di TONI NEGRI.

Vorrei illustrare tre parole d’ordine di Lenin. La prima è: «Tutto il potere ai soviet». È una parola d’ordine esclamata nell’aprile del ’17, nel momento nel quale la rivoluzione deve scegliere fra una via precedentemente segnata da Lenin in termini di conquista del potere da parte dell’avanguardia organizzata e la via segnata dall’insorgere e dall’organizzarsi delle masse nei consigli/soviet.
La seconda parola d’ordine è del ’19: «Socialismo è = Soviet + elettricità». Questa parola d’ordine è data nel momento nel quale, conquistato il potere ai soviet, se ne deve qualificare il progetto produttivo e le forme di vita che il proletariato vuole costruire nel socialismo.
La terza parola è dell’inizio del ’17, quando Lenin, bloccato in Svizzera dalla guerra imperialista, comincia a lavorare a Stato e rivoluzione (completerà il libro nell’agosto/settempre del ’17), quando cioè propone il programma comunista di dissoluzione dello Stato. La parola d’ordine è: «estinguere lo Stato».

Veniamo dunque alla prima parola d’ordine: «tutto il potere ai soviet». È un’indicazione strategica assolutamente chiara, disegna il progetto di condurre la rivoluzione e di costruire il socialismo nell’assunzione del potere da parte dei soviet, organi di massa. «La guerra imperialista – dice Lenin – doveva per necessità obiettiva trasformarsi in guerra civile tra le classi nemiche» – il Soviet è il prodotto spontaneo di questa situazione, «un’embrione di governo operaio, rappresentante degli interessi di tutte le masse povere della popolazione, cioè dei nove decimi della popolazione: essa aspira alla pace, al pane, alla libertà». È dunque chiara quest’indicazione. Tuttavia noi, vecchi novecenteschi, l’abbiamo troppo spesso ascoltata come fosse l’esempio di «opportunismo rivoluzionario» o altrimenti come espressione del concetto di «insurrezione come arte», in ogni caso come una geniale decisione, improvvisa e magnifica nel rovesciamento di linea che Lenin prescriveva al partito. È un fatto che Lenin, teorico dell’avanguardia come direzione dei movimenti di massa e di un partito costruito sul modello industriale della fabbrica moderna, nell’aprile del ’17 modificava radicalmente con questa parola d’ordine la linea politica del partito, delegittimando «da lontano» (era ancora fuori dalla Russia) la direzione moscovita contraria al trasferimento del potere costituente ai soviet. Contraddizione geniale – si diceva – atto machiavellico di conversione virtuosa del progetto politico: ce lo siamo sentiti dire mille volte da quelli che poi si sono rivelati essere, nel «secolo breve», i distruttori della sinistra operaia di classe. Ebbene, questa lettura di quella parola d’ordine è falsa. La linea politica dettata da Lenin è infatti riassunta dal dispositivo: la strategia al movimento di classe; la tattica, solo la tattica, all’istituzione, ovvero al partito, alla rappresentanza, all’avanguardia. L’indipendenza del proletariato costituisce il luogo dell’egemonia strategica, laddove si formano la potenza insurrezionale e il progetto rivoluzionario. È a confronto di questa realtà che l’avanguardia deve chinarsi, se vuole inagurare una proposta tattica. La trasformazione radicale della tattica rivoluzionaria, dettata da Lenin a partire dall’aprile del ’17, non è dunque un gesto d’artista ma il riconoscimento politico della maturità egemonica, della capacità strategica delle masse proletarie – dei contadini, degli operai, dei soldati organizzati nei soviet – per prendere il potere. Il gesto leninista è un sapere del potere proletario, giunto a riconoscersi come progetto strategico. Il partito, l’avanguardia, la sua expertise tattica debbono sottomettersi a quella forza di massa e raccoglierne con fedeltà e svolgerne con coerenza la strategia. Organizzare i soviet nella rivoluzione è dare organizzazione al potere costituente che essi esprimono – vale a dire continuità di azione, capacità di produrre istituzione, progetto egemonico nella costruzione del socialismo. Da «organo dell’insurrezione» a «organo dell’insurrezione e del potere del proletariato»: questa trasformazione della funzione dei soviet deriva perciò dallo sviluppo reale, materiale degli obiettivi rivoluzionari.

