di ANDREA CENGIA

Il 22 agosto 2014 i membri della comunità GNU[1] hanno reso noto di aver scoperto il programma di controllo intergovernativo HACIENDA.[2] È solo l’ultima notizia in ordine di tempo che ci ricorda come i software informatici e le attività lavorative o ricreative che facciamo siano oggetto di attenzione, di sorveglianza e di sfruttamento. In questo caso, con tutta probabilità, i protagonisti in negativo sono gli stati nazionali, o meglio una loro potente alleanza; in altri casi invece i pericoli alla nostra privacy possono venire da soggetti privati.

Questi fatti per ampiezza e frequenza non possono essere derubricati ad eventi eccezionali. Piuttosto dovremmo ormai essere pienamente coscienti delle implicazioni politiche di queste pratiche di controllo sociale ormai assunte a sistema reticolare globale.

Certamente questo accade perché vi sono delle disponibilità tecnico-scientifiche inedite con centinaia di milioni di persone interconnesse grazie ad internet, agli smartphone e ai social network. Tuttavia, non va sottovalutata la portata delle trasformazioni storiche, politiche e culturali che hanno caratterizzato i decenni appena passati.

Questi cambiamenti ci hanno gettato in un inedito scenario che può essere sintetizzato da alcune parole o concetti chiave: capitalismo finanziario, politiche neoliberiste, delocalizzazione, crisi, marginalizzazione delle soggettività politiche più significative del XX secolo (in particolar modo legate a quelle del lavoro operaio, ma in generale dipendente).

Oggi quel mondo si trova in profonda sofferenza. Sia dove il lavoro non manca (come i distretti iperproduttivi della realtà cinese o asiatica) sia dove il lavoro sembra essere diventato un bene rarissimo (con un desolante paesaggio postindustriale), la classe dei lavoratori è sottoposta a duri attacchi che riguardano le condizioni di esistenza di molte migliaia di loro.

Le cose sembrano andare meglio in apparenza solo nella Silicon valley, il luogo d’eccellenza della produzione capitalistica di beni immateriali. Lì trovano spazio le più avanzate industrie del software e dell’hardware con le quali ci capita di entrare in contatto nella quotidianità (Apple, Google, Facebook, e molti altri). Sono imprese di grande successo economico e di sicura popolarità tanto da condizionare con grande forza molte delle nostre pratiche quotidiane. Chi non possiede un account o un dispositivo prodotto da queste multinazionali? Tuttavia non ci interessa osservare da vicino alcune forme produttive fortemente integrate, pur a vario titolo, nella logica neocapitalistica e in grado di condizionare l’immaginario collettivo. Si tratta, al contrario, di osservare con attenzione quei modi di operare che se ne discostano significativamente. Mi pare di individuare nel cosiddetto free software un possibile perimetro alternativo di creazione ed utilizzo di pratiche alternative a quelle dominanti in questo campo tecnologico (Boutang, 2012, pp. 120-133).

La questione che vorrei qui porre è la seguente: è possibile pensare che in questo avanzatissimo ambito di produzione e di uso degli strumenti frutto dell’intelletto umano vi sia lo spazio per la creazione e il rafforzamento di una soggettività politica in grado di sostenere la sfida del nuovo capitalismo cognitivo?

In questo percorso può aiutare l’utilizzo di alcuni concetti presenti nel pensiero di Spinoza.

Non è difficile capire “perché Spinoza”. Nell’epoca della condizione postmoderna diventa difficile proporre modelli alternativi a quelli dominanti. Il filosofo di Amsterdam, in breve, può offrire strumenti di indagine efficaci e porsi, infine, come un’alternativa alle letture filosofiche prevalenti sin dalla fine del secolo scorso. L’orizzonte filosofico ereditato fin qui spesso ha dimostrato una serie di limiti interpretativi a fronte dei prepotenti cambiamenti a cui stiamo assistendo.

Ricorda Antonio Negri (Negri, 2012, p. 28) come queste letture filosofiche (1) non abbiano saputo vedere la sussunzione del lavoro al capitale, sussunzione che, nel caso del mondo della ricerca informatica e mediatica vale in maniera significativa; e (2) abbiano proposto come soluzione una sorta di “pessimismo della ragione”.

