di ANDREA CENGIA. Il dibattito, che si è sviluppato dopo la pubblicazione del Manifesto per una politica accelerazionista di Alex Williams e Nick Srnicek, interroga da vicino molti piani della riflessione filosofico-politica contemporanea. Non è un caso che alcuni dei più significativi interventi siano stati raccolti e pubblicati a commento del Manifesto accelerazionista (Pasquinelli, 2014).
Non si vuole qui entrare nello specifico di tutti i rilievi emersi. L’idea di questo scritto consiste nel mettere alla prova uno dei possibili significati del concetto di accelerazione, all’interno del contesto della rete informatica Internet. Il punto di partenza consisterà nell’evidenziare alcuni aspetti del concetto di accelerazione e nel definirne il legame con le condizioni di possibilità dell’uso di Internet.
La questione da cui partire è la declinazione da attribuire al termine accelerazione. Sostiene Franco “Bifo” Berardi: “l’accelerazione è una delle forme di sottomissione capitalista” (Pasquinelli 2014, p. 41). Quindi lo stesso processo capitalistico si qualifica essenzialmente nella forma dell’accelerazione. Pare di intendere che con accelerazione si voglia individuare non il ritmo né la velocità raggiunti dal sistema capitalistico, bensì il livello di complessità, di forza produttiva (e in subordine di velocità) raggiunto dal potere macchinico.1) Si potrebbe allora concludere che ogni evento di accelerazione può produrre una più forte forma di sottomissione? Certamente non siamo all’inizio dell’avventura capitalistica ottocentesca, ma nell’immanenza del capitalismo finanziario e cognitivo. Perciò le forme di accelerazione o di trasformazione, sono, di fatto, anche radicali cambiamenti nelle forme di sfruttamento. Questi mutamenti colpiscono comunque con grande durezza le individualità del nostro orizzonte contemporaneo. Sembra si possa dire con sufficiente precisione che: tanto più il capitalismo si struttura, si razionalizza e quindi produce sussunzione attraverso algoritmi, tanto più esso produce eccedenze umane che vanno, almeno nei paesi post-industriali, precarizzati o espulsi definitivamente dal processo produttivo quali scorie di processo.
L’accelerazione oggi è lo strumento o la forma del manifestarsi di un sistema capitalistico post-novecentesco, in breve di un capitalismo che non trova di fronte a sé nessun vero ostacolo al proprio avanzare. Il capitalismo è il Signore della nota figura hegeliana descritta nella Fenomenologia dello Spirito (Hegel 1807). Si tratta della condizione, non va dimenticato, in cui le soggettività politiche alternative al capitale si sono disgregate a partire dal loro fallimento nel XX secolo. Oggi, queste stesse soggettività stentano largamente a costituirsi come alternativa efficace in grado di contrapporsi con qualche possibilità di riuscita. Non sono ancora giunte al livello di autocoscienza in cui termina l’hegeliana dialettica tra servo e signore. Ecco perché, si può sostenere che, nella schiacciante condizione di dominio dell’odierno capitale, si situa la stessa possibilità hegeliana del riconoscimento. La nostra autocoscienza si determina dopo il passaggio dialettico della sua sconfitta: infinita potenza del negativo.
Utilizzando la felice sintesi di Toni Negri (Pasquinelli 2014, p. 30), gli accelerazionisti sostengono che occorre stare dentro e contro il meccanismo capitalistico al solo fine di realizzarne il superamento. Studiare e capire il sistema, come, del resto, ha già fatto Marx. Egli stesso infatti ha utilizzato gli strumenti concettuali a propria disposizione per capire e non per resistere alla modernità. Marx è colui che assegna alla borghesia un ruolo di rinnovamento. Essa è la classe più rivoluzionaria, secondo la nota espressione del Manifesto (Marx 1848). Marx quindi è un pensatore accelerazionista. I vantaggi dell’epoca marxiana, “non devono essere invertiti, ma accelerati oltre le restrizioni della forma valore capitalista” (Pasquinelli 2014, p. 21). Si può concordare quindi che nel nostro orizzonte contemporaneo dovremmo far tesoro dei vantaggi che derivano dalla nostra condizione e portare questi benefici a non essere dispersi dopo l’accelerazione definitiva verso il superamento del capitalismo.