Veniamo alla seconda parola d’ordine: «Socialismo è = a Soviet + elettricità». Anche a questo proposito l’interpretazione tradizionale è traditrice. Essa insiste sul fatto che il soviet e il suo impegno produttivo debbano essere subordinati e resi funzionali alle urgenze dell’accumulazione socialista. Il che è solo pazialmente vero. È vero, cioè, pensando agli immani compiti della rivoluzione in un solo paese, caratterizzato da ordinamenti economici e sociali semi feudali, da una struttura industriale del tutto insufficiente ad un qualsiasi progetto di modernizzazione e già sottoposta ad attacchi concentrici delle forze controrivoluzionarie. Questa era la condizione nella quale ci si muoveva nel progetto di istituire il socialismo. Ma la parola d’ordine «Soviet + elettricità» non significa solo necessità di innalzare la composizione organica del capitale nella sua parte fissa, energetica, come base necessaria ad ogni espansione industriale: la parola d’ordine leninista non può essere ridotta a quest’imperativo. Essa scopre piuttosto un tema marxiano fondamentale: non si dà rivoluzione sociale senza un’adeguata base materiale che la sostenga. Di conseguenza, ogni proposta politica che voglia la sovversione del sistema capitalista, della sua figura politica e del modo di vita esistente, senza presentare il progetto di un’adeguata trasformazione del modo di produzione, è falsamente rivoluzionaria. Rivoluzionaria è invece la congiunzione diretta di soviet – e cioè organizzazione politica del proletariato – e di elettricità – cioè forma adeguata del modo di produrre. Forma adeguata, condizione necessaria del modo di produrre.
E, togliendo questa proposta alla contingenza, riprendendola in generale (cosí come Lenin voleva) per lavorare alla rivoluzione, per «completare la rivoluzione», essa significa portare a compimento il rapporto fra quello che la classe lavoratrice è, cioè la sua composizione tecnica e le forme politiche nelle quali quella composizione si organizza. Ovvero, attraversare la «formazione sociale» determinata del proletariato – e la sue capacità tecniche, i suoi modi di vita, il desiderio di pane, pace e libertà (questo significa «composizione tecnica» del proletariato) alla luce della lotta di classe e la trasformazione del modo di produzione alla luce del dualismo di potere, cioè, del contropotere dei soviet (questo significa «composizione politica» del proletariato). Socialismo e comunismo sono modi di vita costituiti attorno a modi di produrre. Questo nesso è per Lenin interno alla costruzione del socialismo. «Soviet + elettricità» non significa perciò semplicemente far comandare dal soviet la struttura tecnologica (nella fattispecie quella legata alla fase industriale configurata dall’utilizzo dell’energia elettrica), che il capitale aveva fissato per la sua organizzazione produttiva. Ogni struttura produttiva implica infatti una struttura sociale, e viceversa. Quindi, comporre soviet e macchina industriale (elettrica) significa per Lenin incidere sulla struttura tecnica del produrre: non c’è una produzione industriale che vada egualmente bene per il capitalismo e per il socialismo, non c’è un uso neutrale delle macchine. Il socialismo, per affermarsi, deve intaccare la struttura industriale capitalista, cominciando a determinare, con la modificazione dell’uso proletario delle macchine, la trasformazione del modo di vita dei proletari. È all’interno del rapporto di capitale, e cioè del rapporto tra capitale fisso e capitale variabile, fra strutture tecniche della produzione e forza-lavoro proletaria, che la parola d’ordine di Lenin impianta, alla maniera di Marx, il dispositivo rivoluzionario della trasformazione sociale. Qui il soviet è una struttura dell’imprenditorialità collettiva, è una figura di impresa del comune.

Siamo così già interni alla discussione della terza parola d’ordine: «estinguere lo Stato». La strategia egemonica del soviet che prende il potere politico, e costituisce nuovi modi di produrre, nuove forme di uso delle macchine – di quelle produttive di merci e di quelle produttrici di soggettivazione – bene, questa è la strategia che prepara l’abolizione dello Stato, cioè il passaggio dal socialismo al comunismo. Quando Lenin elabora la teoria comunista dell’estinzione dello Stato, prendendo spunto dalla descrizione apolegetica che Marx aveva fatto dell’esperienza dei comunardi nel 1871, non riesce a dissolvere il carattere utopico che essa ancora conteneva. D’altronde, la descrizione leninista dell’esperienza comunarda, come già quella marxiana, era greve nella denuncia degli errori dei comunardi. Perciò Lenin procede oltre quell’utopia, la sua capacità di indirizzo – nel mentre che si sviluppa la prese del potere – va, in Stato e rivoluzione, oltre le vecchie indicazione canoniche. La radicalità della rivoluzione sul terreno sociale (abolizione della proprietà privata, principio di pianificazione, proposta di nuove forme di vita nella libertà) sono gli elementi dinamici sui quali deve organizzarsi, prima,  il deperimento e, poi, l’estinzione dello Stato capitalista. Averlo previsto come compito teorico trova, con la rivoluzione, non solo conferma, ma un terreno pratico di realizzazione di quel compito. In quel progetto erano infatti riassunti l’affermazione che la strategia della liberazione competeva alla classe dei lavoratori e che l’invenzione produttiva ne era la chiave, ma anche, e soprattutto, che il compito dell’abolizione dello Stato presupponeva un enorme sviluppo della coscienza, e dei corpi, dei lavoratori. Costituiva un’impresa maggioritaria e si affermava attraverso l’irriducibile aumento della forza dei proletari.
Parliamoci chiaro: è così che Lenin ha raccolto la volontà del proletariato russo in quell’immane sforzo che, in vent’anni, avrebbe trasformato la poetica «armata a cavallo» dei cosacchi rossi di Budjonni nelle divisioni corazzate che hanno liberato l’Europa dal nazifascismo. E questa vittoria è stata, per la mia generazione, un buon inizio nella pratica di emancipazione. È Lenin che ha diffuso, con l’idea della distruzione dello Stato, quelle parole d’ordine dell’eguaglianza e della fraternità che hanno sconvolto per un secolo l’ordine politico globale – «del papa e dello zar, di Metternich e Guizot, dei radicali di Francia e dei politici tedeschi». Indirizzando il desiderio di emancipazione contro lo Stato come la macchina che trasforma lo sfruttamento sociale in diritto pubblico e privato per controllare la vita e per fissare il dominio di classe, Lenin ci ha lasciato in eredità il problema di costruire un’impresa comune che desse ai lavoratori il comando sulla produzione e la forza di esercitarla, di costruire la libertà di tutti. «Perché finchè esiste lo Stato non c’è libertà e quando vi sarà la libertà non esisterà più lo Stato» – questo scrive Lenin in Stato e rivoluzione.
E, ancora, la forza del programma investe e trasforma i bisogni operai, la loro coscienza e i loro corpi, li traduce in progetto.

