di GIANNI GIOVANNELLI*.
È uscito il secondo volume della Storia di un comunista, sempre a cura di Giro (al secolo Girolamo De Michele) e sempre con il marchio Ponte alle Grazie. Ha per titolo Galera ed esilio; il periodo corre dall’arresto (7 aprile 1979) fino alla soglia di un rientro in Italia (1997). Il volume è corposo, ben 448 pagine (comprese le bianche, le note, l’indice); ma non spaventatevi, sono pagine che corrono veloci, poggiano sul filo sottile della memoria, il racconto passa per filtro e setaccio, senza tuttavia negare qualche sfogo passionale.
Le prime 150 facciate (processo e carcere, dal 1979 al 1983) rievocano un periodo in fondo ancora poco studiato della storia italiana, quello della normalizzazione successiva alla straordinaria rivolta del 1977. In nessun paese europeo l’apparato di potere utilizzò in modo tanto ampio lo strumento del carcere contro il dissenso, trasformando i processi in auto da fé recitato dai pentiti (in cambio del perdono) e in dure esemplari condanne pubbliche di qualsiasi rifiuto dell’omologazione (l’eresia). Nasce in questa sorta di laboratorio, costruito e voluto dal nascente capitalismo tecnologico e finanziario, l’uso moderno del terrorismo per consolidare la governance. Il meccanismo viene costantemente aggiornato e messo a punto anche ai giorni nostri; abili e solerti funzionari provvedono ad iniettare adeguate dosi di paura inducendo i sudditi ad affidarsi alle istituzioni, stabili e rassicuranti, percepite come il minor male possibile. Questa prima parte si conclude con l’elezione alla Camera di Toni Negri, nelle liste del Partito Radicale; oggi questa operazione non sarebbe possibile, neppure immaginabile, ma non era così in quel disordinato 1983.
La seconda parte (e arriviamo a pagina 245) copre invece un periodo breve, fra processo e fuga. La scarcerazione di Toni Negri fu davvero clamorosa; non era mai accaduto in Italia che un detenuto politico venisse messo in libertà a seguito dell’elezione. Se ne parlò in tutta Europa. Il dibattito parlamentare per autorizzare nuovamente l’arresto e per riportare il cattivo maestro dietro le sbarre apparirà nel 2018, agli occhi di chi allora non era nato, certamente surreale. Il Partito Comunista (protagonista del progetto repressivo) si trovò prigioniero delle proprie contraddizioni, dividendosi all’interno, a ben vedere anche accelerando così il percorso che si sarebbe concluso, anni dopo, con la sparizione dalla scena politica, per sempre.
Ma anche dentro il movimento antagonista infuriarono le polemiche, fra i soggetti detenuti e fra i soggetti liberi; c’era chi esigeva una vittima da opporre all’apparato repressivo e chi sosteneva il diritto incondizionato alla libertà. Volavano parole grosse, all’interno e all’esterno dell’aula processuale. Dentro la mia vecchia copia del Diario di un’evasione (1986) ho trovato una lettera che Toni mi aveva scritto il 6 novembre 1983, e il rileggerla a distanza di tempo mi ha ricordato il clima dei giorni successivi alla sua decisione di tagliare la corda. Eccomi dunque a riproporti iniziativa che ci aiuti ad uscire da quel cul di sacco nel quale ci troviamo. Il problema era la legislazione eccezionale, le norme sugli infami: queste leggi sono il sorriso degli uomini del compromesso storico, di quello passato e di quello avvenire. Lo scontro era acceso, tanto che scriveva: …vorrei che cominciassero a fiorire nei quartieri i comitati contro l’infamia … ho lo stomaco peloso e ho visto intorno a questa faccenda degli infami tremare sia i guru radicali sia le vezzose signore del Manifesto. Nelle memorie la foga si stempera, alla luce di rapporti e fili riannodati; Toni adora la politica, se ne nutre, riesamina le sensazioni di allora con il filtro di quanto oggi gli sembra necessario. Ma, nel leggere, teniamo conto che si era, appunto, nel 1983 mentre gli eventi si susseguivano rapidi ma non indolori.
I tre capitoli dell’esilio (le ultime duecento pagine) sono dedicati al decennio parigino. L’esperienza dell’autonomia italiana si misura qui, giorno dopo giorno, con il tempo nuovo, con l’elaborazione ricca e stimolante dei francesi.
La contaminazione, o il meticciato se si preferisce, è spesso utile, sinergica. Nel caso di Toni lo è stata certamente. La convinta polemica contro i noveaux philosophes si affianca ai progetti di ricerca politica che caratterizzano la vicenda, nuova e notevole, di Futur antérieur (o Futuro anteriore). Questa terza parte descrive, con la voce di uno dei suoi protagonisti, l’inizio di un lungo cammino, percorso attraversando la jungla della transizione, segnata dalla sussunzione dentro la condizione precaria e dalla caduta del muro di Berlino (pagina 354: Toni ha ancora un frammento del muro, portatogli da un amico, quando il muro cadde). All’università di Saint Denis le riflessioni dell’operaismo negli anni settanta (i libri del rogo distrutti dalla casa editrice Feltrinelli durante la restaurazione) si sviluppano descrivendo la discontinuità storica della lotta di classe (pagina 384), abbandonando il grezzo operaismo di Tronti (pagina 398). Dopo il trauma del 1989 compare a Palermo un movimento studentesco del tutto nuovo e diverso, pure ormai entrato nella leggenda della storia: la Pantera.
Chiudo con una citazione suggestiva, posizionata al 10 gennaio 1996 (Futur antérieur) e riletta alla Dumas 20 anni dopo: dinanzi alla polizia del debito è rinata la politica del desiderio.
* questa recensione esce in contemporanea su Effimera
⇒ qui le prime pagine di “Galera ed esilio”
⇒ qui la recensione di Angela Mauro