Di MARCO BASCETTA
Globale come la pandemia, la guerra dei vaccini dilaga nel mondo. Dai livelli più generali ai più minuti. Guerra commerciale, geopolitica, tra Est e Ovest, tra aziende, tra Stati e aziende, tra Stati e Stati, tra istituzioni sovranazionali e governi nazionali, tra Stato e Regioni, tra regione e regione, tra corporazioni, categorie e gruppi sociali. Mettere ordine in questo scenario di conflitti fittamente intrecciati non è impresa facile. Di certo si può dire che quel ravvedimento solidaristico che i più ingenuamente ottimisti si attendevano dalla comune esperienza della minaccia epidemica non si è affatto manifestato. Semmai il suo feroce contrario.
Partiamo da un dato di fatto. Nessuna delle industrie farmaceutiche che hanno tagliato il traguardo dell’approvazione per i propri vaccini nell’Unione europea ha rispettato le forniture promesse secondo il calendario previsto nei contratti.
I tempi della fornitura costituivano in questo caso gran parte del valore della merce stessa. Che le quantità previste vengano prima o poi effettivamente consegnate non cambia nulla al fatto che, non disponendo della capacità produttiva millantata o avendo dirottato altrove parte della produzione, le industrie farmaceutiche si siano rese responsabili di una colossale frode, che comporta migliaia di morti tra le sue conseguenza. Il tempo è denaro, lo sappiamo, ma in questo caso è anche questione di vita o di morte. Eppure l’Europa di tempo, oltre che di ordinativi, era stata generosa nei confronti di Big Pharma.
In nome dell’emergenza le procedure erano state snellite e la via all’approvazione facilitata. Di fatto è la stessa campagna di vaccinazioni a fungere da completamento di una sperimentazione lacunosa, come dimostra il progressivo ampliamento della fascia di popolazione per la quale è stato approvato, comunque senza alcuna delucidazione, l’uso del vaccino AstraZeneca. Per non parlare delle dosi che improvvisamente si rivelano allungabili o delle seconde somministrazioni che slittano quando non scompaiono del tutto secondo una logica che difficilmente può essere attribuita alla scienza.
I primi arrivati nella corsa al vaccino non lo devono certo solo alla loro capacità tecnologica. Nonostante tutto questo, e nonostante i fondi pubblici finiti nelle casse dei farmaceutici, le pressioni per la concessione di licenze di produzione con temporanea sospensione dei diritti di proprietà intellettuale sono del tutto assenti. La timidezza non è mai troppa quando si tratta di toccare, anche solo di striscio, la forma di proprietà più decisiva e blindata del capitalismo contemporaneo.
Questa colpevole penuria di materia prima trascina con sé una sequela, in costante crescita, di conflitti. La frode subita dall’Unione europea e la conseguente impasse del piano vaccinale unitario spingono diversi Stati ad agire in proprio, rivendicando piena autonomia nell’acquisizione di vaccini. Aprendo al russo Sputnik V o accedendo a canali di distribuzione paralleli. Lo stesso atteggiamento si riverbera sul rapporto tra Stato e Regioni quanto ai criteri di distribuzione e alle fonti di approvvigionamento dei farmaci. Memorabile, in Italia, la pretesa di legare il piano vaccinale al Pil regionale. Infine si moltiplicano i conflitti tra diverse categorie professionali e gruppi sociali per l’accesso prioritario alle vaccinazioni in ragione di una particolare esposizione al virus.
Sul piano politico globale dello scontro tra Est e Ovest si esibiscono ripetutamente commentatori indignati della “spregiudicata diplomazia” o dell’ “uso geopolitico” che Cina e Russia starebbero facendo della loro offerta di vaccini nel mondo per “influenzare i cuori e le menti dei popoli” (Garimberti). Che Mosca e Pechino riescano a guadagnarsi simpatie e fiducia rifornendo numerosi paesi di ciò di cui hanno urgente bisogno è del tutto legittimo e per giunta nell’interesse generale della lotta contro la pandemia. Se pure volessimo attardarci in un mondo popolato dagli spettri della guerra fredda, i due colossi d’oriente dimostrerebbero così solo maggiore lucidità e accortezza nell’allargare la propria sfera di influenza di un Occidente che, fuori dal mercato, dai suoi profitti e dalle sue aspettative di redditività, si limita ad elargire poche elemosina, arroccato nel fortino della proprietà intellettuale.
Che lo scontro commerciale e geopolitico tra Est e Ovest dovesse attraversare anche il contesto drammatico della pandemia lo si poteva prevedere. Altro che cooperazione globale contro il virus. Che l’Europa si collocasse in una sorta di atlantismo vaccinale (prima gli americani e gli inglesi) ne è un’immediata e ovvia conseguenza. Dietro il velo di una presunta meritocrazia scientifica, alle più potenti industrie farmaceutiche occidentali, malgrado azzardi e opacità, (diversi paesi europei hanno bloccato la somministrazione di AstraZeneca in seguito al manifestarsi di effetti collaterali) è stata spianata la strada. Protette da investimenti pubblici e garanzie politiche sono arrivate per prime, almeno secondo la nostra giuria. Per tutta risposta hanno frodato la popolazione europea e minato una volta di più la sua coesione.
Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il 12 marzo 2021.