di SIMON LE BON.
L’altro ieri alle 24:00 circa, un omino flaccido, con il viso lucido, chiaramente sprovvisto di qualsivoglia corporalità, vestito come un autista di escort (o sono questi ultimi che hanno mutuato il look dai presidenti dei consigli?, senz’altro Renzie ha aperto, con il suo giubbotto, la via e il dolce Fassina ha trovato nell’estinzione la giusta replica) è apparso sulle televisioni europee “in diretta” per confessarsi (a sua insaputa, come di moda tra i politici più avveduti) responsabile delle stragi di Parigi (che, come Sanremo, è sempre Parigi).
Prima di iniziare il processo al tapino, ultimo di una schiera di masnadieri che hanno infestato il corpo del movimento operaio, vogliamo ricordarlo nel massimo dello splendore che è concesso a un leader socialdemocratico, uscire di soppiatto dall’ampia magione istituzionale con i baffetti, posticci alla D’Alema (Baglioni nel cuore, Valls nella mente) inforcare un improbabile scooter made in Japan per correre verso l’ennesima fidanzatina (quelle precedenti erano in effetti tragici ravioli), senz’altro attratta dal suo ventre piatto e muscoloso.
Vederlo ieri, con la cravattina sdrucita alla Bissolati, faceva una certa impressione; soprattutto faceva impressione il suo lento trasformarsi un una macchina per la rilevazione delle cellule tumorali nel pancreas. Non so se siete pratici: a mano a mano che guardate, il pancreas diventa una foto tipo copertina dell’album dei Kaleidoscope; di colpo il male diventa un’opera d’arte. Non te ne rendi conto, e la tua rappresentazione di essere morente si trasfigura in un’orgia di colori fluo che le calze di Liò erano la toga di un PM di Frosinone.
Ecco, quell’omino pallido, viscido emulo del tronfio Bill “sugar” Clinton liberatore del Kosovo (che l’unica cosa bella è stata Rita Ora) spalmava il video di cerume sonoro… la rrepublik, la liberrté, le doleurr… tutte cazzate, compagno.
Le mani erano ancora rattrappite dall’uso del Kalashnikov, l’aria trasudava polvere pirica. Ecco l’assassino. Al suo fianco di vedevano transitare ologrammi dei suoi pari… da sinistra a destra si riconoscevano, Noske, Saragat, JFK, Turati, Blum, Schmidt… Uniti nella lotta al terrore, per un unico fronte popolare e nazionale (che pippobbaudo era il presidente del soviet supremo), insomma una pena.
Però, cari compagni, non è che un socialistaahahah tutti i giorni si incolpa di una strage: come mai? Cosa l’ha spinto, una volta nella vita, ad essere sincero? Ancora una volta il servilismo, la paura di perdere il lavoro, incapace di intendere l’Isis per quello che è: un potente vettore di welfare, come la mafia, MPS, il PD e, prossimamente su questi laceri schermi Lega, FN, Victor amorpatrio Orban….
Probabilmente qualche fas-hon-ista belga, in cerca di forti emozioni, ibridato nel culto di Lucio Battisti e Maometto, ha cercato di correre a mitra spianato nella notte per vedere se è poi così facile morire, ma perché?
Perché non andarsi a picchiare allo stadio con una torma di coglionazzi suo pari? Non ubriacarsi in Ucraina per difendere la democrazia? Non mandare a battere la fidanzata e con il ricavato comprarsi una lambo? Non fare il ricercatore precario e odiare senza merito chi meriti non ha (pur al par suo)?
Il capitale, nella sua versione industriale, possente, ruggente e struggente che si arricchiva sulle schiene dolenti, sui polmoni bucati, sulla gola riarsa del proletariato, donava di converso frigoriferi, televisori, case di proprietà, soggettività comunista. Ovvio che, in questo tripudio di interrelazioni violenti, sussulti rivoluzionari, tutti compressi tra dominio e sabotaggio, qualcuno ci abbia marciato e avrebbe continuato a farlo, se il califfato (nome forse mutuato dal califfone, simpatico motorino dei coatti di ogni tempo ed età) non avesse costretto il partito del progresso rateale alla resa.
