di CESARE DI FELICIANTONIO*. Anche se in Italia è da sempre relegata ai margini del dibattito politico ufficiale (non a caso non vi è mai stato, a differenza di altri paesi, come Francia, Stati Uniti, Gran Bretagna, un ministero specificamente dedicato alle politiche per la casa), la questione abitativa occupa un ruolo centrale nell’attuale riflessione accademica e militante internazionale, oltreché nel più ampio dibattito pubblico. Ciò non è sorprendente, se si considera che il settore della casa ha assunto un’importanza fondamentale nelle dinamiche di accumulazione e circolazione del capitale a livello globale dopo l’avvento del neoliberalismo alla fine degli anni Settanta.
Irlanda: la finanziarizzazione del settore immobiliare in crisi
Inizio la mia riflessione partendo da Dublino, la città dove vivo: sebbene l’economia della città, così come quella irlandese, abbiano registrato negli ultimi anni un tasso di crescita sostenuto e, secondo le ultime statistiche, il tasso di disoccupazione a marzo 2017 sia stato del 6,4%, il numero di persone in emergenza abitativa – coloro che non possono permettersi una soluzione nel mercato privato e non hanno accesso a edilizia pubblica e sovvenzionata – continua ad aumentare di mese in mese (le più esposte sono le donne single con figli/e).
Come spiegare questa contraddizione così evidente? Per rispondere, basta guardare alle recenti dinamiche nel mercato immobiliare a Dublino. La principale risposta del governo alla durissima crisi che ha investito il paese dopo il crash finanziario del 2007/2008 è stata la creazione di una bad bank a capitale pubblico (NAMA – National Asset Management Agency) dedita all’acquisto dei prestiti immobiliari “tossici” di valore superiore ai 5 milioni di euro detenuti dalle cinque principali banche del paese con l’obiettivo di massimizzarne il valore economico (e non di provvedere a soddisfare la crescente emergenza abitativa). Come prevedibile, il risultato di questa strategia è stata una vera e propria svendita di tale patrimonio: l’esempio più eclatante che spesso viene citato è quello del palazzo comprato da Google nell’area dei Docklands per 13 milioni di euro, dopo che lo stesso palazzo soltanto due anni prima era stato venduto da NAMA alla società Jones Investments per soli 1,3 milioni di euro. Un simile processo ha riguardato lo stock di case della città: vari vulture funds (i cosiddetti “fondi avvoltoio”) hanno infatti acquisito enormi stock di case da NAMA a prezzi irrisori, imponendo vistosi aumenti degli affitti (grazie anche alla mancanza di tutele per gli inquilini nel paese) e sfrattando chi non può permettersi questi aumenti. In questo modo gli affitti si trovano attualmente a valori più alti che negli anni della “tigre celtica” (da metà degli anni Novanta alla crisi del 2008, quando l’Irlanda conseguì tassi record di crescita del PIL, con picchi intorno al 9-10% annuo), mentre le possibilità di trovare soluzioni abitative più accessibili rispetto ai livelli di mercato sono praticamente inesistenti.
Spagna: la risposta popolare alla crisi abitativa
L’esperienza irlandese richiama direttamente quanto già avvenuto in città come Berlino e New York tra gli anni ’90 e i primi anni 2000, dove le società finanziarie hanno utilizzato il dispositivo della crisi immobiliare per entrare massicciamente nel mercato (incluso quello delle abitazioni destinate ai ceti più indigenti), come dimostrato, tra gli altri, dagli studi di Desiree Fields e Sabine Uffer. Più recentemente una dinamica simile si può osservare in Spagna, dove i grandi fondi d’investimento (come Blackstone e Cerbero) hanno acquisito numerosi titoli ‘tossici’ (vale a dire proprietà immobiliari legate alla crisi che ha travolto il paese) detenuti dalla SAREB (Sociedad de Gestión de Activos procedentes de la Reestructuración Bancaria), una bad bank che può essere considerata la corrispettiva spagnola della NAMA irlandese. Contemporaneamente, la drammatica crisi abitativa ha iniziato a cambiare caratteristiche: le/i principali afectado/as non sono più le/i piccoli proprietari immobiliari che hanno un mutuo, ma persone in affitto. Questa mutata situazione ha dato vita a intense discussioni all’interno del principale movimento spagnolo per il diritto alla casa (la Plataforma de los Afectados por la Hipoteca, PAH), nato in origine proprio per offrire una risposta popolare alla crisi dei mutui (per non dimenticare la portata di tale crisi, basti ricordare che tra il 2008 ed il 2012 circa 400.000 nuclei familiari sono stati privati della propria casa in Spagna).
