di ANTONIO NEGRI e RAÚL SÁNCHEZ CEDILLO.

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Dicono, i compagni che hanno dato vita a Podemos: siamo riusciti ad uscire in modo positivo dai limiti dell’orizzontalità del movimento, tanto ricca quanto spesso inconcludente. Ci siamo riusciti con un gesto politico di autocostituzione, di organizzazione e di rappresentanza. Abbiamo avuto l’intelligenza di comprendere che lo spazio fra le elezioni municipali e quelle generali, fra maggio e fine anno, era l’unico che poteva permettere di “rompere il lucchetto del ’78”: in periodo elettorale l’avversario è costretto a distendersi sul territorio, le garanzie costituzionali di libertà funzionano meglio che in altre condizioni e sono quindi possibili zone di sfondamento del regime attuale, profondamente discreditato e diviso. Inoltre, al termine del 2015, il fronte capitalista sarà forse in grado di far riposare il suo attacco, per riorganizzarsi dopo aver risposto, ed eventualmente demolito, in maniera feroce, alla nostra resistenza. La finestra storica di opportunità si sarà allora rinchiusa per lungo, troppo lungo tempo.

Tutto ciò noi concediamo. I compagni di Podemos sono i soli, in Europa, ad aver osato seriamente di fare questo passaggio, ad aver costruito un asse verticale a partire da un movimento di inaudite potenza e novità e ad aver così organizzato, senza demagogia o sotterfugi, una via d’uscita dal “democratismo di base” – alla fine impotente, davanti alle esigenze dei tempi, nella contemplazione della sua orizzontalità. Solo il barone Münchhausen favoleggiava di esser riuscito da solo a tirarsi su dal fango afferrandosi per il codino e a volare … Podemos ci è riuscito.

Ora però per continuare a vincere non è solo necessario pensare all’avversario, a come batterlo, disarticolandolo e facendogli perdere ogni rilevanza politica e costituzionale. Occorre esser certi che quello che si fa a questo scopo, lo si faccia sulla medesima scala maggioritaria e radicalmente democratica dalla quale si è nati. In questo processo non si possono creare strettoie, né spaziali né temporali. Un solo esempio: il Partito Comunista Italiano, al quale tanto volentieri si riferiscono i teorici di Podemos, perse ogni forza, nuovo Sansone, si fece tagliare i capelli e fu catturato dal nemico, quando dimenticò quel precetto: quella strettoia si chiamava “autonomia del politico”.

Facilmente quella strettoia finisce per divenire un nodo scorsoio che blocca chiunque vi inserisca un dito – o talvolta il collo. La critica politologica del partito politico, elaborata da più di un secolo, è a questo proposito più che chiara: non solo sui limiti della burocratizzazione della struttura-partito (sui quali quei teorici insistevano, denunciando, come uomini di destra quali erano, la nascente forza dei partiti operai) ma soprattutto sulle caratteristiche del comando, della direzione, del leaderismo, del “carismatico” che l’autonomia del politico determina. Era questa una giusta analisi di tendenza ed anche una minaccia (un’altra fra le mille ma particolarmente azzeccata) che si aggiungeva nella lotta di quei politologi contro i partiti del proletariato.

Fin qui siamo sui limiti che abbiamo chiamato “spaziali”. Poi vi sono quelli “temporali”, connessi all’“autonomia del politico”. Non siamo certo fra quelli che negano la possibilità di utilizzare al meglio le scadenze della crisi, siano elettorali o sociali; che rinneghino la necessità di colpire il punto debole della catena del comando, soprattutto se ciò lo si può fare nel momento in cui le forze della contestazione sociale dei cittadini sono più forti. Ma attenzione: il governo è difficile da esercitare. Non si può esser soli per farlo. Tanto più nei regimi attuali di governance, quando la continuità dell’azione non solo deve esser tenuta su un ciclo temporale lungo ma è costituita da un seguito di puntualità. È la capacità dell’avversario (destra nazionale e/o “PPSOE”, progetti nazionalisti del capitale catalano, troika europea e globale, ecc.) di spezzettare il contrattacco in maniera indefinita. A fronte di quest’avversario, in questa dimensione temporale, l’“esser dentro” i movimenti è essenziale per l’azione di un governo conquistato da Podemos.

I compagni boliviani lo avevano ben compreso quando riuscirono a far convivere in un tempo lungo governo e assemblea costituente. Fu un bordello – ma quanto forte e vivente.

Il problema del governo “nel tempo” non è solo la sua efficacia ma soprattutto l’irreversibilità delle sue conquiste. Chi flirta con l’“autonomia del politico” finisce per pensare che lo sviluppo della democrazia di base sia secondario. Talvolta può addirittura immaginare forme di comando solo cariche di un’efficacia carismatica: talvolta tragicamente accadde. Ma a noi non è dato: stiamo operando per uscire definitivamente dai dilemmi weberiani del comando borghese, che finora hanno solo legittimato soluzioni autoritarie  di quei conflitti sociali che le lotte avevano portato all’altezza del politico.

