di BRUNO CAVA*
Il libro di Viveiros De Castro ha come obbiettivo quello di introdurre le linee di un’antropologia post-strutturalista: a tale proposito propone un nuovo concetto di relazione. L’autore utilizza come punti di riferimento principali per l’antropologia, C. Lévis-Strauss, e per la filosofia, G. Deleuze e F. Guattari. Percorrendo paesaggi abbondantemente popolati da concetti, Viveiros de Castro si confronta con i lavori di generazioni di etnografi americanisti delle terre basse, compreso con il suo stesso lavoro di campo realizzato tra gli Araweté. È un libro di traguardo nel montaggio di un complesso macchinario di diagonali, omologie, parallelismi, estasi, perfezionismi, spirali concettuali e interferenze mutue tra universi eterocliti.
In un primo momento la retorica anti-dicotomica sembra completamente inconciliabile con la moltiplicazione di coppie e dualismi che ritroviamo nei capitoli, però il modo di procedere è deleuziano. Il Due è soltanto un caso particolare del multiplo, e il dualismo, un metodo per produrre dissimmetrizzare il reale e ripristinare differenze qualitative dove si presentino solamente termini di comparazione, equipollenze di misure e integrazioni vettoriali di forze (contrarie o coincidenti). La società, lo stato, il capitale – tutte queste figure molari dell’ordine – sono il risultato dell’applicazione sovrapposta di processi storici di equilibrio progressivo e di stabilizzazione, mentre la proposta di un’antropologia post-strutturalista sarà rovesciare queste figure dell’ordine, secondo una teoria rigorosamente relazionale dello squilibrio, della dismisura, dell’ibridazione, della mostruosità.
È con questo proposito che, nel libro, sono sviluppati due dittici articolati tra loro. Il cardine si trova, nel caso di Lévis-Strauss, tra Le strutture elementari della parentela (1949) e Mitologica (1964-71); in quello di Deleuze e Guattari, tra L’Anti-Edipo (1972) e Mille Piani (1980).
Nel primo caso, Viveiros de Castro presenta la tesi dei due strutturalismi. Lévis-Strauss costruisce inizialmente un pensiero vincolato al grande divisore natura e cultura – alfa e omega della dominazione occidentale sui popoli detti “primitivi” – mentre in un secondo momento nel suo lavoro si lascia attrarre dalla potenza del pensiero amerindio. Troviamo, dunque, il passaggio da una concezione di ripetuta trascendenza dell’uomo rispetto al naturale/animale – operata originariamente attraverso la teorizzazione della proibizione dell’incesto – ad una ripresa del mito, in Mitologica e oltre, come immanenza tra natura e cultura dove si sfumano le precise continuità tra gli esseri, centuplicando gli ibridi e fuoriuscendo le strutture sociali di flussi semiotici, materiali e rapsodici. Lévi-Strauss porta con sé un mondo nuovo, un divenire-indio, un post-strutturalismo in stato nascente, che finisce per sovrapporsi e si ripiegarsi sullo strutturalismo così meccanicamente annotato dai commentatori.
Il dittico deleuziano, invece, è aperto per segnalare il passaggio dalla preminenza del concetto di produzione a quello di divenire. Ne L’Anti-Edipo, la produzione desiderante basa l’immanenza tra natura e cultura. La natura stessa è processo di produzione, o natura naturante, e non solo qualcosa di già prodotto, o natura naturata. Prima della codificazione dei flussi produttivi operata dall’ordine sociale, vale a dire prima della separazione tra desiderio e legge, non può avere senso parlare dell’umano (della cultura, dello stato) come se emergesse su uno sfondo naturale (dall’immoralità dei fini, dallo stato hobbesiano di natura). Siccome non ha vita propria, il capitalismo la drena dalla produzione desiderante, codificando i flussi secondo una particolare propria strutturazione. Tuttavia, la produzione desiderante può auto-organizzarsi nella sua immanenza stessa, per eccedere la strutturazione e per cui un problema per il capitale sarebbe: come favorire il desiderio che deve assolutamente parassitare senza, tuttavia, proporzionargli le condizioni per sfuggire al suo controllo, liberando, in tal modo, le forze produttive che vi attuano e, di conseguenza, macchinando le relazioni in altri termini, non-capitalistici?