L’autore dell’Ethica, al contrario, sembra poter fornirci una possibile alternativa politico-culturale alle letture prevalenti. Un passo tratto dal testo di Negri appena citato, può aiutare a chiarire la prospettiva da cui si intende osservare la questione. “Corpi, biopolitica, soggettività: ecco gli equivalenti contemporanei di conatus e appetitus, di orizzonte modale, di cupiditas, e amor. Qui dunque, respingendo il disperato monismo dell’assoluto capitalistico, risorgeva Spinoza – meglio, egli presentava sul proscenio filosofico la possibilità di rottura rispetto a quel mondo assassino” (Negri, 2012, p. 28).

Tenendo fermo questo punto di partenza, diviene allora opportuno cominciare a valutare in che modo l’opera di Spinoza, oggi, possa configurarsi come un’utile guida per la formazione di una nuova soggettività politica (in generale) e del mondo dei lavoratori e degli utilizzatori della conoscenza digitale (in particolare).

 

Soffermandoci unicamente sull’analisi di questo ultimo punto, vediamo come alcuni concetti di matrice spinoziana possano permetterci di intendere quello che in potenza si sta muovendo all’interno del mondo e della comunità legata al software libero.

La questione che qui si vuol porre è se il mondo che ruota attorno al cosiddetto free software[3] possa essere accostato, almeno in potenza, al noto concetto spinoziano di moltitudine libera.

Secondo chi scrive, la comunità del software libero, la quale si nutre del contributo di migliaia di intelligenze sparse per il pianeta, può presentare le caratteristiche di una moltitudine libera. Anzi, può essere potenzialmente individuata come una delle possibili risposte, di quel “proliferare di figure della soggettività” (Mezzadra, 2014, p.27 e p.134), che si inseriscono in un orizzonte critico del sistema capitalistico contemporaneo.

Anticipato il punto di osservazione sul fenomeno, l’ipotesi da cui partire è del tutto simile a quella individuata da François Zourabichvili (Zourabichvili, 2012). Secondo il filosofo francese “il concetto di moltitudine è fin dall’origine in rapporto con la coppia critica libertà/schiavitù e che, per questa ragione, è l’espressione completa «moltitudine libera» e non soltanto «moltitudine» a meritare pienamente la qualifica di concetto filosofico, per di più dell’ultimo, forse, dei grandi concetti forgiati da Spinoza”. Quindi quando si parla di moltitudine non è possibile omettere di aggettivarla come libera. Proprio la dimensione della libertà non può essere elusa quando si cerca di individuare pratiche di rottura dell’agire quotidiano.

Passiamo quindi a comprendere come si possa associare il termine libertà agli autori, e ai fruitori, di software libero. Cosa significa l’aggettivo libero con il quale questi attori sociali (programmatori, esperti web e, non va dimenticato, utilizzatori finali) qualificano gli oggetti immateriali con i quali operano? Libero significa qui non obbligato ad uno scopo di profitto, non legato a particolari valori di scambio ma, piuttosto, legato soprattutto alla dimensione del valore d’uso. Paradigmatica, da questo punto di vista è l’elaborazione della licenza GNU 2.0[4] da parte di Richard Stallman. La licenza, fin dall’inizio (GNU 1.0) prevedeva la libertà di utilizzare, condividere e modificare il software, con la versione 2.0 inoltre tale licenza viene ulteriormente resa restrittiva. In sintesi il software libero non può essere sottoposto a restrizioni, in caso contrario non potrà essere distribuito o utilizzato.

Non sono qui in discussione le conseguenze legali delle licenze del free software. Piuttosto occorre interrogarci sulla valenza politica di tale invenzione. Infatti, lo strumento giuridico elaborato da Stallman può darsi solo a condizione dell’esistenza di una comunità in grado di sfruttare tali potenzialità. Non si tratta di una semplice questione informatica: non siamo di fronte alla scelta fra due opzioni di carattere commerciale (dispositivi a codice aperto o chiuso). Ecco come si esprime Stallman: “Per me, il free software è innanzitutto una questione di libertà e di comunità. Abbiamo bisogno del free software perché gli utilizzatori di computer siano liberi di cooperare. […] Avrei scelto il free software anche se fosse stato meno efficace e potente – non svendo la mia libertà per semplici questioni di convenienza” (Boutang 2002, p. 113). Certo, la FSF (Free Software Foundation) nasce nel 1985, perciò insistere ai nostri giorni sulla sua importanza potrebbe sembrare anacronistico. Tuttavia, è proprio nella contemporaneità, forse più che negli anni ‘80, che la forza delle istanze provenienti dall’ambito del software libero si fanno sentire maggiormente in tutta la loro urgenza.