Perciò non è politicamente ammissibile nessuna nostalgia ancorata a condizioni spaziali o temporali passate. Nessun rimpianto per dimensioni che ci siamo lasciati alle spalle. Meglio guardare avanti. Questo può certamente essere il nostro dato di partenza.
Tuttavia, è noto a tutti, vivere in questo contesto di forte dominio capitalistico, non permette certo alle masse di lavoratori di godere di una condizione privilegiata. Infatti il capitalismo attuale sembra capace di riproporre forme di sfruttamento del tutto in linea con l’asprezza dell’alienazione e del dominio individuati da Marx nei Manoscritti economico-filosofici. Sono passati centosettanta anni dal 1844, ma la proporzione marxiana può ancora indurci a riflettere sul tema dell’accelerazione. “L’operaio diventa tanto più povero quanto più produce ricchezza, quanto più la sua produzione cresce in potenza e in estensione” (Marx 1844, p. 71). Non passano che poche righe e Marx ribadisce il concetto: “[…] quanto più l’operaio si consuma nel lavoro, tanto più potente diventa il mondo estraneo, oggettivo, che gli si crea dinanzi, tanto più povero diventa egli stesso, e tanto meno il suo mondo interno gli appartiene” (Marx 1844, p. 72). Pare evidente che le riflessioni di Marx contengano sia la dimensione della velocità che quella dell’accelerazione. I due termini non devono essere confusi; tuttavia, se siamo giunti dal 1844 ad oggi a questo livello di funzionamento del sistema, a questa velocità e a questo sistema di relazioni nel capitalismo, è indubbio che vi è stata accelerazione. Il moto storico che ci sta trasportando è un moto accelerato in cui l’umanità ha compiuto dei balzi qualitativi non indifferenti: non siamo più nella dimensione medievale o protocapitalista. Tutto si è evoluto proprio con un moto accelerato che ha modificato, secondo alcuni, la nostra stessa dimensione di esistenza. Non è un caso infatti che uno dei termini più ricorrenti per descrivere la condizione umana sia quello del post-umano.
Le parole del giovane Marx propongono chiaramente una proporzionalità diretta: tanto più l’operaio, oggi dovremmo dire il lavoratore in genere, ma anche semplicemente l’uomo, produce (nel senso più ampio del termine) e tanto più egli diviene umanamente più povero. Viene quindi da pensare che, dato questo contesto ineludibile, permettere al capitale di accelerare significhi rimanere all’interno della proporzione marxiana con l’effetto di esasperarne i risultati. E questa esasperazione è ciò che segna drammaticamente la scena sociale odierna. Tutte le dinamiche di dispiegamento del capitale nel quadro odierno non fanno che andare nella direzione della proporzionalità marxiana. Oggi è la vita stessa che diviene produzione di valore. Vivendo, l’uomo immette spirito nella materia, valorizza la realtà del capitalismo che cerca nuovi spazi per espandersi. Se è vero che il capitale si definisce da una relazione, ebbene, quanto più capitale, tanto meno uomo. Il capitale è un rapporto sociale: “[…] il capitale è l’uomo completamente perduto a se stesso[…]” (Marx 1844, p. 89).
Gli accelerazionisti sostengono qui che l’accelerazione consumerebbe lo stesso capitalismo: ci troveremmo di fronte al superamento del capitalismo come sistema intimamente contradditorio. E questa, è noto, è anche la tesi di Marx. Ma non possiamo dimenticare che, in attesa di questo superamento, occorra (1) preparare lo stesso superamento, agendo in senso opposto alle forme odierne di dominio e (2) garantire gli spazi di produzione di una alternativa.
Ora, questo processo non ha bisogno solamente di forme di emancipazione “accelerate”. Secondo chi scrive, ad oggi, il processo accelerazionista ha bisogno anche di luoghi di resistenza. Non va dimenticato infatti che, nell’attuale contingenza, i rapporti di forza sembrano ancora saldamente ben definiti.
Perciò, pur auspicando l’emancipazione e la riconversione di ciò che di buono ci è stato fornito,2 (Pasquinelli 2014, p. 21) è giunto il momento di comprendere quali siano gli spazi da difendere in vista di una loro riconversione.