Per Viveiros de Castro questo non basta. La liberazione delle forze produttive del desiderio assomiglia troppo alla teleologia hegeliana del lavoro, derivata dalla ricezione francese del post-guerra della Fenomenologia dello Spirito. Nella narrativa di Hegel, un Soggetto desiderante erra impavido e divora il mondo oggettivo concludendosi come storia universale. La filosofia hegeliana risulta così una storia su misura per i progetti civilizzatori occidentali e la loro antropologia rozza, a destra o a sinistra, innanzi alla quale l’altro è sempre un animale da addomesticare e schiavizzare per il suo stesso bene. Inoltre, malgrado l’Anti-Edipo elabori una matrice dell’essere che è macchinica, che procede per concatenamenti imprevedibili e inconsci, compenetrazioni illecite e eterogenesi da tutte le parti, per l’autore delle Metafisiche cannibali manca ad esso di estrarre dal nucleo del sistema il concetto di produzione come generazione. Bisogna abbandonare la concezione troppo produttivista con cui sono pensate le lotte liberatrici de L’Anti-Edipo, tributario come esso è delle nozioni di “natura naturante” di Spinoza e “lavoro vivo” del Marx dei Grundrisse.
Ed è in questo senso che viene utilizzato Mille Piani, dall’altra parte del dittico, per operare il passaggio dalla produzione al divenire. A differenza della produzione, il divenire non è essenzialmente produttivo e generativo. Può essere anche contro-produttivo. Da non confondere, però, con la “anti-produzione” che, nella logica de L’Anti-Edipo, partecipa alla strategia del capitale di modulare e canalizzare la produzione desiderante, allargando indefinitamente il collasso schizofrenico del corpo sociale e il terrore borghese che accompagna quest’idea di fine del mondo, disarmando anche le macchinazioni desideranti comuniste. Il divenire può essere abortivo, può produrre ostacoli, ibridi sterili. Il divenire è anti-naturale e anti-umano, situandosi oltre la “natura naturante”, radicalizzando la piega de L’Anti-Edipo tra umano e naturale nel crogiolo delle forze produttive. In Mille Piani saremmo oltre Spinoza e Marx. Se nella prima parte del dittico chiamato in scena dall’autore il desiderio è reale e produttivo; nella seconda il divenire è relazionale e intensivo. Ecco che troviamo l’affermarsi di un movimento da una critica post-kantiana dell’economia politica del desiderio a un’affermazione cosmopolitica del divenire.
In questo senso il contributo maggiore del libro emerge nella presentazione del concetto di “alleanza intensiva”, risultato della cooptazione laterale operata nell’assunzone dei due dittici.
Lévi-Straus spiega la formazione delle società tramite uno schema intricato di relazioni di due tipi: di “filiazione”, più verticali, definite dalla consanguineità, come padre e figlio; e di “alleanza”, più orizzontali, per via di accordi di matrimonio tra famiglie distinte, che fanno circolare le donne delle tribù. All’origine del sociale, la proibizione dell’incesto induce a una carestia. Essa definisce un mercato di scambi come cemento sociale delle varie negoziazioni, definendo in questo modo una mediazione necessaria per misurare l’incommensurabile (lo scambio delle donne).
