Di DANIELE GAMBETTA

L’accelerazione del capitalismo digitale e la proliferazione dei suoi linguaggi nella sfera sociale ci hanno portato sempre più a vedere all’immaginario cibernetico come confinato alla logica del controllo e del dominio antropocentrico, quindi vettore della crisi ecologia. Così facendo rischiamo di perdere un’opportunità: quella di cercare nuove mappature del reale che utilizzando un linguaggio sistemico, senza approccio riduzionista o determinista, provino a descrivere nuove forme di organizzazione e relazione tra agenti, umani e non, all’interno della crisi di Gaia. Per fornire prospettive in questa direzione, tra le tante, esistono due possibilità: una è immaginare mondi futuribili o ucronie in cui la forme della tecnica e dei saperi hanno preso anche altre strade, l’altra è suggerire nuove teorie dell’organizzazione basandosi su esperienze reali vissute all’interno di contesti sociali. Entrambe queste strade, negli ultimi mesi, sono state percorse da due testi, rispettivamente la fabula speculativa Cronache del Boomernauta di Giorgio Griziotti (Mimesis, 2023) e il saggio artistico Moleculocracy di Emanuele Braga (Nero, 2023).

I due testi, non a caso, sono entità di difficile catalogazione, oggetti narrativi non identificati, seguendo una denominazione proposta in passato, ed entrambi fanno emergere la possibilità e la necessità di ibridare ecologia con epistemologie delle relazioni, sapere scientifico con forme di militanza. La narrazione del primo inizia con l’apparizione all’autore di un viaggiatore nel tempo, che in modo simile all’eternauta di Oesterheld e López viene per raccontare di altri mondi, futuri e futuribili. Il boomernauta dice di essere stato un tempo partecipe a periodi di movimenti e rivoluzioni negli anni ’60 e ’70 del XX secolo, per poi finire a raccontare le sue prodezze sui social, dove si imbattè in una millennial witch, una giovane strega che gettando il suo sortilegio con un potente OK BOOMER costringe il malcapitato a viaggiare in una nuova dimensione senza tempo, nella quale si trova a fare i conti con un confronto spietato tra quelle che erano le sue visioni e convinzioni politiche con un ambiente in continua accelerazione, pieno di strani neologismi e acronimi, come la Gov Q o Governance Quantistica, che subentra negli anni ’70 del XXI secolo alla Gov Neolib, mentre l’epidemia nekomemetica che ha reso Gaia invivibile. Per rispondere alla crisi l’elite sta progettanto la Grande Fuga, l’esilio della classe privilegiata della Terra su una colonia spaziale, presentata come inizio della colonizzazione umana dello spazio. Ma la crisi di Gaia sarà per la Sfera Autonoma un’occasione per sviluppare Tecnologie di Affetti Multispecie (TAM) e dare origine ad un movimento di semio-hacking che utilizzando le astrazioni delle reti può inventare forme di coesistenza diverse da quelle imposte dal capitale. E’ seguendo una tensione simile ai semio-hackers che in Moleculocracy, a proposito di pratiche sociali e organizzazione di movimenti, si parte dal concetto di algoritmo, non inteso strettamente nel senso digitale, ma come procedura e processo ben definito, quindi come possibile strumento di indagine e mappatura dei protocolli che un aggregato di soggetti può mettere in campo. Oltre agli “algoritmi dissidenti” prodotti all’interno dello spazio di MACAO, Braga porta l’attenzione sugli esempi provenienti dai nuovi movimenti ecologisti come Extinction Rebellion e Ultima Generazione (lo stesso potrebbe essere detto da nuove forme di pseudo-sindacati come Tech Workers Coalition), caratterizzati da una codifica molto ben definita e precisa dei processi decisionali, sperimentando nuovi modi di fare politica con un approccio simile a quello scientifico fatto di test e valutazione, e quindi rompendo con una tradizione che assumeva le pratiche del consenso come già date e consegnate dalla Storia. Un processo forse riconducibile ad una scienza dell’organizzazione, una nuova tektologia al tempo delle piattaforme. E’ il meccanismo del feedback che consente al processo di rigenerarsi: “Dopo qualche anno abbiamo capito che non c’è un design perfetto, neanche se politicamente orientato.  Ciò che mantiene viva la comunità è invece una sorta di Spiral Loop, un continuo desiderio di definire la propria forma organizzativa, il proprio meccanismo […] per mutaro, riscriverlo, farlo deragliare.” Emblematico, sempre in questa direzione, la critica alla scabilità infinita dei processi che Braga fa partendo dall’analogia della riproduzione cellulare: siamo in grado di capire quand’è che una pratica sociale o artistica può essere potenziata da una crescita in scala, o quando invece questa crescita comporta una degradazione delle sue capacità trasformative? Quando, insomma, è meglio pensare ad una riproduzione della cellula iniziale, una proliferazione di piccoli processi coesistenti? Ancora, per elaborare concetti utili a definire la crisi sistemica, entrambi i testi volgono particolare attenzione all’entropia e del suo opposto neghentropico, concetti della termodinamica che già nel 1880, prima di Georgescu-Roegen, il giovane socialista ucraino Sergej Podolinskij suggeriva con scambi di lettere a Marx ed Engels di inserire nella teoria del capitale per includere una visione ecologica, introducendo una teoria lavoro-energia accanto a quella del lavoro-valore.