Oggi uno dei baricentri d’interesse della riproduzione neocapitalistica è certamente generato dallo sguardo biopolitico sull’individuo che si realizza attraverso la collezione delle informazioni che riguardano l’insieme della popolazione (McKenzie, 2005, p. 154). Un’attenzione che interessa tanto gli stati quanto la grande industria tecnologica. Proprio qui trovano spazio i processi di assoggettamento ma anche di possibile soggettivazione (Chignola, 2012) ed è per questo che diviene urgente continuare ad osservare con attenzione quanto accade. E proprio l’idea stessa di free software non può che porsi come elemento di resistenza rispetto a queste logiche.

Dunque la questione che qui viene posta riguarda la libertà e la democrazia. Libertà e democrazia sono due elementi costitutivi della vita degli individui associati secondo l’impostazione spinoziana. Infatti, come si evince dalle parole di Spinoza la moltitudine che si sa governare non ha bisogno di un re, di un potere che la governi al posto suo. Ora è proprio questa l’alternativa civica proposta da Spinoza: una comunità che si fa soggetto politico democratico e autonomo o il re.

“È certo inoltre che ognuno preferisce dominare piuttosto che essere dominato. […] È dunque evidente che una moltitudine nel suo insieme non trasferirebbe mai il suo diritto a pochi o ad uno solo, se solo potesse raggiungere l’unità al suo interno, e far si che le controversie che per lo più sorgono nei consigli numerosi, non degenerino in sedizioni; perciò una moltitudine trasferisce liberamente a un re solo ciò che in nessun modo può avere in sua potestà, cioè la facoltà di dirimere le controversie e di prender decisioni con rapidità” (Spinoza, 1677, VII, 5).

Ad una più attenta lettura, le parole del filosofo di Amsterdam indicano anche una possibile apertura per una prassi politica. Infatti, vi è una condizione nella quale non vi è obbligo di istituire un potere politico. Ciò potrebbe avvenire “se solo potesse [la moltitudine] raggiungere l’unità al suo interno”. In generale, si potrebbe affermare che, la moltitudine, che trova un accordo al proprio interno, non ha bisogno di un potere che la governi. Quindi potrebbe valere la formula secondo la quale una moltitudine che si autogoverna, con questa stessa prassi, si offre come opposizione al potere quale forma di governo e di controllo.

È chiaro come questi concetti possano divenire fondamentali per osservare anche le dinamiche del mondo contemporaneo legate al mondo tecnologico-informatico. In tali pratiche legate all’uso (nel senso ampio del termine) di strumenti informatici, non vi è coscienza comune che la posta in gioco sia quella indicata da Spinoza nel Trattato politico. Proprio grazie a questa falsa percezione, oggi, la strada del controllo biopolitico dell’esistenza si afferma maggiormente e apparentemente priva di ostacoli. Il potere di sorveglianza e di assoggettamento nasce a fronte di una mancanza, non vi è una presa di coscienza comune. Le pratiche individuali non riescono spesso a produrre unità al proprio interno. Anche per questo quindi molti utenti compilano profili personali molto dettagliati sui social network oppure utilizzano software proprietari fortemente limitati nell’uso dalla volontà del produttore.

Riflettere sulle possibili pratiche di liberazione significa proporre un salto alla dimensione politica chiaramente indicata da Spinoza. Se, come sostiene Zourabichvili (Zourabichvili 2012), la questione della moltitudine libera, intesa come fondazione di una nuova forma di convivenza tra individui, è una questione fondamentalmente politica, allora la dimensione libera proposta da coloro che operano con software non proprietario è, simmetricamente, una possibilità di azione politica, di modificazione del nostro modo di operare all’interno della dimensione associata.

Si apre qui uno spazio politico significativo per la nostra contemporaneità in cui le forme e le pratiche attraverso le informazioni, la rete internet e l’uso di software determinano buona parte del nostro vivere associato. Il lavoro di creazione, di sviluppo e di uso del software libero, poiché non risponde al comando economico-produttivo della logica capitalistica, può presentarsi come autenticamente libero anche rispetto alle narrazioni di alcune grandi aziende produttrici di software open source, in realtà non libero. Sono prodotti a “libertà sottratta” come li definisce Stallman sul sito del progetto del sistema operativo GNU (Stallman, n.d.).