Deleuze e Guattari, ne L’Anti-Edipo, iscrivono questa spiegazione nel loro stesso bricolage. Chiamano la produzione desiderante originaria di “filiazione intensiva”, una specie di brodo (pre)cosmico, una fonte di forze produttive incontrollate. La proibizione dell’incesto è quindi riconfigurata come un edipismo diffuso contro cui L’Anti-Edipo insorge e che sarà imputato non solo allo strutturalismo, ma a tutta la scienza intorno all’economia politica, al fenomeno giuridico e al familiarismo psicoanalitico. L’edipismo impregnato della civilizzazione dell’occidente sovradetermina i flussi selvaggi dell’Uno Primordiale per causare la “filiazione estensiva”, vale a dire, la società organizzata dal principio di scarsità, dal mercato, dal valore di scambio/uso. Un ordine sociale strutturato da una matrice antropologica verticalizzante e organicista, in una parola: lo stato. Il sistema di “alleanze estensive” quindi bandisce i contagi pericolosi, prescrive la peste e assicura la riproduzione sociale controllata, “sana”, di cui il capitale ha tanto bisogno, nella organizzazione delle filiazioni estensive: identità, totalità, individui, collettivi, gerarchie politiche varie, di razza, di genere, sessualità. L’alleanza estensiva garantisce la relazione sociale del capitalismo, al vertice economico-politico del processo di ominizzazione.
Diversa è l’alleanza intensiva assicurata dal divenire. Su questo piano Viveiros de Castro cita la tradizione di studi etnografica americanista, tra cui Pierre Clastres (La società contro lo Stato), con il suo impianto teorico che chiama in causa la permanente congiura dello stato, le lateralità precarie e disattivazioni tattiche del potere. Il pensiero amerindio è alla base degli elementi che lo studioso riattualizza in Lévi-Strauss e Deleuze, attraverso la tematizzazione dell’alleanza intensiva. Questa si colloca oltre lo stato e il mercato, contrasta con qualsiasi produttivismo o teleologia per promuovere al contrario reti aperte di molteplicità e moltitudini di assi trasversali. L’alleanza intensiva è di tipo abominevole, afferisce all’ordine del furto, della guerriglia, delle unioni clandestine e anti-naturali. Essa popola il mondo con creature, deforma la società, fa irrompere forze trasformatrici e pericolose, dissemina furori e immagini proibite, dissolve l’ordine sociale, distrugge il controllato. [Su mostruazioni, vedere i libri delle due autrici post-strutturaliste: Angela Mitropoulos, Contract & Contagion, e Bárbara Szaniecki, Outros Monstros Possíveis].
Il problema delle lotte per la liberazione continua ad essere, del resto, come affrontare un nemico strutturato di filiazioni e alleanze estensive, che strutturano e conformano addirittura noi stessi come soggetti della società. Come trasformare le relazioni sociali – etero-patriarcato, razzismo, classicismo, tutto questo integrato nella relazione del capitale – secondo la relazione di nuovo tipo, di cui la “alleanza intensiva” ne è concetto. La stessa antropologia post-strutturalista non sarà che utopismo, staccato dalle forze vive e divenire agenti, se non interverrà nella capacità reale della riorganizzazione dell’esistente dei soggetti reali, e quindi si occuperà delle soggettività del futuro presente. Il problema continua a rimanere come organizzare il conflitto nell’immanenza senza essere catturati ed imbrigliati dal potere.
Ma se il nemico è immanente forse Marx non aveva tutti i torti quando diceva che l’antagonismo comunista è “dentro e contro” le relazioni capitaliste, avendo scritto un’opera fedele all’adagio che afferma come non sia possibile isolarsi in solitudini guerriere per molto tempo; e nemmeno avevano torto Deleuze e Guattari per i quali il proletariato è sempre stato forza di nomadizzazione e la lotta di classe dentro un compito immediatamente di ibridazione selvaggia, poliqueer, etero-genetica; ed infine neppure aveva torto Spinoza, con la sua etica democratica degli affetti, a partire dal libro III dell’Etica – in cui forse risultò stranamente influenzato dal pensiero amerindio quando, nel 1664, sognò con un certo “nero brasiliano” (l’indio era chiamato “nero della terra”). Senza queste forze demoniache, genuina mitologia minore nella modernità globalizzata, l’antropologia post-strutturalista non esiste.
*Bruno Cava è filosofo del diritto, partecipa della rete Universidade Nômade (uninomade.net) e bloga nel Quadrado dos loucos (quadradodosloucos.com.br). È autore di “A multidão foi ao deserto” (2013). e-mail: hamletvictrix@hotmail.com
Traduzione: Desirée Tibola e-mail: desireetibola@gmail.com