Come riportato  da Juan Martinez Alier in Ecological Economics, commentando le teorie dell’ucraino, Engels scrisse a Marx che “Dopo la sua scoperta assai preziosa [sic!] Podolinski ha smarrito la via giusta, perché voleva trovare nel campo delle scienze naturali una nuova prova della giustezza del socialismo e ha mischiato quindi cose della fisica con cose d’economia.”

Secondo Martinez però questo passaggio rappresentò “una cruciale occasione perduta nel dialogo tra marxismo ed ecologia”, e forse, mi verrebbe da dire, anche un’occasione persa di dibattito sulle possibilità e i limiti delle analogie fisico-biologiche nel campo sociale e politico.

In questo senso, credo che entrambi i testi appena usciti si muovono in una direzione interessante. Il linguaggio dalla fisica e dalle scienze dure nella descrizione di fenomeni sociali non deve trarre in inganno: non siamo dalle parti della sociofisica accademica che tenta di trovare un modellino matematico che spieghi tutto, ma invece siamo davanti a tentativi di produzione di glossario, di immaginario, di nuove parole che suscitino concatenamenti di pensieri utili a elaborare il nostro stare nelle cose e nella crisi. A riecheggiare non a caso è la parentela harawayana, il fare kin dentro il problema, quindi la sua stessa ricerca di dizionario. “Nonostante il passato umano fosse ancora rilevante, l’aspetto cruciale era la formazione di alleanze multispecie che aprissero la strada alla biocenizzazione. Le drammatiche origini della situazione di collasso erano meno importanti della direzione verso cui si stava dirigendo un futuro in cui la biomacchina neghentropica si sarebbe occupata delle popolazioni umane rimaste”.

A venire alla mente è anche quel tentativo bogdanoviano di costruire una scienza dell’organizzazione adatta ad essere applicata ai fenomeni reali, addirittura ai processi di innesco e/o collasso dei movimenti, costruendo un lessico formale per descrivere i processi senza per forza essere riduzionisti, non a caso proprio Bogdanov usava un neologismo che ora diremmo più vicino alla scienza delle reti che alla fisica. Potremmo, ad esempio, descrivere la potenzialità di engagement di un processo collettivo, in termini di feedback che un* attivista potrebbe trovare, da quel determinato processo? Se le grandi mobilitazioni di inizio millennio, fino ai primi anni ’10, vedevano ancora una possibilità di azione sul reale tramite l’operato di un governo, la crisi della democrazia ha anche portato all’allontanarsi di quella possibilità di azione (vedi referendum greco), portando a mancare la possibilità di feedback derivante da un’azione politica. In un certo senso, questo feedback nuovi movimenti (ecologisti, transfemministi e non solo…) l’hanno ricreato su una scala diversa, tramite costruzione di processi territoriali dal basso o grazie a momenti di condivisione, cura, e supporto psichico nelle piazze e nei momenti di aggregazione stessa. Provare a sviluppare concetti adeguati a spiegare i processi di decisione e organizzazione è una sfida che entrambi i testi qui citati sembrano lanciare.

Altri elementi comuni dei testi sono la centralità delle relazioni con il non umano e quindi l’urgenza di una nuova teoria dell’agentività, il riconoscimento dei processi di sussunzione e i loro meccanismi, l’ideologia di rete e l’individuazione del soggetto tramite gli interscambi di relazione.Se, come ricorda Spagnul nella prefazione del Boomernauta, la fantascienza è lo sforzo di un’intelligenza collettiva per cogliere ciò per cui non è ancora pronta, allo stesso modo si può dire che la forma di saggio pseudo-autobiografico di Moleculocracy sembra una raccolta di appunti che lasciano aperta una possibilità di elaborazione in divenire. Forse allora entrambi i testi, con uno sforzo perpendicolare, esprimono la necessità di trovare forme espressive per questa fase storica,  una nuova scienza-letteratura della speculazione, che potrebbe nascere dall’esperienza di una fabbrica autogestita così come da un movimento di giovani ecologisti o ancora dalle interazioni impensate tra queste e l’alieno, tra la nostra storia militante e un’alterità ancora oggi sconosciuta o impensata all’interno di Gaia.

Questo articolo è uscito in versione ridotta per il Manifesto l’8 febbraio 2024.

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