È inutile aggiungere come questa dimensione rischi ogni giorno di alimentare sempre più le forme di assoggettamento e dominio di cui ha parlato Michel Foucault (Foucault, 2009, p.29). Anche su questo versante, in pieno collegamento con la visione libera e aperta, esistono progetti volti a coinvolgere i semplici utenti in pratiche che di fatto si configurano come azioni di liberazione e anti sistema (se per sistema intendiamo la biopolitica della raccolta e dell’uso dei dati e di profili sensibili). Di fronte all’attualità delle affermazioni emerse dal cosiddetto scandalo Datagate e dei casi che sempre più spesso vengono alla luce, anche la comunità del free software ha cercato di mettere a disposizione degli utenti una serie di strumenti in grado di limitare l’effetto dei sistemi di spionaggio ad esempio dei sistemi di posta elettronica o di navigazione web.[5]

Evidentemente ciò non risolve i problemi del controllo dei dati sensibili che avviene attraverso le reti informatiche; tuttavia è la dimostrazione di come (1) si possa generare strumenti di resistenza che passano attraverso le pratiche quotidiane (proprio quelle pratiche che sono soggette all’attenzione biopolitica) e (2) si possa iniziare un’opera di sensibilizzazione che va nella direzione della creazione di una soggettività politica cosciente della posta in gioco e del proprio ruolo.

Potrebbe essere già questo un obiettivo minimo da raggiungere. Ma i due punti sopra evidenziati possono essere praticati in vista della realizzazione della condizione di convivenza migliore. Con le parole di Spinoza si potrebbe dire che, “[…] Il miglior potere è quello grazie al quale gli uomini conducono la loro esistenza in concordia e il diritto rimane inviolato” (Spinoza, 1677a, V, II).

Proviamo ora, brevemente, a rapportare il primo termine del binomio spinoziano “moltitudine libera” alla sfera di interesse di questo scritto. Non penso sia difficile evidenziare come il concetto di moltitudine può descrivere propriamente la dimensione associata del free software. Per capirlo ci viene in aiuto il commento al Trattato politico operato da Zourabichvili (Zourabichvili, 2012).

La considerazione principale è che la moltitudine nasce da un processo storico, da una necessità e non è una chimera. “Agli uomini è più di tutto utile avere relazioni e stringere tra loro legami con cui formare più facilmente, tutti insieme, un’unità, e compiere, in generale, quelle azioni che servono a consolidare le amicizie” (Spinoza, 1677b,IV, XII). È questa tensione naturale verso la formazione di un soggetto politico che merita la nostra attenzione.

Questo proprio “in virtù della tensione naturale degli individui verso la comunità (cioè del loro comune orrore per la solitudine). Se ne conosce la logica: è quella delle «nozioni comuni». La consistenza del concetto di moltitudine in generale non si trova allora se non in questa tensione, che è quella di un desiderio comune” (Zourabichvili, 2012).

Più problematico è cercare di capire se le potenzialità di essere moltitudine vengano percepite come tali dalla stessa comunità o se questa coscienza non sia ancora divenuta comune sentire. Rimane tuttavia, a mio avviso, tutta la potenza di tale possibilità.

Divenire moltitudine, moltitudine libera, è certamente il completamento di una prassi di rottura. A partire da forme di partecipazione minima, ma via via sempre più coordinate (elaborazione, distribuzione e uso), i programmi liberi sono oggi una realtà significativa e conosciuta, anche se a volte impropriamente, anche dal grande pubblico.

Per tale ragione, la comunità plurale del free software deve affermarsi ulteriormente, andando oltre a quanto fatto fin qui e dimostrando la forza della propria prospettiva. In gioco vi è la possibilità per questa idea di affermarsi. Gli ostacoli alla realizzazione di questo progetto ne hanno sempre accompagnato la storia (Boutang, 2012, pp. 116-117).

Le ragioni della prospettiva del software libero, come si è detto, sono quelle, in breve, della difesa democratica. A compiere questo passo non può che essere la moltitudine, come sottolinea Paolo Virno. “[…] La moltitudine è plurale, rifugge dall’unità politica, non stipula patti né trasferisce diritti al sovrano, recalcitra all’obbedienza, inclina a forme di democrazia non rappresentativa” (Virno, 2005, p.3). Proprio per questo la dimensione della moltitudine si contrappone a qualsiasi riduzione alla semplice unità e all’ordine del potere. In questo senso essa preoccupa i teorici dell’assolutismo come Hobbes. “I cittadini, allorché si ribellano allo Stato, sono la moltitudine contro il popolo” (Hobbes, 1642, XII, 8).

