di CLARA MOGNO.

Che cosa unisce i riders della gig economy e i lavoratori dei magazzini Amazon, i flussi migratori e il lavoro di cura domestico? È a questa domanda che gli organizzatori del convegno ⇒ Il prisma del lavoro/ 1, tenutosi all’Università di Padova venerdì e sabato scorsi, hanno provato a dare una prima risposta.

Il collettivo di studiosi e attivisti dell’Archivio dedicato a Luciano Ferrari Bravo e i sindacalisti di ADL cobas, insieme a oltre duecento partecipanti all’incontro, hanno posto l’accento sulla produttività dell’intendere la logistica non soltanto come una specifica tecnologia per la distribuzione di merci o come formula informatizzata delle supply chains per la produzione globale, ma come l’immediato dispositivo di valorizzazione sul quale si è venuto ristrutturando il capitalismo globale. Un dispositivo che trasforma le dimensioni spaziali della produzione, che incide e modifica la classica distinzione tra pubblico e privato, che insegue il lavoro vivo cercando di disciplinarlo all’algoritmo. La logistica come una lente, dunque, come uno sguardo attraverso il quale leggere le trasformazioni del lavoro in un capitalismo, quello di piattaforma, che si fa ogni giorno di più digitale, senza dimenticare, sul lato della composizione tecnica e politica della forza lavoro, il ruolo cruciale, tanto nell’analisi, quanto nelle pratiche soggettive, giocato da elementi quali il genere, la razza e la classe, come ci insegnano il femminismo e i movimenti decoloniali.

Ci troviamo infatti davanti all’estrazione di valore dai flussi, siano questi di merci, di dati o progetti migratori: alla semplice coppia binaria “inclusione/esclusione” si sostituisce un filtraggio delle migrazioni, una loro amministrazione e governance in direzione di un utilizzo del lavoro migrante “up to the point” e “just in time”, come hanno riportato Maurizio Ricciardi e Sandro Chignola nella prima sessione del convegno, Ripensare la logistica, dalla scala globale all’Europa. Le trasformazioni in atto tra produzione, riproduzione e diritto del lavoro. Non la chiusura delle frontiere all’ordine del giorno, neppure nei programmi xenofobi dei sovranisti, ma un sempre più feroce meccanismo di inclusione differenziale, fino a immaginare una sorta di “integrazione negativa” di chi migra.

Sempre venerdì pomeriggio, Sergio Bologna ha ricostruito la storia della logistica in Italia e Germania, analizzandone le trasformazioni lungo gli ultimi decenni per poi focalizzare la situazione dello shipping portuale, tra processi di concentrazione, gigantismo e bolle finanziarie, mentre il giovane giuslavorista Michele Forlivesi ha delineato il panorama dal punto di vista dei processi di decostituzionalizzazione del lavoro, le cui forme non possono essere più ricondotte all’unico paradigma della subordinazione. Francesca Alice Vianello ha invece sottolineato come nella logistica spazi e tempi del lavoro e della riproduzione sessuata della forza-lavoro coincidano, mentre Devi Sacchetto si è concentrato sulle migrazioni interne all’Europa dei lavoratori della distribuzione e sui processi di costituzione di filiere produttive transnazionali fino a disegnare un vero e proprio “caporalato globale”.

Nella giornata di sabato sono state protagoniste le esperienze di organizzazione delle lotte nei magazzini Amazon in Polonia, Germania e Spagna grazie agli interventi di Magda Malinowska (Ozz Inicjatywa Pracownicza, Polonia), Victor Cerra Becerra (Cgt – Spagna) e Wilfried Schwetz (Ver.Di., Hannover) mentre Giorgio Grappi e Beppe Caccia si sono concentrati nell’analisi delle tendenze del paradigma logistico e delle trasformazioni che quest’ultimo implica: “le differenze, da cui il capitale estrae valore, vanno rovesciate in altrettanti fattori conflittuali.” Sylvain Alias e Jérôme Pimot dalla Francia hanno condiviso con i partecipanti rispettivamente le azioni sindacali di SUD Solidaires e le battaglie di CLAP, Collectif Livreurs Autonomes de Paris, sottolineando la necessità di stabilire alleanze e convergenze di lotta e rivendicazione con gli cheminots, i ferrovieri di SNCF e i movimenti studenteschi che stanno bloccando le facoltà di tutta Francia manifestando contro la Loi ORE e Parcoursup.

Dagli interventi del sabato mattina, come da quelli della sessione del pomeriggio intitolata Nuove composizioni di forza lavoro, forme del conflitto e dell’organizzazione, introdotta dagli interventi di Gianni Boetto di ADL Cobas, Roberto Ciccarelli de il manifesto, Luca dall’Agnol, Omid Firouzi della rete Sconfinamenti e Maurilio Pirone (Riders Union di Bologna), è emersa la necessità di una concertazione transnazionale delle lotte, in una costruzione solidale delle rivendicazioni che assuma una dimensione immediatamente metropolitana ed europea, fino alla sperimentazione di forme continentali di sciopero capaci di incidere oltre i confini nazionali.

Se il capitalismo di piattaforma si muove allo stesso tempo su una scala locale e globale è a questo livello che è necessario organizzare la risposta: blocco europeo dei magazzini di distribuzione Amazon, astensione generalizzata dalle consegne dei riders delle diverse compagnie di delivery, nuove forme di mutualismo e solidarietà, conquista di protocolli che riconoscano e tutelino nuovi diritti a partire dalla scala municipale, in un Europa lontana sia dal rancoroso ritratto che ne fanno i populisti delle nuove destre, sia dalle ingessate compatibilità dettate dalle politiche di austerity.

Non il “popolo”, figura fantasmatica evocata dalle retoriche sovraniste, è il soggetto che attraversa questi processi di riorganizzazione della produzione, ma una molteplicità di soggetti in una composizione di classe meticcia, femmina, precaria e transnazionale che si pone a un nuovo livello il problema del conflitto e dell’organizzazione. Quella «convergenza occasionale del lavoro vivo» – come è stata definita – che si tratta ora di indagare a fondo e organizzare politicamente.

versione integrale dell’articolo pubblicato sul manifesto del 2 giugno 2018

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