Di VERONICA GAGO.

Come accumula forze il movimento femminista? Ad una settimana dal lancio della prima assemblea moltitudinaria a Buenos Aires, nelle generose strutture del Mutual Sentimiento, lo sciopero internazionale si organizza ancora una volta in ogni luogo e da lì emerge il tessuto regionale, globale e plurinazionale.

Questa dimensione internazionalista qualifica ogni situazione concreta: la rende più ricca e complessa senza che debba abbandonare le proprie radici; la rende più cosmopolita, senza pagare il prezzo dell’astrazione. Amplia la nostra immaginazione politica e allo stesso tempo crea un’ubiquità pratica: questa sensazione che si grida quando diciamo “siamo ovunque!”. L’organizzazione dello sciopero dispiega così una politica del luogo: il movimento si amplifica attraverso la connessione di conflitti ed esperienze, facendo dello sciopero una scusa di incontro in ogni luogo. In altre parole: si tratta di un internazionalismo dai territori in lotta.

Per questo motivo, i territori domestici (storicamente racchiusi da quattro muri) sono oggi spazi di internazionalismo pratico, dove si discutono le catene globali di cura, le modalità di invisibilizzazione del lavoro riproduttivo e la mancanza di infrastrutture pubbliche. Per questo motivo, i territori indigeni (storicamente espropriati) sono oggi spazi di alleanze senza frontiere, di accorporamenti comunitari, dove si denunciano i megaprogetti estrattivi e i nuovi proprietari di terreni dell’agroalimentare. Per questo motivo, i territori della precarizzazione (storicamente considerati “non organizzati”) sono oggi forme di sperimentazione di nuove dinamiche sindacali, di accampamenti e occupazioni nei laboratori, nelle fabbriche e nelle piattaforme virtuali, di rivendicazioni creative e di denunce che esplicitano come l’abuso sessuale, la discriminazione contro i migrant* e lo sfruttamento vadano sempre insieme di pari passo.

Questo modo di allargare le richieste, di far crescere i linguaggi e di mettere in rete le geografie richiede che ogni spazio sia sempre più ampio nel modo in cui si enunciano i problemi, le contestazioni, i conflitti ed anche le strategie, le alleanze e i modi di procedere, di nuovo, accumulando forza comune.

Saperci intrecciate, condividere piste e ipotesi, tessere resistenze e invenzioni qui e là rende questa “geografia acquatica” dello sciopero (come la chiamava Rosa Luxemburg) una composizione di ritmi, di affluenti, di velocità e di flussi.

Le compagne in tutta Spagna hanno preparato una tabella di marcia nella quale hanno iniziato lo scorso venerdì narrando i “mille” motivi per scioperare, per continuare con assemblee ed eventi fino ad una “operazione ragno” nella metropolitana di Madrid, ispirate da quello che abbiamo fatto qui in mezzo alla marea verde.

Nel frattempo, continuano le manifestazioni NiUnaMenos in Messico. Migliaia di donne, lesbiche, trans e travestiti denunciano il femminicidio come un crimine di Stato e la situazione di minaccia permanente rispetto ai tentativi di rapimento che hanno avuto luogo nella metropolitana e che si volevano correggere solamente con un aumento della polizia. Ed è sempre in Messico che vediamo una lunga serie di proteste e scioperi dei lavoratori delle maquilas1 di Tamaulipas. E dal sud-est, le donne zapatiste hanno appena inviato una lettera che spiega perché questo 8M non ci saranno incontri nel loro territorio, denunciando la minaccia militare che sta dietro l’avanzata dei mega-progetti turistici e neo-estrattivi del nuovo governo. In questa triplice scena vediamo condensarsi quello scenario messo in moto dall’orizzonte organizzativo dello sciopero internazionale: connettere le lotte e da questa connessione affermare come le lotte contro la precarizzazione e gli abusi sul lavoro siano inscindibili dai femminicidi e dalle molestie e anche dalle forme di sfruttamento del territorio da parte delle multinazionali.

Nel frattempo, in Italia, le compagne di NonUnaDiMeno hanno lanciato il “conto alla rovescia” allo sciopero internazionale femminista con una serie di manifesti che “narrano” le scene che meritano uno sciopero. Contro il mancato pagamento del cibo da parte degli ex mariti, per gli abusi da parte dei datori di lavoro, ma anche contro l’uso dei sussidi come gestione della povertà invece di essere una possibilità di autodeterminazione.

Questo è un punto chiave oggetto di discussione in varie organizzazioni: la gestione delle risorse pubbliche sotto forma di sussidi o di stipendi sociali come strumento che il movimento femminista contesta a partire da una logica propria. Nel senso: evidenziando come sono le donne, lesbiche, trans e travestiti coloro che si stanno facendo carico concretamente nei territori di uno stato di emergenza di fronte alle violenze machiste e ai tagli. Lo stanno facendo le operatrici di genere nei territori e anche le reti di cura e autogestione, chi si prende cura delle cliniche mediche e delle mense, chi fa corsi di autodifesa e accompagna in maniera “non professionale” ma costante chi subisce violenza. Come abbiamo scritto nell’appello a questo 8M dal collettivo NiUnaMenos: non c’è opposizione tra l’urgenza della fame imposta dalla crisi e la politica femminista. Al contrario, è il movimento in tutta la sua diversità che ha politicizzato questa crisi, è il movimento che mette il proprio corpo giorno per giorno ed è il movimento che è in condizione di lottare per il suo riconoscimento economico senza mediazioni patriarcali per garantire la propria autonomia e il proprio potenziamento.

Nel frattempo, il coordinamento 8M in Cile non smette di crescere, dopo le incredibili mobilitazioni di maggio per l’educazione non sessista e l’enorme incontro plurinazionale delle donne in lotta a dicembre. Gridano: “Lo sciopero femminista va!”, per indicare come si costruisce dal basso e continua così. Nel frattempo in Brasile, le compagne del nordest dicono che il fascismo non passerà e i femminismi neri si preparano a marciare facendo giustizia a Marielle Franco e a tutte coloro che sostengono le economie popolari e di favela contro la criminalizzazione delle loro attività. Nel frattempo, in Bolivia si sta preparando il #Bloqueo8M, denunciando i femminicidi con i quali è iniziato l’anno ma anche accompagnando la resistenza delle donne della Riserva di Tariquía, a Tarija, che stanno bloccando le opere di PETROBRAS. Nel frattempo, le assemblee in Uruguay sono già iniziate, con una coordinazione di femminismi sempre più alimentata nelle reti. Nel frattempo, in Ecuador, si discute dello sciopero e della rivolta come strumenti delle molteplici storie di lotta. Nel frattempo, in Colombia e Perù si fanno riunioni anche queste settimanali con l’orizzonte dell’8M, quel data-talismano che ci riunisce perché prima di tutto cominciamo a vederci e a riconoscerci a vicenda.

(traduzione di Clara Mogno)

Questo articolo è stato pubblicato in castigliano su Página12 il 15 febbraio 2019.

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  1. Ndt: Le maquillas (o maquiladoras) sono stabilimenti industriali posseduti o controllati da soggetti stranieri.