I timori di Hobbes possono essere oggi l’elemento di qualificazione di quelle pratiche orizzontali nell’uso degli strumenti informatici e delle tecnologie in senso libero, aperto e condiviso.

Questo genere di cooperazione ha già trovato notevoli ammiratori nel mondo del software proprietario. Infatti, la stessa industria capitalistica ha ben individuato il vantaggio dell’utilizzo di programmi opensource. Attenzione: (1) open, non free, come sottolinea opportunamente il collettivo Ippolita (Ippolita n.d.), e (2) per cooperazione non si deve intendere il celebre e suggestivo invito alla semplice condivisione di materiali, gusti, profili, pensieri, luoghi che riempiono i socialnetwork e di cui si nutre l’impresa capitalistica postmoderna. Tutti i discorsi, secondo i quali la rete e i socialnetwork sarebbero il luogo compiuto della libertà di espressione, devono oggi misurarsi con il rischio del controllo sulla vita e con la forte presenza dei sistemi di assoggettamento.

Se è vera l’affermazione di Zourabichvili “non vi è moltitudine che per la libertà” (Zourabichvili, 2012) si può ritenere che, invertendo i termini, la libertà abbia bisogno della moltitudine. Il necessario supporto e requisito alla stessa possibilità di ogni pratica libera in ambiente digitale richiede l’esistenza della moltitudine: soggetti collegati in rete che sviluppano e utilizzano free software.

Così, l’ordine costituito delle grandi corporation informatiche e mediatiche, l’ordine biopolitico e del data mining, possono essere incrinati dalla moltitudine libera, a patto che quest’ultima sia in grado di agire non come sparuta individualità ma sempre più come insieme reticolare. Ecco come delinea questo processo Spinoza: “Se due uomini si accordano e uniscono le loro forze, insieme sono più potenti e, di conseguenza, insieme hanno un diritto sulla natura maggiore di ciascuno preso singolarmente; e tanto più numerosi saranno a unirsi in tal modo, maggiore sarà il diritto che avranno tutti insieme” Spinoza B. (1677a, II, XIII).

Ora la moltitudine libera di cui parla Spinoza può essere rintracciata nelle pratiche introdotte, ormai molti anni fa dai teorici del free software. Forse anche oltre le loro stesse intenzioni, oggi, quelle pratiche si configurano come azioni di resistenza e di antagonismo di rottura e di nuova produzione (Negri, 2014).

Se, ragiona Spinoza, la democrazia è la possibilità degli uomini di vivere attraverso relazioni orizzontali e collettive (Negri, 2006, p. 380-381) allora adottare gli assunti teorici (apertura e quindi trasparenza dei codici software a tutti coloro che hanno le conoscenze per comprenderli) e le pratiche quotidiane (uso di software prodotti e garantiti dalla comunità e impiego di licenze che oltrepassino il diritto d’autore) diviene effettivamente una pratica democratica in divenire.

“Moltitudine – anche sulla scena quotidiana, dove per ora meglio si aggira – è modo di essere ambivalente, che tiene in sé perdita e salvezza, paura e sicurezza, acquiescenza e conflitto, servilismo e libertà, sebbene incompatibili con quelli che definivano la costellazione popolo/volontà generale/stato. […] [essa è] il rovescio positivo del non indolore collasso delle protezioni, cioè la condivisione di doti cognitive e linguistiche nella produzione, la pubblicità intrinseca dell’intera moltitudine” (Illuminati, 2003, pp. 179-180).

La forza persuasiva di carattere biopolitico posta dallo scenario contemporaneo deve indurre ad un netto risveglio. Occorre una presa di coscienza collettiva che porti alla riflessione sulla condizione di cittadinanza contemporanea, a partire dalle nostre pratiche quotidiane di utilizzo di sistemi tecnologici. Anche grazie all’azione atomica delle singole individualità è possibile produrre una interferenza all’interno dei sistemi di consenso e di potere. Ma, come si è argomentato, queste soggettività hanno bisogno di sostenersi reticolarmente. Ogni occasione va sfruttata per smontare il sistema di potere attualmente dominante: non è impossibile tentare di “rompere l’incanto neoliberale” (Mezzadra, Negri, 2014).