Cosa significa percorrere la strada qui individuata? Accelerare il processo, superare il neoliberismo, attingerne la piattaforma?
Sfruttare l’andamento accelerato del capitalismo cognitivo, per ricavarne spazi di amplificazione della libertà, non è certo facile. Infatti non vi è altro luogo da cui estrarre libertà ed emancipazione, se non il perimetro dell’odierna macchina capitalistica.
Quindi gli spazi di liberazione, ormai è evidente a molti, non possono che realizzarsi nella dimensione dell’immanenza. Infatti il post-moderno è una condizione di radicale immanenza per l’evidente ragione: il qui ed ora è l’unico piano ad essersi disvelato. L’immanente cioè è l’unico piano esistenziale rimasto. “L’immanenza è lo spazio che si apre quando tutti i dualismi sono stati superati, e non rimane che un unico ambito, quello appunto dell’immanenza” (Cimatti 2014 p.189). L’immanenza di cui qui si parla non deve avere né il riflesso della disperazione, né la mortificazione delle speranze di emancipazione, né un timoroso e subordinato assenso al modello neoliberista.
Dunque, nella dimensione dell’immanenza, come possiamo porre le condizioni per la realizzazione delle due condizioni sopra citate?
Secondo Alex Williams e Nick Srnicek non è possibile pensare la fine del modello neoliberista, se non a partire dallo sfruttamento radicale delle piattaforme tecnologiche che esso ci mette parzialmente a disposizione. Quali? Uno dei riferimenti obbligati è quello relativo alla rete Internet utilizzata da milioni di persone ogni giorno. In questo caso però dobbiamo renderci conto che tale piattaforma è solo temporaneamente messa a nostra disposizione. In altre parole, potremmo affermare che la sua libera fruizione non è lo scopo del capitalismo, ma piuttosto un effetto collaterale dell’uso che il capitalismo stesso fa di tali strutture tecnologiche. Detto diversamente: la rete internet, con la quale realizziamo oggi molta della nostra vita, è anche uno strumento di potere (storicamente di origine militare, poi economico e allo stesso tempo tecnologico). Ribadirlo è importante. Infatti occorre tener ben presente che il rischio che i processi finanziari ed industriali si riprendano quanto oggi non è sfruttato a dovere, cioè quanto non è totalmente sussunto al capitale, è sempre ben presente.
Il riferimento è ad una questione in particolare: il problema della gestione della struttura della rete internet. C’è infatti il rischio tangibile che internet possa essere oggetto di azioni legislative finalizzate a trasformarla irreversibilmente rispetto alla configurazione che oggi tutti conoscono. La rete internet può essere aggettivata in molti modi. Certamente è uno spazio di potenzialità e, allo stesso tempo, uno spazio di amplificazione del dominio cognitivo del capitale. Nell’ottica di questo scritto, la rete deve essere messa nelle condizioni di operare come luogo dove le intelligenze individuali e collettive trovino spazio per pensare criticamente il presente. La rete dovrebbe essere il luogo d’azione del general intellect che si oppone alla sussunzione e al prelievo biopolitico operati dal capitalismo cognitivo.
Tuttavia la rete rischia anche di essere altro. Infatti il pericolo è che diventi in breve tempo il definitivo volano dell’accelerazione neoliberista (e in parte lo è già). In questo caso avrebbero ulteriore valore le analisi di Marx citate in precedenza: l’accelerazione produrrebbe un ulteriore incremento dello sfruttamento e dell’alienazione. Per tali ragioni, quando ci si rapporta con i dispositivi di automazione e di comunicazione, occorre tenere un approccio problematico. Internet non è un luogo statico, dispensatore di servizi: la sua struttura infatti è in continua modificazione. Il suo uso, dovrebbe essere chiaro anche agli autori del Manifesto accelerazionista, essere va vagliato criticamente e in alcuni casi difeso nella sua forma attuale. Difficile non schierarsi quindi con la visione di Cornelius Castoriadis: “Come il punto di vista cibernetico-informazionale è stato essenziale per dissipare i falsi problemi ed eliminare delle perplessità che non hanno ragione di essere, così la sua utilizzazione indiscriminata e non critica che troppo spesso osserviamo […] rischia di produrre una notevole confusione e un’euforia mistificata che nascondono i veri problemi” (Castoriadis 1978, p. 179).
