di SANDRO MEZZADRA.

Tornare a leggere Marx oggi non può che significare farsi carico della discontinuità che la storia politica del Novecento ha determinato. Lo scacco dei «socialismi reali» (di stampo sovietico, nazionalista o socialdemocratico) è infatti coinciso con una crisi dei marxismi che non ha risparmiato neppure quelli che si erano costituiti nel corso del secolo come «eretici» – e che pure avevano mostrato una straordinaria vivacità teorica e politica. Ben prima dell”89, del resto, un insieme di movimenti (dalla presa di parola delle donne a quella di una molteplicità di soggetti «subalterni») aveva prima attraversato problematicamente il marxismo, poi contribuito a farlo esplodere. Se da più parti sembra annunciarsi un «ritorno a Marx», è bene auspicare che questo «ritorno» non si esaurisca nella soddisfatta constatazione della lucidità con cui Marx aveva annunciato la globalizzazione del capitalismo e la sua crisi, né nell’immediata riproposizione di una qualche variante di «marxismo». Tanto più dopo che i progressi della nuova edizione critica delle opere di Marx ed Engels (la cosiddetta Mega2) ci hanno in qualche modo consegnato l’immagine di un «altro Marx»: l’immagine cioè di un autore certo dominato da una fortissima «volontà di sistema», ma costretto al tempo stesso dall’urto con la materialità della storia e della politica a riaprire continuamente e a sviluppare in direzioni contrastanti la sua ricerca. L’immensa mole di manoscritti e frammenti di teoria che Marx ci ha lasciato fa della sua opera un vero e proprio cantiere aperto. E come tale è bene oggi considerarla ed esplorarla: a me pare che sia questo il modo più produttivo di leggere Marx oggi, nella prospettiva di una riappropriazione creativa del suo pensiero per la comprensione e la critica del nostro presente.

Taccuini di lavoro

Un eccellente esempio di come questa esplorazione possa essere condotta con rigore filologico e passione politica è ora offerto dal libro di Luca Basso, Agire in comune. Antropologia e politica nell’ultimo Marx (ombre corte, pp. 247, euro 20). La «fedeltà nei confronti dell’approccio marxiano – scrive Basso – consiste, più che nello sclerotizzare un determinato contenuto e una determinata analisi, nella capacità di combinare una critica radicale della configurazione capitalistica presente con una pratica politica destrutturante». Lo studio del modo con cui Marx ha affrontato l’una e l’altra questione (la critica dell’economia politica e la politica rivoluzionaria) costituisce l’obiettivo del volume, che si muove tra l’analisi del primo libro del Capitale (pubblicato nel 1867) e gli scritti attorno alla Comune di Parigi del 1871.

Il libro di Basso affronta anche un gran numero di manoscritti redatti da Marx negli ultimi dieci anni della sua vita, quando il suo lavoro di ricerca, anziché concentrarsi sul secondo e terzo libro del Capitale (ricavati da Engels dai suoi manoscritti), intraprese appunto direzioni molteplici: Marx esplorò gli sviluppi contemporanei di una serie di scienze (dalla geologia alla chimica), si soffermò sull’opera di etnologi e antropologi e allargò ulteriormente l’orizzonte della sua riflessione al di là dell’Europa occidentale (l’interesse per la Russia è qui in particolare decisivo).

L’«ultimo Marx» è da tempo al centro di un vivace dibattito, che si concentra in particolare sugli ultimi due punti richiamati, ovvero sul confronto di Marx con gli etnologi a lui contemporanei (una traduzione parziale dei Quaderni antropologici del 1881-1882 è uscita per Unicopli nel 2009) e sul suo giudizio sulla «comune agricola» russa. Uno degli elementi di maggiore originalità del libro di Basso consiste nella decisione di ricomprendere nell’«ultimo» Marx anche gli scritti solitamente considerati come emblematici della produzione teorica del Marx «maturo»: in particolare il primo libro del Capitale. C’è qui in primo luogo una scelta interpretativa, quella di smarcarsi dalle infinite polemiche che all’interno del marxismo si sono determinate attorno alla questione del rapporto tra il «giovane» Marx e il Marx appunto «maturo»: questo libro muove piuttosto dalla «convinzione di una sostanziale, anche se non aproblematica e lineare, continuità nel percorso marxiano». Sono in primo luogo i problemi affrontati da Marx all’inizio della sua riflessione a rimanere costanti, anche se continuamente sottoposti a verifica, a «rettifica» e a torsioni concettuali con il passare degli anni. Il problema dell’«alienazione» (o «estraneazione»), in particolare, trova secondo Basso una originale riformulazione nell’analisi del «feticismo» delle merci nel primo libro del Capitale, dove è del resto ben presente la traccia della riflessione giovanile sul concetto di «ideologia».

La specificità del feticismo, l’«inversione» che conduce gli uomini a considerare come proprietà «oggettive» delle merci i «caratteri sociali» del loro lavoro, costituisce per Basso una sorta di «filo rosso» che corre attraverso l’intera critica marxiana dell’economia politica.

