Di ROBERTA POMPILI

Mentre siamo obbligati a fare i conti con i disastri politici causati dall’ultima tornata elettorale, cerchiamo di capire cosa ci indicano i dati elettorali. La  vittoria della Lega, l’ascesa del Partito di Fratelli d’Italia disegnano un quadro fosco e cupo degli umori del corpo elettorale e sembrano proiettarci verso un futuro inquietante.

Contesto

Bisogna cominciare con il dire subito che l’elemento centrale della ascesa della destra è legato strutturalmente alle condizioni materiali di impoverimento che, come da altre parti (o anche peggio), qui in Umbria registrano una continua crescita. I parametri standard sullo stato di salute della Regione segnalano per cominciare una decrescita del Pil pro-capite prodotto ed un progressivo invecchiamento della popolazione.

Mentre sono a cena con una mia amica Sandra, che nella vita fa l’assistente sociale, mi racconta delle “avventure” lavorative del figlio. Sergio ha 28 anni e ha sempre avuto lavori temporanei. Fino a pochi mesi fa lavorava con l’ARCI, nei progetti di accoglienza migranti. Visto le direttive nazionali, i vari decreti sicurezza, le politiche di accoglienza si sono ridotte e molti operatori si sono trovati in strada. Adesso ha due lavori: per conto di una agenzia interinale ha trovato un impiego presso l’azienda tessile di Cucinelli, il primo periodo di prova gratis e successivamente contratto rinnovabile ogni mese, inoltre la sera fa il rider per una pizzeria.

Gli allarmi sulla grave crisi economica sono arrivati da tempo e su più fronti. Di recente il presidente dell’Ires Cgil Mario Bravi ha commentato i dati Istat sulla drammatica condizione della Regione che registra una disoccupazione elevata ed in aumento (10, 4%), con una disoccupazione giovanile che passa dal 30.8% nel 2017 al 31,1% nel 2018. E ancora l’Umbria è la prima regione in Italia nella classifica dell’incremento percentuale del lavoro a chiamata (job on call), una delle forme più povere e precarie del mercato del lavoro. Le assunzioni degli ultimi periodi registrano in ogni caso sempre di più il ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato. Se il Pil per abitante diminuisce drasticamente al di sotto degli standard pro-capite europei, i dati che riguardano i consumi pro-capite avvicinano l’Umbria alle regioni più povere del sud del nostro paese e come le stesse è ormai fortemente attraversata dai fenomeno dell’emigrazione giovanile.

Non va meglio sul piano delle differenze di genere. In provincia di Perugia le occupate sono il 44,2% delle donne (contro il 55,80% degli uomini), mentre nel Ternano i valori sono rispettivamente 43,9% contro 56,1%. D’altra parte sappiamo che i dati restituiscono una visione parziale della realtà, poiché il lavoro femminile nella famiglia e nelle aziende familiari resta spesso invisibilizzato.

Giacomo lavora in campagna, è un ex-terzista. Affitta i terreni e con i suoi macchinari coltiva la terra, insieme alla moglie laureata in agronomia. Giacomo è contadino-imprenditore, un lavoratore con partita Iva  (la moglie ufficialmente “non lavora”). In Umbria, oltre ai singoli lavoratori a partita Iva, ci sono migliaia di piccole aziende familiari agricole ormai perennemente in stato di sofferenza, alla rincorsa dei molteplici pagamenti e scadenze e che per sopravvivere hanno bisogno degli incentivi dei Fondi Europei che la Regione eroga, per la situazione economica contingente e/o altro, di fatto a singhiozzo. Nel settore agricolo in sofferenza sono tutti in allarme per le future tasse ambientali del Conti Bis che colpirebbe il gasolio agricolo, e per imposizione delle direttive europee per la riduzione dell’uso degli anticrittogamici, concimi chimici e antidiserbanti.