La rete internet va quindi collocata come uno dei tanti elementi a favore della tendenza emancipativa accelerazionista. Contemporaneamente essa può diventare il nuovo territorio di conquista del capitale. Per capirlo basta osservare le attenzioni che la rete attira da parte del mondo dell’economia e della finanza. La direzione risulta già tracciata: istituire una sorta di gerarchia economica dei dati che transitano in rete. Vi sarebbero perciò dati di maggiore e di minore importanza, quindi soggetti di maggiore e di minore importanza. Facile intendere come questa frattura possa definire nuove gerarchie sociali e di potere. Il tema è di massima delicatezza e importanza e prende forma nel concetto di net neutrality.3
Oggi, tecnicamente, all’interno della rete internet esiste una sorta di egualitarismo delle informazioni digitali, o meglio e per semplificare, dei loro atomi costitutivi cioè gli impulsi elettrici che caratterizzano ogni comunicazione: i bit. Tutte le informazioni, che attraversano la rete internet (per come questa è stata pensata), hanno la medesima rilevanza. Lo spazio virtuale di internet è oggi un luogo in cui i dati transitano senza accedere a corsie preferenziali definite da criteri di terzi (governi o privati). Non è una condizione nuova, infatti, la stessa genesi della rete internet lo richiede.4
Negli ultimi tempi molte associazioni hanno evidenziato il rischio di alcune proposte normative che mirano a superare la net neutrality. La stessa FCC (Federal Communications Commission) statunitense, pur in una visione secondo la quale internet sarebbe piazza virtuale del commercio, sostiene la necessità di una libertà paritetica del traffico dati alla rete internet.5
L’allarme è giunto inoltre da altre fonti molto autorevoli. Una delle più significative è quella di uno dei fondatori di internet, Tim Berners-Lee. È del giugno 2014 il suo appello a favore della neutralità della rete (consultabile all’interno del sito del MIT).6 Nel caso di Berners-Lee, le argomentazioni a favore di questa neutralità sono principalmente legate al timore di un rallentamento nello sviluppo tecnologico a causa di una disparità di accesso alla rete da parte degli utenti.
A ben guardare, tuttavia, lo stesso Berners-Lee mette in luce l’evidente connessione tra controllo del sistema di accesso alla rete (contro la neutralità oggi presente) e il grande potere di dominio che ne deriverebbe. Si tratta dell’ennesimo avanzamento nella forma del controllo biopolitico sugli utenti, sui loro interessi, in breve sulla dimensione di vita che si svolge fuori dalla propria attività lavorativa, quello che, tempo fa, veniva definito tempo libero.
Sta accadendo, quindi, il processo molto ben descritto da Tiziana Terranova “[…] Ciò che caratterizza un’economia capitalista è che questo surplus di tempo ed energia non viene semplicemente liberato, deve infatti essere costantemente riassorbito nel ciclo di produzione di valori di scambio in modo da garantire una crescente accumulazione di valore nelle mani di pochi (il capitalista collettivo) a spese di molti (le moltitudini)” (Pasquinelli 2014, p. 134-135).
Ora, nel perimetro delle condivisibili volontà del Manifesto accelerazionista , dove si afferma la volontà di liberare le forze produttive ora latenti e dove si sostiene di voler accelerare il processo di avanzamento tecnologico, occorre fare i conti con problemi come questo.
La libertà di accesso alla rete internet diviene uno snodo fondamentale. Certo occorre liberare il web così come ogni altra struttura prodotta dal neoliberismo, come affermano gli accelerazionisti. Ma, per farlo, bisogna produrre una rottura degli schemi di avanzamento corrente del capitalismo: occorre cercare di interdire la possibilità che lo spazio virtuale della rete divenga un ulteriore luogo di conquista per i desideri di dominio dei voraci appetiti delle classi dominanti.
Certo, la rete non è che una precondizione. Al suo interno si assiste ad una progressiva e ormai quasi definitiva colonizzazione del quotidiano, attraverso l’uso della forza incontenibile dell’automazione algoritmica. Commenta Matteo Pasquinelli: “Tutti gli ‘organi’ materiali ed intellettuali dell’automaton che Ure poneva al cuore delle fabbrica industriale si trovano oggi organizzati in un network digitale che si innerva per l’intero globo” (Pasquinelli 2014, p. 96).
