In Francia, e non solo, si moltiplicano gli scioperi dei lavoratori/delle lavoratrici di Deliveroo. Pubblichiamo qui la traduzione di un articolo di Amadine Cailhol e Gurvan Kristanadjaja, in calce alcuni video e informazioni sulle prossime mobilitazioni.
Di AMADINE CAILHOL e GURVAN KRISTANADJAJA
La decisione della piattaforma di consegna Deliveroo di rimuovere la tariffa minima per ogni corsa ha scatenato un’ondata di rabbia che tuonava già. Come altri lavoratori della nuova economia e i dipendenti di McDonald’s prima di loro, i fattorini reinventano le mobilitazioni collettive.
Nel pieno dell’estate, i fattorini di Deliveroo hanno iniziato uno sciopero bianco: a Tolosa, Nizza, Besançon, Tours e Parigi, nei giorni scorsi sono stati organizzati raduni per protestare contro la nuova tariffazione introdotta dalla multinazionale britannica il 29 luglio. Le retribuzioni per le corse più brevi si abbassano mentre quelle per le consegne più distanti – meno redditizie finora – aumentano. L’impresa ha inoltre abolito la tariffa minima, fino a prima di circa 4 euro. Il risultato: alcuni fattorini dicono di guadagnare 2,70 € per una consegna che, dicono, era retribuita precedentemente 4,50 €. Una nuova manifestazione è prevista questo mercoledì a Parigi su iniziativa del Collectif des livreurs autonomes parisiens (Clap), un sindacato creato nel 2017. Obiettivo: paralizzare le consegne, bloccando l’accesso ai ristoranti che preparano gli ordini.
Se c’è già stato un movimento di scioperi l’anno scorso in Deliveroo, la mobilitazione attuale in Francia è una delle più importanti degli ultimi anni in quanto si iscrive nella scia di scioperi simili in Spagna, Londra e Italia portati avanti negli ultimi mesi, partiti dalle strade e proseguiti in tribunale.
Rompere il collettivo
Alcuni fattorini di questi paesi europei hanno ottenuto dai tribunali la riclassificazione dei loro contratti da lavoratori autonomi a lavoratori dipendenti. Si tratta di una speranza importante per un settore in movimento, poco omogeneo e composto da giovani precari. L’insieme di queste azioni organizzate all’estero hanno avuto l’effetto di scatenare una reazione da parte dei collettivi di fattorini francesi: e se la soluzione per combattere una multinazionale fosse quella di organizzare una cooperazione transnazionale?
Le organizzazioni sindacali internazionali sono nate nel XX secolo, come la Confederazione sindacale internazionale (CSI) o la Federazione mondiale dei sindacati (FSM), ma sono attive soprattutto nel campo della diplomazia e del dialogo sociale su larga scala. La natura ancora molto nazionale del diritto del lavoro è un ostacolo. Così come, a lungo termine, la diversità dello status dei lavoratori delle multinazionali, sottolineata dal sociologo belga Bruno Frère. Questa frammentazione derivante dalle politiche delle risorse umane delle grandi aziende ha come effetto la rottura del senso del collettivo. E, a sua volta, di stroncare sul nascere ogni desiderio di protestare. Senza contare che queste azioni internazionali richiedono la mobilitazione di varie risorse che non sempre sono a disposizione degli attori in causa: parlare altre lingue, avere una rete di relazioni, saper analizzare l’economia a livello internazionale…
Nonostante questi ostacoli, sembrano emergere nuove forme di cooperazione. Prima di riguardare la new economy si sono già date mobilitazioni di lavoratori alle prese con imprese globali. Ricordiamo i dipendenti di Marks & Spencer che, durante uno sciopero europeo del 2001, sono andati a Londra per protestare contro la chiusura dei negozi annunciata dal gruppo di distribuzione britannico in tutto il continente. O le centinaia di voli della compagnia aerea low-cost Ryanair cancellati grazie ad uno sciopero europeo nel luglio 2018.
“Sindacalismo Liquido”
Quest’anno, durante il Prime Day, diverse migliaia di dipendenti di Amazon hanno denunciato insieme le condizioni di lavoro del gigante americano della vendita al dettaglio online. Il loro messaggio è stato trasmesso simultaneamente da Francia, Stati Uniti, Regno Unito e Spagna. Nella storia delle lotte sociali globali, c’è stata soprattutto la lotta emblematica contro McDonald’s per dei salari dignitosi, con lo slogan “Fight for Fifteen”, partito dagli Stati Uniti e che ha oltrepassato le frontiere. Spesso di forma molto diversa – a volte è un sindacato ad organizzare, a volte sono i lavoratori che si organizzano al di fuori di qualsiasi quadro sociale conosciuto – queste mobilitazioni hanno un ideale comune di lotta transnazionale.
L’organizzazione dei conflitti sociali è un’istantanea della società in un dato momento, spiega Vincent Pasquier, specialista di relazioni professionali e insegnante di HEC Montréal, che ha lavorato sulla trasformazione dei sindacati. “La campagna “Fight for Fifteen” contro McDonald è un esempio di come stanno cercando di passare da un mondo fordista, solido a un sindacalismo liquido. Le piattaforme sono un grado di liquefazione ancora più avanzato. Il lavoro è ancora più frammentato e quindi il processo di mobilitazione più difficile”, sottolinea.
Queste lotte, una versione proletaria della battaglia di Davide contro Golia, sono quindi ancora rare. “Le imprese multinazionali sono diventate attori politici a pieno titolo, capaci di competere con le autorità pubbliche, aggirando la legge, minando le norme sociali e mettendo in concorrenza lavoratori di diversi paesi”, evidenzia la rivista Mouvements, des idées et des luttes, che alla fine del 2018 ha dedicato un dossier sul “sindacalismo transnazionale”.
A macchia d’olio
Superati dalla rabbia sociale in Francia durante il movimento dei Gilets jaunes, i sindacati sembrano esserlo anche a livello internazionale o di fronte alle nuove forme di lavoro. Da qui la nascita di organizzazioni che hanno integrato le nozioni di “flessibilità” e “agilità” insite nelle nuove aziende. Come Clap in Francia, che riunisce i fattorini parigini ma tiene d’occhio le altre mobilitazioni in Francia e in Europa.
In ottobre, il collettivo faceva parte degli attori di dodici paesi europei riuniti a Bruxelles per fondare la Transnational Federation of Couriers. La nuova entità ha la particolarità di riunire federazioni di trasporto tradizionali e collettivi più recenti e meno strutturati, creando uno spazio di collaborazione sociale tra il vecchio e il nuovo mondo.
Il movimento si è espanso a macchia d’olio quando, oltre a Spagna, Germania, Finlandia, Italia e Inghilterra, sono entrati a far parte della federazione anche paesi extraeuropei come Canada, Cile e Hong Kong. Le loro ambizioni oggi vanno al di là della lotta definita in origine e che potrebbe emergere dalle strade. “L’idea è quella di essere più strutturati per poter fare pressioni all’ONU su questi temi sociali, ad esempio, e per fare del lobbying a livello europeo”, spiega il presidente di Clap Jean-Daniel Zamor. Esattamente come le multinazionali.
(Traduzione di Clara Mogno)
Questo articolo è stato pubblicato su Libération il 6 agosto 2019.
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