 

 

BIBLIOGRAFIA  
Boutang Y. M.(2002), L’età del capitalismo cognitivo. Innovazione, proprietà e cooperazione delle moltitudini, Verona, Ombre corte  
Foucault M. (1997), Bisogna difendere la società, trad. it. Milano, Feltrinelli, 2009  
Hobbes T. (1642), De Cive, trad. it, Roma, Editori riuniti, 1979  
Illuminati A. (2003), Del comune. Cronache del general intellect, Roma, Manifestolibri  
Longo G. O. (1998), Il nuovo Golem. Come il computer cambia la nostra cultura, Roma-Bari, Laterza  
McKenzie W. (2004), Un manifesto hacker, trad. it, Milano, Feltrinelli, 2005  
Mezzadra S. (2014), Nei cantieri marxiani. Il soggetto e la sua produzione, Roma, Manifestolibri  
Negri A. (2006), Spinoza, Roma, DeriveApprodi  
Negri A. (2012) Spinoza e noi, Milano, Mimesis  
Spinoza B. (1677a), Trattato politico, trad. It a cura di Pezzillo L., Roma-Bari, Laterza, 1991  
Spinoza B. (1677b), Etica, trad. It a cura di R. Cantoni e F. Fergnani, Torino, Utet, 2005  
Ippolita (2005) Open non è free, Milano, Elèuthera Ippolita Disponibile online http://www.ippolita.net/sites/default/files/ippolita-open-non-e-free-it-eleuthera.pdf [accesso 25/08/2014]  

 

ARTICOLI E PAGINE WEB  
Chignola. Mezzadra, 2012, Fuori dalla pura politica. Laboratori globali della soggettività, http://www.uninomade.org/fuori-dalla-pura-politica [accesso 25/08/2014]  
fsf.org (n.d.), Email Self-Defense, https://emailselfdefense.fsf.org/en/ [Accesso 25/08/2014]  
fsf.org (n.d.), Free software is software that gives you the user the freedom to share, study and modify it. We call this free software because the user is free, https://www.fsf.org/about/what-is-free-software, [Accesso 25/08/2014]  
gnu.org (n.d.) Filosofia del progetto GNU, http://www.gnu.org/philosophy/philosophy.it.html [Accesso 25/08/2014]  
Greenwald G. (2013) NSA collecting phone records of millions of Verizon customers daily, http://www.theguardian.com/world/2013/jun/06/nsa-phone-records-verizon-court-order, [Accesso 25/08/2014]  
Mezzadra Negri, 2014, Rompere l’incanto neoliberale: Europa, terreno di lotta, http://www.euronomade.info/?p=1371 [accesso 25/08/2014]  
Negri A., 2014, Il polmone comune della metropoli. Intervista ad Antonio Negri in guisa di appendice a La comune della cooperazione sociale, https://www.euronomade.info/?p=2675 [accesso 25/08/2014]  
Stallman R. (n.d.), Il progetto GNU, https://www.gnu.org/gnu/thegnuproject.html, [accesso 25/08/2014]  
Virno P. (2001), Moltitudine e principio di individuazione, http://www.filosofia.it/images/download/essais/Virno_2_individuazionegeneral_intellect.pdf [accesso 25/08/2014]  
Zourabichvili (2012) L’enigma della «moltitudine libera», http://www.quadernimaterialisti.unimib.it/?p=1507, 2012 [Accesso 25/08/2014]  

 


[1] http://www.gnu.org/

[2] http://www.fsf.org/news/gnu-hackers-unmask-massive-hacienda-surveillance-program-and-design-a-countermeasure

[3] https://www.fsf.org/?set_language=it

[4] The licenses for most software are designed to take away your freedom to share and change it. By contrast, the GNU General Public License is intended to guarantee your freedom to share and change free software–to make sure the software is free for all its users. This General Public License applies to most of the Free Software Foundation’s software and to any other program whose authors commit to using it. (Some other Free Software Foundation software is covered by the GNU Lesser General Public License instead.) You can apply it to your programs, too. Preamble in http://www.gnu.org/licenses/gpl-2.0.html

[5] “Bulk surveillance violates our fundamental rights and makes free speech risky.” Così riporta la home page del servizio di email protetta della Free software foundation, si veda https://emailselfdefense.fsf.org/en/

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