Comprendere le modalità attraverso cui il capitale (soprattutto nella sua “forma finanziaria” seguendo la definizione ormai classica di Harvey) utilizza il settore immobiliare e in particolare la casa risulta pertanto fondamentale per comprendere e sostenere i processi di resistenza alle politiche neoliberali da parte di diversi movimenti e gruppi, soprattutto in ambito urbano. Tali modalità sono molteplici: dai massicci investimenti in spazi commerciali e per uffici a scapito di abitazioni alla destinazione di interi immobili a uso turistico e/o di breve permanenza, determinando così un calo del numero degli appartamenti a disposizione per le/i residenti e un conseguente aumento del prezzo degli affitti. Non è un caso se questo tipo di dibattito stia diventando dirompente in varie città europee, come Parigi, Lisbona, Berlino e Madrid, mentre a Barcellona il governo comunale guidato da Ada Colau ne ha fatto una battaglia prioritaria. AirBnB è il principale imputato in questo processo, come dimostrato da un numero sempre crescente di ricerche che indagano il rapporto tra la diffusione di AirBnB e le nuove forme di gentrification che ormai vedono come protagonisti sempre più i turisti e i proprietari stranieri di seconde case piuttosto che nuovi residenti stabili.
Pensare la casa come settore di valore cruciale intorno al quale creare e sostenere forme di resistenza a tali processi strutturali è legato alla crescente opposizione che essa dimostra tra valore d’uso e valore di scambio, soprattutto nelle grandi aree metropolitane maggiormente interessate dai fenomeni di valorizzazione immobiliare: l’housing è divenuto sempre più un business nelle società neoliberali, anziché un bisogno da soddisfare. D’altronde, proprio il caso della PAH in Spagna ci dimostra che è possibile partire da rivendicazioni “settoriali” per creare forme di politicizzazione più ampia che si intersecano con altri movimenti sociali e si trasformano nel tempo. Come accennato in precedenza, la PAH nel 2009 è nata soprattutto per dare una risposta al problema della crisi dei mutui: le/gli afectados schiacciate/i dal peso del debito e del mutuo rivendicavano anzitutto una riforma della legge ipotecaria (che in Spagna penalizza ancora di più i proprietari insolventi rispetto a quanto accade in altri paesi) e il blocco degli sfratti. Tuttavia, grazie alla capacità di tenere insieme pratiche e istanze più radicali provenienti dalla tradizione anarchica e autonoma (in primo luogo, le occupazioni) con quelle più istituzionali e liberal (come la raccolta firme per una legge d’iniziativa popolare) mediante la centralità assegnata alle pratiche di decostruzione della soggettività “indebitata” e “fallita” e la contestuale costruzione di una soggettività alternativa (in grado di rispondere alle differenze di bisogni e prospettive di chi partecipa ad un movimento così ampio), la PAH è riuscita ad ottenere risultati straordinari (quali migliaia di sfratti bloccati, il debito con le banche cancellato, promuovere sia formalmente sia informalmente l’occupazione di centinaia di immobili soprattutto di proprietà della SAREB), innescando un processo di politicizzazione diffusa.