Sulla crisi economica, che investe i più disparati settori da quello manifatturiero a quello turistico e il cui trend negativo non è stato interrotto neanche dagli investimenti per i lavori post-terremoto, occorrerebbe di certo operare uno studio approfondito, ma possiamo già dire che essa si colloca da una parte nel contesto complessivo di nuovi assetti e rapporti di forza tra lavoro e capitale come per il resto del paese e dell’Europa e d’altro canto assume caratteri specifici per la situazione di area geografica parzialmente isolata, lontana dai grandi flussi, di attraversamenti delle merci, dei capitali, delle persone.

A fronte di queste condizioni di sofferenza del corpo sociale possiamo dire che l’analisi elettorale non fa altro che registrare i rigurgiti di una parte sostanziosa della nuova composizione eterogenea del lavoro vivo e del ceto medio impoverito sottoposta ai mutati rapporti di produzione e alla violenza estrattiva del capitale. La sinistra elettorale locale, nella sua frammentarietà, è stata incapace di assumere le trasformazioni del mondo del lavoro nella sua analisi e nella sua proposta politica (pensate alla parabola del reddito che è finito nelle mani dei 5 stelle, ritradotto in workfare), o peggio si è trovata finora in una posizione complice (vedi il Pd) delle scelte e delle manovre neoliberiste operate sul nazionale che hanno prodotto impoverimento e rancore.

In sede locale la sinistra di governo che si era distinta in un lontano passato per la conduzione di una amministrazione efficiente e per il sostegno al welfare, nel tempo, in particolare dagli anni ’90, si è concentrata sull’amministrazione del consenso e, sfruttando le posizioni di rendita acquisite dal ceto politico che aveva partecipato ad un ciclo di lotte precedente, ha costruito negli ultimi anni un sistema consociativo organizzato intorno ad un ceto impiegatizio (regione, provincia, comune), il sistema delle cooperative, i servizi e i sindacati. Uno zoccolo di consenso legato ad un passato remoto seppure strutturato nei luoghi di lavoro e che comunque in parte resiste ancora intorno a quel 22% raccolto dal Pd nella scorsa tornata elettorale.

Questo piccolo mondo è, d’altra parte, diventato perlopiù inviso al resto del mondo produttivo e degli impoveriti e comunque lontano dai loro problemi e dalle loro istanze. Al contrario la destra di Salvini fa il pieno con la sua propaganda perché parla una lingua che si incentra su un discorso strettamente materiale: le tasse.

