nel sistema di reclutamento, sia in quello afferente la libertà d’insegnamento e non solo7. Non a caso, considerando gli evidenti rischi di favoritismi e discriminazioni cui si presta, ha suscitato un certo scalpore anche tra i non esperti del mondo della scuola. Ciò che stupisce, invece, è che persino la posizione critica assunta dalla minoranza interna al PD si concentri su questo argomento, visto che esso è pienamente in linea con la scuola dell’autonomia che il Partito Democratico – come dimostrato – propone da anni. A pensar male non si sbaglia, diceva qualcuno, e allora forse i Fassina del caso utilizzano il punto più mediaticamente spendibile per governare la protesta (nel PD ci sono anche i buoni), per fare emendare il DDL (vedete che noi serviamo) e alla fine fare passare comunque il testo di legge (le due anime si ricompattano e sono felici), la cui aberrazione non risiede affatto tutta lì.
Prendendo in esame le assunzioni, altro punto in auge, il messaggio dominante è che, affinché esse siano possibili, è necessario attuare l’”organico funzionale” o “organico dell’autonomia” (a proposito). Falso. I posti stabilizzati non saranno nemmeno sufficienti a coprire il fabbisogno del prossimo anno, ci sarà senz’altro bisogno di ulteriori supplenze. Tra l’altro il tanto sbandierato (anche alla lavagna) ampliamento formativo è vero solo in parte, nel senso che non modifica il quadro orario ridotto nel 2008 ripristinando ex legis il maltolto, bensì pone l’eventuale incremento didattico come atto volontario di ogni singola istituzione scolastica; non riduce il numero di alunni per classe tout court, bensì dà solo la facoltà ai dirigenti di contravvenire alla norma qualora si ritenga necessario8; non rende le scuole punti di riferimento nel territorio perché, ancora una volta, non aumenta il monte-ore settimanale. E allora a cosa servono insegnanti non più legati alle cattedre (il contratto viene ipso facto stracciato) ma sempre disponibili a muoversi dove serva? A comandarli meglio, caro Cappuccetto Rosso, a gestirli come se la scuola, invece di un bene comune che deve educare equamente, fosse cosa nostra, a far sì che le relazioni all’interno dell’istituto siano sempre più deboli, così i lupi saranno sempre più lupi e quelli come te, mio Cappuccetto, sempre più carne per i loro denti. Lo fanno notare addirittura facinorosi del calibro di De Mauro9 e Rodotà.
Il lemma autonomia dovrebbe significare la facoltà e la capacità del singolo di regolarsi liberamente e, per estensione, indipendenza e libertà di agire. Le scuole autonome e l’organico dell’autonomia, dunque, dovrebbero avere come massimo valore e come obiettivo fondante, la libertà. Libertà dei singoli soggetti conseguita mediante le libertà d’insegnamento e di apprendimento. L’autonomia della “Buona scuola” e del PD, invece, ha come valore e obiettivo fondante la dipendenza (leggi servitù), dal dirigente e dal territorio. Ne hanno svuotato il significante per imbottirlo di un altro significato, piano piano, poco a poco. «Le parole possono essere come minime dosi di arsenico: ingerite senza saperlo sembrano non avere alcun effetto, ma dopo un po’ di tempo ecco rivelarsi l’effetto tossico».10.