Torniamo tuttavia al problema centrale qui affrontato: dall’orizzontalità alla verticalità, dall’agitazione e dalla resistenza di movimento al governo. Podemos chiede a tutti i compagni di ragionare a partire da questo livello. Un livello di governo centrale? Forse. Il livello del governo delle grandi città? Ciò è ancor più vicino e possibile. Ma non è appunto solo se si indirizza l’azione di tutti i cittadini verso un forte rinnovamento del governo della città – non è solo in questo caso che si può dar l’esempio, vicino, palpabile, di un progetto costituente efficace? A noi sembra di sì. Perché la città ed il comune, la vita cittadina e le sue forme di incontro possono plasmare figure compatte di amministrazione e di iniziativa costituente. Le acampadas nelle metropoli, le città e anche i piccoli paesi sono state forme di incontro costituente, mostrando come i modi di vita metropolitani siano ormai modi politici e produttivi in termini generali. Facendo interagire democrazia e (ri)produzione della città abbiamo la possibilità di articolare il politico, cioè di congiungere la volontà di vincere e la capacità di decisione ad un tessuto largo, plurale ed attivo di presenza militanti e di produzione di programmi di trasformazione. Lì in mezzo sta il governo. È lì che diventa carne ed ossa il problema foucaultiano del “come vogliamo essere governati?”.

E soprattutto a partire da lì, dalle amministrazioni metropolitane e municipali, si dà la possibilità di costruire il governo a livello statale, mettendo pietra su pietra. In un regime biopolitico, (cioè, dove comando, vita, produzione, affetti e comunicazione si intrecciano e si confondono come in un labirinto)  i salti son difficili se non impossibili – anche nella vecchia politica andava così e quando c’erano salti, talvolta eroici, troppo spesso occorreva tornare indietro, coprire di istituzioni fattizie quel terreno troppo velocemente attraversato.

Verticalizzare l’orizzontalità non significa solo conquistare capacità di decisione generale, di governo, di gestione di una “guerra di movimento”, ma anche e soprattutto essersi innalzati ad una visione dall’alto più larga: e allora si comprende come la guerra di movimento non paga se le posizioni conquistate, i fronti difesi non sono mantenuti, consolidati e mano a mano sviluppati.

Il governo deve garantire il potere delle organizzazioni cittadine – si diceva non molto tempo fa in America latina, fin quando il movimento progressista era vincente – perché solo in questo caso il governo centrale è garantito da rovesciamenti improvvisi e/o organizzati. Da chi? Possiamo rispondere: non più solo dall’avversario che conosciamo, dalle forze reazionarie che ci stanno di fronte, ma da una gerarchia ben più forte che attraverso l’Europa rimonta fino agli apici del governo del capitale finanziario.

È enorme il riconoscimento di non aver paura e di poter vincere davanti a queste forze. Ma attenti a non sfidare il diavolo che da questa profondità di scontro può ancora venir fuori. La nostra forza restano le acampadas, i municipi, le mareas, i movimenti – detto altrimenti, quello che è il 15M ha reso possibile e praticabile. A volte ci sembra capire che per i promotori di Podemos “il potere” sia una dimensione aparte. Non è vero: è una capacità accresciuta del agire, è una prospettiva di azione sui e nei rapporti politici, ma il “Potere” e il “Politico” non ci sono. Non c’è altro che i gradi diversi e plurimi di contropotere. Ma i dirigenti di Podemos ribadiscono, dentro e fuori dell’organizzazione: “Prima ci si prende potere, poi ci si applica il programma”.

L’“autonomia del politico” può divenire una teoria perniciosa quando, sopravalutando l’istituzione e l’efficacia del comando statale, nega la genesi e la legittimità materiali del fondamento del politico.  La rappresentanza che separa i rappresentanti dai rappresentati, quella “volontà generale” (la si chiami “popolo” o “unità popolare”) che crea per i rappresentanti un fondamento mistico e inappellabile – no, non è essa quel che interessa i movimenti. L’importante è (ri)creare un flusso di movimento politico, un sistema aperto di governance dal basso che tenga uniti (attraverso il continuo dibattito costituente e una continua estensione di questo dibatitto ai cittadini) movimento e governo. C’è la possibilità di costruire questo ponte, questo insieme – se tutti si piegano a quella necessità che si chiama “essere maggioranza”. È questo l’empoderamiento decisivo.

 

 

*articolo uscito su publico.es il 23 febbraio 2015.

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