Proprio per questo, difendere la stessa possibilità di esistenza della rete, come luogo strutturalmente neutro, sembra una battaglia per i diritti digitali che deve essere sostenuta. La ragione è semplice: in questo spazio, si determina una pre-condizione all’operare e al condividere collettivo.7 Lo stesso sfruttamento della risorsa, quale piattaforma di lancio nell’ottica degli obiettivi accelerazionisti, richiede la difesa della rete per come si è configurata fino a qui. Infatti al punto 16 del Manifesto accelerazionista si afferma: “In primo luogo, dobbiamo costruire una infrastruttura intellettuale. […] Stiamo parlando di una infrastruttura: ovvero costruire non solo idee, ma anche istituzioni e percorsi concreti che permettano di inculcare, incarnare e diffondere tali idee” (Pasquinelli 2014, p. 26). Nell’età del capitalismo cognitivo, questa struttura intellettuale da costruire ha bisogno anche dell’accesso senza difficoltà alla rete internet. Si tratta quindi di arginare la possibilità, per il nuovo capitalismo delle società di telefonia o delle grandi corporation, di ottenere un ulteriore livello d’accesso biopolitico.
Ben venga quindi qualsiasi forma di sfruttamento delle piattaforme costituite negli anni del neoliberismo. L’attenzione deve comunque rimanere alta di fronte ai continui tentativi di colonizzazione di nuove, o di meno nuove, frontiere che il capitalismo sta mettendo all’opera. Nel caso della net neutrality, occorre partecipare attivamente all’azione di tutte quelle comunità di attivisti, che si sforzano di produrre un momento di rottura nell’avanzata di un capitalismo vorace in cerca di accumulazione, a danno delle soggettività che gli si pongono di fronte.
BIBLIOGRAFIA
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CIMATTI F. (2014), Linguaggio e immanenza. Kierkegaard e Deleuze sul “divenir-animale” in aut aut, 363, 2014 (“J.M. Coetzee. Ricominciare con niente)
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MARX K. (1848), Manifesto del partito comunista, Roma, Editori riuniti, 1981
PASQUINELLI M. (2014), Gli algoritmi del capitale. Accelerazionismo, macchine della conoscenza e autonomia del comune, Verona, Ombre corte
ROVATTI P. A. (1975), Critica e scientificità in Marx, Milano, Feltrinelli
SITOGRAFIA
http://www.fcc.gov/guides/open-internet
Come opportunamente segnala Matteo Pasquinelli l’ambito macchinico non solo rimanda alla nozione di potere e di potentia ma anche al legame con l’universo informatico: “Sin dall’inizio, quindi, il macchinico intendeva coprire il dominio delle macchine informatiche”. (Pasquinelli 2014, p. 88 e p. 89 ↩
La piattaforma materiale del neoliberismo non ha bisogno di essere distrutta. Ha bisogno di essere riconvertita verso obiettivi comuni (Pasquinelli 2014, p. 23). ↩
“La neutralità della rete, o net neutrality, è il principio giuridico secondo il quale gli Internet service providers dovrebbero trattare tutti i dati in maniera uguale, senza operare discriminazioni o variazioni di prezzo in base all’utente, il contenuto, il sito, la piattaforma, l’applicazione e altri fattori. Per molti la net neutrality è la caratteristica fondante di Internet, ciò che rende il web un luogo libero e aperto a tutti. Ad aprile 2014 la Federal Communications Commission, l’authority statunitense in materia di telecomunicazioni, ha ipotizzato una nuova regolamentazione che permetterebbe agli Isp di fornire “corsie preferenziali” sulla Rete ai clienti disposti a pagare di più, compromettendo così la neutralità”, in http://www.wired.it/topic/net-neutrality/ ↩
https://www.bbvaopenmind.com/wp-content/uploads/2014/03/BBVA-OpenMind-Internet-Manuel-Castells-The-Impact-of-the-Internet-on-Society-A-Global-Perspective.pdf p.9 [Accesso il 26-10-2014] ↩
“What is clear is that without the Internet we would not have seen the large-scale development of networking as the fundamental mechanism of social structuring and social change in every domain of sociallife” (Castells 2014, p. 22) ↩