«La presente iniziativa legislativa rappresenta una legge generale di princıpi che rispetta, approfondisce e valorizza le norme sull’autonomia organizzativa della citata legge n. 59 del 1997, di cui realizza veramente la lettera e lo spirito» (PDL Aprea 953/2008, p.2); «contrariamente a quanto avvenuto nel passato, mirano anche a realizzare il riordino complessivo del sistema, attraverso la valorizzazione dell’autonomia delle unità scolastiche, il pieno coinvolgimento delle Regioni e delle Autonomie locali, una nuova governance territoriale dell’istruzione/formazione e un più appropriato ed efficace utilizzo delle risorse» (Gelmini, piano programmatico di cui all’art. 64 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112 convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133); «in coerenza con il principio di autonomia delle istituzioni scolastiche e secondo i principi sanciti dalla Costituzione, il Governo è delegato ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, nel rispetto delle competenze costituzionali delle regioni e di comuni e province, in relazione alle competenze conferite ai diversi soggetti istituzionali, e dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, uno o più decreti legislativi per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e di istruzione e formazione professionale» (L. 53/2003 Moratti, art.1). ↩
«La disponibilità di risorse è essenziale anche per dare alla scuola un reale regime di autonomia. Le scuole oggi possono, sulla carta, decidere splendidi progetti, e fare scelte per favorire inclusione, il merito, la flessibilità e la personalizzazione dei percorsi formativi, ma di fatto, non ne hanno la possibilità, per i troppi vincoli e per mancanza di mezzi» (Giannini, “Linee programmatiche”, 27 marzo 2014, p.9); «l’autonomia prevista dalla legge Berlinguer, va attuata fino in fondo, dandole le gambe e le risorse per poter correre. Se lo facessimo avremmo realizzato la più grande riforma che questo paese attende nella scuola» (Reggi, 28/06/2014, qui. ↩
(«La presente legge dà piena attuazione all’autonomia delle istituzioni scolastiche di cui all’articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, anche in relazione alla dotazione finanziaria», DDL 2994 del 27 marzo 2015, art. 1. ↩
“Berlinguer: Renzi, devi “spaccare” i sindacati (non scontrarti)”, qui. ↩
Si veda a questo proposito l’articolo di F. Bentivoglio, “Sulla scuola parliamoci chiaro”, qui. ↩
L’articolo 15 prevedeva, contravvenendo palesemente all’art. 3 della Costituzione, che i cittadini potessero devolvere il 5xmille a una singolo scuola, provocando inevitabili disparità qualitative tra un istituto e l’altro. È bene precisare che tale tipo di finanziamento, fortemente osteggiato dalla piazza, è stato stralciato non perché il PD ha ascoltato i 618 mila scioperanti: «Non si accantona né si abbandona l’idea di introdurre il meccanismo “molto utile e produttivo”, prosegue la Giannini. “Il governo si impegna comunque, ritenendo valido il principio che introduceva questo articolo, cioè la possibilità anche per la scuola di ricorrere al 5 per mille, a riproporre, una volta trovati fondi diversi cercando una copertura aggiuntiva rispetto a quelle già stanziate, la norma in un successivo provvedimento che magari affronti temi di natura fiscale”», qui. ↩
Oggi sono i docenti neoassunti, in base allo scorrimento di una graduatoria di merito, a scegliere la sede scolastica in cui prendere servizio e, una volta firmato il contratto, possono esercitare le proprie scelte didattiche senza subire condizionamenti e senza dover dire grazie a chicchessia. ↩
Art. 7 (ora 9), comma 6, si dà la possibilità ai dirigenti di contravvenire al decreto n. 81/2009. ↩
«Professore, entriamo subito nel merito del disegno di legge. Quali aspetti non la convincono? – Dal potere incontrollato dei presidi al ruolo semplicemente consultivo del collegio dei docenti, fino all’assurdo sistema di finanziamento. Il meccanismo del 5 per mille non agevolerà l’autonomia scolastica ma la diseguaglianza: si amplierà la divaricazione economica tra le scuole creando quelle di serie A e quelle di serie B. Nelle zone benestanti giungerà al plesso scolastico un importo maggiore rispetto alle strutture poste in zone disagiate e povere del Paese. Infine, la questione della stabilizzazione degli insegnanti precari come intimato da una sentenza europea. Nel ddl i numeri sono avvolti nell’oscurità, rischiamo di attuare soltanto 100mila assunzioni. E per gli altri?», qui. ↩
V. Klemperer, LTI, La lingua del Terzo Reich, Giuntina, Firenze, 2011, p. 32. ↩