Noi la crisi non la paghiamo (versione Lega). Le retoriche di Salvini

Siamo a Terni nel comizio conclusivo di Salvini prima del voto: ripercorriamo la sua operazione di marketing politico, ascoltando le sue parole e cercando di analizzare le sue retoriche elettorali. Il leader della Lega va dritto all’attacco del suo avversario politico Conte e della compagine di governo. La posta in gioco non è tanto la Regione da espugnare, o meglio non solo, ma la riconquista del suo posto al governo come dirà più volte. E su questo il pop -Salvini sa che può andare giù pesante perché Conte, fiutando la sconfitta, ha avuto il cattivo di gusto di dire che l’elezione in Umbria non conta nulla, visto il numero esiguo di abitanti della regione. Salvini alza la lama “fateglielo vedere voi domenica in Umbria che contate”. Ecco cementata “la festa della libertà del popolo umbro” con la perenne campagna elettorale alla conquista del podio più alto. Immediatamente le parole del leghista si concentrano sul tema più scottante, quello in grado di raccogliere il pieno di voti: la tassazione della plastica. Lo fa con degli esempi macchiettistici, quando dice che lui il venerdì compra il latte ai figli e il latte è nella bottiglia di plastica e adesso cosa potrà fare? Bisognerà prendere una mucca a casa? e poi continua con la “sinistra amara” che vuole tassare le bevande gassate. Salvini ha molto chiaro il contesto dove fa campagna elettorale tanto che non sfugge al politico nessuno degli argomenti che possono attecchire nel suo pubblico che è in ascolto a dir poco entusiasta. Riparte denunciando “3milioni di euro che sono stati elargiti ai dirigenti pubblici poco prima delle elezioni”, soldi che a suo parere potevano essere usati per gli anziani (il pubblico che è al comizio evidentemente avanti con l’età è già in delirio), quegli stessi anziani a cui Grillo vuole togliere il diritto di voto (attacco ai 5 stelle). Quegli anziani che hanno bisogno di cure e sono costretti a file incredibili di attesa per visite specialistiche (cosa vera, ma che gli serve per dare un affondo al decantato sistema sanità umbro nel suo complesso). Soldi che potevano essere usati per gli agricoltori che sono in attesa da tempo dei sussidi europei, e che la regione non distribuisce. Incalza ancora, sa che il suo pubblico impoverito è composto di piccoli artigiani, commercianti, agricoltori, partite iva e autonomi, precari impresari di se stessi e cassi integrati, donne e uomini spaventati e imbevuti i più di ideologia mediatica. Attacca il governo che vuole mettere le manette agli evasori (e il lavoro “non dipendente” è tutto potenziale evasore) e “vuole tracciare ogni transazione economica con le carte magnetiche per fare regali alle banche”! riparte con la formula collaudata del NOI, del fascistissimo noi, ovvero Prima gli italiani e spiega si che in effetti le sacre scritture dicono ama il tuo prossimo, ma il tuo prossimo è il vicino di condominio, il precario, il cassaintegrato di Terni, non l’uomo nero che viene dal mare con il barcone (quello non è prossimo geograficamente). Chiede si che la regione potrà aiutare il prossimo commerciante italiano facendo controlli serrati agli esercenti non italiani. E ancora infine, visto che siamo a Terni, bisogna fare leggi per impedire la delocalizzazione delle imprese.

Le parole del leader della Lega, grosso modo qui sintetizzate, seducono i convenuti che applaudono convinti.

Epilogo

Negli ultimi anni l’aumento delle imposte in tutta Europa si è accompagnato ad un impoverimento dei ceti-medio bassi. Per esempio in Francia (il paese con più elevate pressione fiscale) dall’inizio della crisi del 2009 la pressione fiscale è passata dal 42% al 47%. In Italia, in base ai dati Istat più recenti, la pressione fiscale delle imposte dirette sembra ridursi, ma d’altra parte aumenta la fiscalità indiretta quella sugli scambi e sulla spesa. E la fiscalità, che opera con meccanismi oscuri per la gran parte della popolazione, lontano da essere uno strumento utilizzato per la redistribuzione (con un intero sistema di welfare da tempo in crisi che sta spalancando le porte al mondo delle assicurazioni private) e per gli investimenti pubblici dello Stato, nel tempo della crisi dei debiti sovrani e con l’enorme flusso di denaro destinato ai sistemi bancari si è trasformata uno strumento di continuità della rendita finanziaria. Come ci ricordava Marco Bascetta in un articolo apparso sul Manifesto e che è anche nelle pagine del nostro stesso sito, la tassazione soprattutto quella indiretta, è diventata un tramite per trasferire parte della ricchezza socialmente prodotta nel circuito finanziario e nei canali di una redistribuzione delle risorse canalizzata verso l’alto, grandi patrimoni e alti redditi.

Ripensare il fisco è una questione doverosa dunque e non solo per sottrarre terreno alla destra, ma perché è una condizione fondamentale per ostacolare forme di comando, spoliazione e sfruttamento. D’altra parte, come in passato le  rivolte del pane e più in generale contro le gabelle medievali, di recente il rifiuto della tassazione dell’esistente ha saputo tradursi in un nuovo e straordinario collante per le lotte sociali. Le recenti mobilitazioni, infatti, che sono apparse in diversi paesi nel quadro internazionale, Francia, Brasile, Cile, Libano si sono innestate proprio a partire dal rifiuto di pagare le gabelle sui consumi, in particolare in relazione alla mobilità di flussi di persone e informazioni.

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