Di MARCO BASCETTA
Che la pandemia esasperi e moltiplichi tutte le contraddizioni, che inasprisca e approfondisca ogni genere di divisioni è ormai una realtà sotto gli occhi di tutti. A dispetto della martellante retorica che auspica e promette l’universale cooperazione contro il male comune.
Quando fuori controllo è la curva dei contagi, fuori controllo si rivelano anche la politica, le sue procedure decisionali, l’intero sistema delle garanzie e dei diritti. Questa dinamica caotica ha ormai investito in pieno il solido e leggendariamente efficiente cuore d’Europa: la Germania.
La sospensione e poi la limitazione dell’impiego del vaccino AstraZeneca in seguito all’insorgenza di alcuni casi di trombosi specificamente in Germania, hanno rallentato lo svolgimento del piano vaccinale e alimentato un diffuso clima di insicurezza. Nel quale crescono i conflitti e le reciproche accuse tra i governi di molti Länder e il governo federale intorno alle misure di lockdown da adottare per fermare la progressione dei contagi. Cosicché l’equilibrio tra le prerogative dei governi regionali e quelle del Bund torna ad essere un problema e un oggetto di discussione che attraversa e divide le forze politiche.
Esemplare è il conflitto tra la Cancelliera e il nuovo leader della Cdu, Armin Laschet, che in veste di ministro presidente del Nordreno-Vestfalia respinge ogni imposizione del governo centrale (misura invocata da Angela Merkel) nella gestione regionale dell’epidemia, probabilmente con un occhio alla sua popolarità nella corsa verso la Cancelleria. In questi frangenti, e del resto anche qui in Italia con particolare insistenza, si è soliti evocare le esigenze e le specificità dei diversi “territori”, confondendo questi ultimi con i loro governatorati che sovente agiscono soprattutto in funzione della propria autoconservazione politica o in favore di questo o quel potentato locale.
Così, anche in risposta all’epidemia, l’arbitrio dei poteri locali e le ambizioni personali si esercitano senza particolari inibizioni, il più delle volte sopra la testa della cittadinanza. Dall’Unione europea, le cui strategie comuni zoppicano e balbettano ad ogni livello, fino alle istituzioni locali, la tendenza ad andare per proprio conto si accentua di giorno in giorno insieme alla frammentazione competitiva delle ambizioni politiche.
In Germania sul turbolento contesto emergenziale si innesta una confusa e delicata fase di transizione. La lunga e stabile stagione della Cancelliera Merkel si è conclusa, ma l’assetto che le succederà è ancora ben lontano dall’aver preso forma e la crisi dei grandi partiti di massa del dopoguerra dall’essere stata superata. La formula in ultima istanza “salvifica” della Grande coalizione appare irrimediabilmente logorata.
Lo testimoniano fra tanti altri sintomi e oltre i sondaggi, il blocco imposto dalla Cdu a quel disegno di legge per la “promozione della democrazia”, un programma di sostegno finanziario e istituzionale alle iniziative contro il razzismo e l’estremismo di destra, sul quale i vertici della Grande coalizione si erano in precedenza accordati. La lotta per prendere le redini del nuovo corso dopo Merkel è in pieno svolgimento. E l’instabilità politica della Germania si riflette con tutta evidenza sull’Unione europea, il cui argomento più efficace nei confronti degli scontenti e dei riottosi è sempre stato il sostegno della voce di Berlino.
Lo stesso percorso tutt’altro che concluso del Recovery fund dipende in larga misura dagli equilibri politici in Germania e dai poteri straordinari della Corte costituzionale tedesca che ne ha temporaneamente sospeso la definitiva ratifica in seguito alla causa intentata dal fondatore di Afd. Comunque vada a finire (ed è probabile che la Corte di Karlsruhe finisca col respingere l’istanza) si tratta di un serio segnale di allarme che determinerà comunque nel futuro la maggiore o minore apertura di Berlino nei confronti della coesione europea e dei suoi equilibri interni.
Nell’orizzonte, che tutto domina, della pandemia, gli interessi particolari (nazionali, regionali, corporativi) e la competizione (assurda in termini scientifici e sociali) su chi ne uscirà prima e in posizione di maggiore forza sembra avere ancora la meglio.
Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il 1 aprile 2021.
Foto di Wolfgang van de Rydt da Pixabay