Recentemente, in Irlanda stiamo assistendo alla comparsa di pratiche sociali e vere e prorpie campagne politiche che seguono le orme della PAH, come l’occupazione di un immobile abbandonato di proprietà di NAMA in pieno centro a Dublino lo scorso dicembre. Inoltre, data la profonda mancanza di diritti di cui godono gli inquilini, un sindacato autorganizzato creato negli ultimi anni sta organizzando campagne e rivendicazioni che diventano sempre più di attualità nel dibattito pubblico. Ovviamente, non sto affermando che queste mobilitazioni intorno alla questione della casa siano le più importanti che il paese stia registrando: la campagna femminista per il diritto all’aborto e il movimento per l’acqua pubblica continuano ad essere estremamente popolari e a portare in piazza decine di migliaia di persone, così come prosegue da ormai tre settimane lo sciopero degli autisti degli autobus contro la privatizzazione dell’azienda e l’ulteriore smantellamento dei loro diritti e salari.
Lezioni per l’Italia
In che misura questi processi interessano l’Italia? Certamente la situazione del mercato immobiliare e abitativo italiano è diversa da quella spagnola o da quella irlandese sia per le maggiori tutele che la legislazione italiana assicura agli inquilini sia per il tasso di finanziarizzazione decisamente più basso che il mercato ha registrato anche negli anni precedenti alla crisi. Ciononostante, considerata la grave situazione di precarietà economica e occupazionale in cui il paese persiste, in una crisi che ormai appare senza fine, con i lavoratori non garantiti e i migranti a pagarne le conseguenze più gravi, il dispositivo del debito interessa un numero sempre maggiore di persone, riproducendo e amplificando le disuguaglianze a scapito di “giovani” e migranti (basti pensare che secondo i dati della Banca d’Italia il rapporto medio tra debito e reddito è del 190% per le persone sotto i 34 anni, rapporto che scende al 99,4% per le persone di età compresa tra i 55 ed i 64).
Siamo certamente ben al di sotto dei livelli di indebitamento registrati da Irlanda, Regno Unito o da paesi che sperimentano forme di flexicurity come Danimarca e Paesi Bassi che hanno registrato nell’ultimo decennio tassi rampanti di finanziarizzazione (legati al boom della proprietà immobiliare – mentre in paesi come Italia e Spagna la proprietà immobiliare ha valori storicamente più alti a seguito delle politiche messe in campo dai regimi di Mussolini e Franco la cui razionalità non è mai stata realmente messa in discussione successivamente), eppure anche in Italia gli sfratti e i pignoramenti degli immobili sono aumentati notevolmente negli ultimi anni, come dimostrano i dati del Ministero dell’Interno. Allo stesso tempo anche in Italia si registrano gli stessi processi di “turistificazione”, soprattutto nei centri storici (si pensi a Firenze, Roma e Venezia), mentre le politiche per la casa continuano a considerare prioritaria la proprietà immobiliare (come mostrato dal Piano Casa del governo Renzi). Se considerata nella sua dimensione più ampia in relazione alla dilagante precarietà e alle politiche spregiudicatamente neoliberiste messe in campo negli ultimi anni, la casa può tornare a essere un settore privilegiato per ”smascherare” il meccanismo del debito e le dinamiche di valorizzazione immobiliare a favore di interessi privati, sperimentando pratiche alternative di riappropriazione e messa in comune che nelle principali città italiane (Roma, Firenze, Milano, Torino, Napoli, Palermo) hanno uno straordinario radicamento sociale.
Per saperne di più sull’attuale crisi abitativa internazionale, si legga:
Desmond, M. (2016) Evicted. Poverty and Profit in the American City. Penguin, New York.
Dorling, D. (2015) All That Is Solid: How the Great Housing Disaster Defines Our Times, and What We Can Do About It. Penguin, Londra.
Madden D. e Marcuse P. (2016) In Defense of Housing. The Politics of Crisis. Verso, Londra.
*Cesare Di Feliciantonio è ricercatore post-dottorato nell’Istituto di Analisi Regionale e Spaziale della National University di Maynooth in Irlanda.