Oltre l’oggettività 

L’«opacità» che caratterizza il modo di produzione capitalistico si determina proprio dall’interno del continuo gioco di rimandi tra apparenza, realtà e rappresentazione che Marx analizza in modo rigoroso a proposito del feticismo delle merci (ma che ritorna nella sua analisi del denaro, del diritto, del capitale). Ne deriva, per riprendere una formula marxiana, un’«oggettività spettrale», che ha delle ripercussioni molto precise sul modo in cui la soggettività è costruita nel capitalismo – e che, scrive Basso, deve essere percorsa criticamente fino in fondo per fare emergere il profilo della stessa «soggettività operaia», su cui si esercita lo sfruttamento e che tuttavia è sempre in eccesso rispetto alla «misura» capitalistica.

Quel che il «feticismo» presenta agli uomini come una cosa sottratta alla possibilità di disporne non è altro che quel che gli uomini stessi hanno in comune (i caratteri sociali del loro lavoro, l’insieme dei loro rapporti sociali). La separazione del singolo lavoratore dai mezzi di produzione, dalle «condizioni oggettive» del lavoro e in fondo dalla sua stessa forza lavoro (che viene esercitata sotto il «comando» del capitalista), costituisce uno dei tratti essenziali del modo di produzione capitalistico nella prospettiva marxiana. Basso ne ricostruisce la trama concettuale e lo svolgimento storico tra «cooperazione», «manifattura» e «grande industria», mostrando come la separazione stessa si approfondisca, non paradossalmente, mano a mano che si intensifica il carattere sociale del lavoro: ovvero mano a mano che l’«operare insieme» dei singoli lavoratori dà luogo a una «forza di massa» non riducibile alla «mera somma aritmetica di singoli individui». Le condizioni di questo «operare insieme» continuano a essere appropriate dal capitale, così come le «potenze intellettuali» della produzione (la scienza e la tecnica), e si presentano ai singoli lavoratoricome potenze estranee.
Il problema politico fondamentale che Marx ci propone consiste dunque nel pensare un agire in comune attraverso cui i singoli lavoratori possano riappropriarsi di ciò che hanno in comune, di quelle che si possono definire le condizioni comuni della loro singolarità (tema già al centro di un precedente lavoro di Basso, Socialità e isolamento:la singolarità in Marx, Carocci, 2008). Si tratta di un movimento di cui è qui giustamente sottolineato il rilievo antropologico, nel senso che insiste sul terreno che i filosofi della prima modernità indicavano con la formula «natura umana» e che possiamo oggi chiamare produzione di soggettività. Nessun «naturalismo» è del resto concesso, nella prospettiva di Marx: che la «natura umana» sia interamente prodotta dalla storia è cosa che Basso mostra molto bene, ad esempio nelle pagine dedicate all’azione delle macchine sul corpo collettivo operaio. Insistere sulla dimensione «antropologica» del problema politico indicato da Marx significa dunque porre la soggettività sfruttata (la sua produzione, le sue pratiche, il rompicapo della sua liberazione) al centro dell’analisi critica del capitalismo e di ogni politica che ambisca a definirsi «comunista».

L’«agire in comune» diviene così, nella lettura di Basso, la vera e propria cifra della politica marxiana, la forma stessa assunta dal movimento di costituzione delle singolarità sfruttate in classe, tanto all’interno della fabbrica (come emerge in particolare dall’analisi della lotta attorno alla durata della giornata lavorativa) quanto nel movimento insurrezionale della Comune di Parigi, in cui Marx vide il primo esempio storico di «un governo della classe operaia». Il concetto stesso di classe, sotto il profilo politico, si presenta anzi come legato a doppio filo all’«agire in comune» delle singolarità che la costituiscono, nonché a una forma della politica che disegna un rapporto tra «singolarità» e «comune» radicalmente diverso da quello che caratterizza lo Stato moderno.

Il modello dell’universale

Questo rapporto non è del resto in alcun modo assimilabile a quello che caratterizzava le formazioni sociali pre- o non capitalistiche. Resta tuttavia il fatto che l’«ultimo Marx» mette in discussione la rigidità con cui, con l’obiettivo di fare emergere i caratteri di dirompente novità del modo di produzione capitalistico, aveva caratterizzato tali formazioni sociali negli anni Cinquanta (in particolare nei Grundrisse), riconducendole a un generico «organicismo». L’interesse crescente per le società extra-europee e per il lavoro degli etnologi suoi contemporanei determina indubbiamente uno scarto in Marx: l’idea secondo cui il mercato mondiale è il presupposto del capitalismo moderno si carica di sempre maggiore concretezza, mentre viene progressivamente messa in discussione l’immagine di una transizione al capitalismo costruita univocamente sul modello inglese e presentata come «universale».

L’interesse di Marx, negli ultimi anni della sua vita, per forme estremamente diversificate di organizzazione comunitaria può essere legittimamente letto, in questo senso, come accumulo di materiali per la comprensione dei conflitti più significativi che l’espansione mondiale del capitalismo continuava a determinare. All’interno di questi conflitti quello che si è indicato come il problema politico di Marx si poneva in forme diverse e tuttavia non meno intensamente rispetto a quelle da lui analizzate. La comune pre- o non capitalista, come mostra in particolare il caso russo analizzato da Basso, non è certo la soluzione del problema; ma la sua presenza nella riflessione dell’«ultimo Marx» può ben essere assunta come segno della sua tensione a qualificarne e a ridefinirne continuamente i termini, aprendo lo spazio per molteplici «soluzioni», non necessariamente previste.

* Pubblicato su “il manifesto”, 10 novembre 2012.

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