Hollande, ieri sera, era più simile ad Alan Sorrenti quando, gongolando per la saccoccia piena, fingeva di scusarsi, davanti al movimento, per figli delle stelle, che a un capo di stato fordista.
La socialdemocrazia – persa la fabbrica – è rimasta quel nano che ti arresta, pronta a predicare pulizia, ordine, legalità, tendendo la manina sudata alla destra più becera per salvare la pensione (quella pensione che vuole togliere ai vecchi fiancheggiatori).
La socialdemocrazia è asettica, un cesso lindo come le camicie di Macron, un dolore infinito malcelato in tuit spiritosi….
Ora, vediamo un po’.
Prima la fabbrica prometteva dialetticamente sofferenza e benessere, sfruttamento e (contro)potere. I gigioni del riformismo elargivano mazzate a profusione ma era loro concesso il dono ai poveracci di qualche oncia di benessere.
Cinghie di trasmissione tra il male assoluto e la voglia matta, hanno illuso tutto il mondo che, come Tognazzi, magari Catherine Spaak una volta o l’altra ce la saremmo fatta.
In fondo, cosa era l’operaio massa se non il James Bond del potere operaio?
Dalle Alpi alle Piramidi, dagli appennini alle Ande piccoli Lenin crescevano e la socialdemocrazia, contrattandone con il capitale il tradimento costante e mortifero, prosperava.
Morta la fabbrica, morto l’operaio, asservita la vita al nuovo padrone full time, la socialdemocrazia ha pensato di poter proseguire nel tradimento.
Rappresentando deserti lavorativi, miseria assoluta, devastazione di città e campagne per erigere exposizioni la cui “universalità” non andava più in là di Gallarate ha cercato di fingersi utile al capitale finanziario che, al contrario, come chi usa Denim, non deve chiedere mai.
Inutile al padrone, inutile al servo.
Il servo, dismesse le sciarpe colorate, i pantaloni a zampa, e poi le cravatte rosse su camicia bianca,la ventiquattrore con dentro la girella, sconfitta la disco, anima transumante nella città vomitata, si è perso nei vicoli della legalità.
Raga: legalità è merda: che provenga da un giudice con la bianca chioma e l’accento forbito o da uno pseudo religioso in ciabatte a metà tra Osama Bin Laden e lo stilita di Buñuel non fa differenza.
Certo, il giudice ben oliato (e oleoso) non ti sgozzerà mai, preferendo lasciare il triste compito a qualche sindacato plaudente, ma vedete altra differenza?
Quindi, continuate ad ammazzare in Cisgiordania, vendere i Curdi al caro Erdogan, distruggere il Niger, e poi lamentatevi se qualcuno s’incazza.
Ma v’è di più.
Queste cose, in fondo il capitale le aveva sempre fatte, cosa c’è di nuovo nel sorriso malevolo dei nostri socialdemocratici.
Introducendo il lavoro coattivo gratuito avete tolto ogni speranza di vita decente; ogni bimbo d’Italia non si chiama più Balilla, né Palmiro; attende solo la morte per schianto in un sabato sera di maggio nel cielo di Torbole.
Ovvio che tra un Brosio e un Franco la religione (droga pesante in sé, veicolo di morte se raccontata da un filosofo tedesco) possa fare la differenza.
Ammazzare francesini che ascoltano gruppi metal in un tranquillo venerdì o plaudire la buona scuola ogniddì: ecco l’alternativa fallace che la socialdemocrazia oggi ci offre.
Ovviamente c’è una terza via, vecchia come Spartaco, dolce come un inno mod, potente come le soggettività che con le modalità di cui sopra si sradicano per perdersi nelle foto di Jennifer Lawrence o di Jihadi John.