Di GIROLAMO DE MICHELE
Scritto nei mesi del lockdown in quella particolare condizione del lucreziano «naufragio con spettatore», nella quale da una posizione di (apparente) rifugio si assiste alla catastrofe, questo ultimo libro di Adriano Prosperi Tremare è umano. Una breve storia della paura (Solferino, pp. 158, euro 9.90) comincia dove terminava Un tempo senza storia.
IN QUELLA APOLOGIA della storia che era anche una preoccupata meditazione sulla distruzione del passato, Prosperi si chiedeva se dietro le tonalità compassionevoli in tempo di pandemia non si celasse la grave sconfitta delle classi subalterne nella lotta per il loro riscatto: una conclusione che si accompagnava al franco riconoscimento che una brusca scossa nella vita ordinaria come il virus obbliga a cercare risorse nella memoria, mentre il benjaminiano vento di bufera spinge verso l’ignoto futuro.
In questo nuovo libro, che ha nella paura al tempo stesso il soggetto e l’oggetto, Prosperi sviluppa con lucidità i veloci spunti del precedente testo: la saggezza dell’età sembra quasi resistere alla paura dettata dalla constatazione di essere passibile di quella selezione che ha portato a staccare la spina ai più anziani in mancanza di posti negli ospedali.
NELLA CATASTROFE, Prosperi fornisce un nuovo argomento in favore della storia: le fonti del passato fanno affiorare qualcosa di già conosciuto, e ci aiutano a illuminare lo sfondo sul quale è accaduto l’evento pandemico. Al tempo stesso, la conoscenza storica mette al riparo – consentendo allo storico un giusto sarcasmo – da ilari saggisti, sedicenti storici e filosofi che volano ad altezze tali da non percepire il suolo su cui camminano: nondimeno, queste figure ci avvertono «di come la realtà possa restare oscura a molti in regime di peste e il senso comune possa divorziare del tutto dal buon senso».
Si tratta, usando la memoria storica come filo per non smarrirsi nei labirinti della nuova Babele delle lingue, di non perdere la distinzione fra vero e falso – smarrimento implicito nella svolta galileiana, che ha separato la conoscenza scientifica del mondo dalla percezione ordinaria – che, grazie alla forza della paura, ha favorito ieri la nascita di quei no vax che oggi, negazionisti in preda alle sindromi del complotto, ostacolano la diffusione dei vaccini.
DI QUESTA SCISSIONE, il conflitto mediatico fra gli esponenti di una scienza che rischia di apparire un’opinione fra le altre e «un populismo incolto e dominato dalla sindrome complottista» è la punta dell’iceberg.
Allargando il discorso, Prosperi sottolinea la separazione fra storia dell’uomo e storia della natura, connessa all’istintivo e radicato «suprematismo umano»: «una forma di autoprotezione umana ma anche una superba volontà di concepirsi come i padroni del mondo, ignorando sia le altre specie esistenti sia la natura stessa del pianeta».
TALE ANTROPOCENTRISMO è in relazione con le «gravi responsabilità collettive della cultura europea e delle nazioni ricche nei confronti dei popoli privi di libertà e di diritti»: il virus ha portato in primo piano quelle ingiustizie sociali, frutto non casuale del neoliberismo selvaggio (vedi Clausi e Murri, Pandemia capitale, manifestolibri 2021), il cui prezzo è pagato dai subalterni, dal mondo della scuola e della cultura, dalle nuove figure lavorative ricadute nella condizione di schiavitù, mentre l’impreparazione delle classi politiche e il loro asservimento al capitalismo finanziario acuiscono quelle ingiustizie che pretenderebbero di risanare.
Dietro lo spettro del Leviatano di Hobbes e del governo della paura, si manifesta una crisi ancor più radicale della politica nella tarda modernità: l’impopolarità della verità, e il timore di dirla sono alla base di quei sentimenti che hanno portato masse di lavoratori a sostenere col loro voto politici populisti che promettevano la chiusura dei porti, la devastazione dell’ambiente e le guerre commerciali.
È PROPRIO LA FIGURA del Leviatano ad indicarci, in negativo, la proposta dello storico: quella liberazione dalla paura fondata sulla comprensione razionale della storia umana all’interno della più vasta storia della natura – non va dimenticato che i virus sono non solo un enti di natura, ma anche ben più antichi della specie umana – che Spinoza pensò inter spem et motus, senza cedere ne a questo né a quella. La geometria delle passioni di Spinoza, in esplicito omaggio alla lettura di Bodei, si ricongiunge a quell’altro grande materialista interprete della natura, che è Lucrezio.
Questo articolo è stato pubblicato per il manifesto il 5 novembre 2021.