Base economica dell’estinzione completa dello Stato è uno sviluppo così elevato del comunismo da implicare la scomparsa del contrasto tra lavoro intellettuale e fisico, la scomparsa quindi di una delle fonti principali dell’attuale ineguaglianza sociale, fonte che il solo passaggio dei mezzi di produzione in proprietà comune, la sola espropriazione dei capitalisti, non può assolutamente eliminare subito.

E continua:

Quest’espropriazione darà la possibilità di uno sviluppo gigantesco delle forze produttive. E, vedendo come già ora il capitalismo frena in modo incredibile questo sviluppo e quali progressi si potrebbero invece ottenere sulla base del livello attuale, già raggiunto, della tecnica, abbiamo il diritto di dire con la massima sicurezza che l’espropriazione dei capitalisti porterà inevitabilmente a un gigantesco sviluppo delle forze produttive della società umana. Ma non sappiamo e non possiamo sapere quanto sarà rapido questo sviluppo successivamente, quando questo sviluppo giungerà alla rottura con la divisione del lavoro, all’eliminazione del contrasto fra lavoro intellettuale e fisico, alla trasformazione del lavoro in «primo bisogno della vita».

La prima condizione base dell’estinzione dello Stato è dunque l’eliminazione della distinzione tra lavoro fisico e lavoro intellettuale. La seconda condizione è lo sviluppo gigantesco delle forze produttive. La terza condizione materiale, compresa sia nella prima affermazione che nella seconda, è la previsione di un mutamento qualitativo dello sviluppo implicito nella trasformazione delle forze produttive, e cioè un mutamento della coscienza e dei corpi dei lavoratori. È solo su questa base che il problema dell’estinzione dello Stato diviene per Lenin un progetto realizzabile.
Anche qui dobbiamo rompere con la falsità che il leninismo sia l’esaltazione dello Stato sullo sviluppo sociale e per l’organizzazione della distribuzione della ricchezza. Il punto di vista di Lenin è quello del contropotere, della capacità di costruire dal basso, con forza e con intelligenza riuniti in un unico fascio, l’ordine della vita. È il punto di vista che da Machiavelli a Spinoza a Marx la sovversione proletaria dello Stato ha sempre proposto.

Lenin: dalla teoria alla pratica.
Che cosa significa oggi «tutto il potere ai soviet»? Significa far movimento, unire le forze laddove si è, fare coalizione, elaborare obiettivi materiali per organizzare tutti quelli che lavorano e sono sfruttati, per formare forza, per esprimere una strategia egemonica.
Cosa significa oggi «Soviet + elettricità»? Significa fare inchiesta, scendere fra le masse che lavorano, nel precariato, nel mondo del lavoro materiale e immateriale, unire e costruire modelli di cooperazione e di impresa, altri da quelli capitalisti. Significa appropriarsi di quel comune che già il capitale sfrutta, estraendolo dalle nostre vite associate nel lavoro sociale produttivo.
Cosa significa oggi «estinguere lo Stato»? Fare tutto questo fuori dalle strutture della democrazia capitalista, costruendo organizzazione sociale e movimenti autonomi e un’indipendente forza politica di liberazione.

Testo pronunciato nel corso del seminario «Lenin: dalla teoria alla pratica» del convegno «Penser l’émancipation», tenutosi all’université Paris 8 – Saint-Denis il 15 settembre 2017

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