Di ROBERTA POMPILI

Il capitale è una grande forza di trasformazione scriveva Karl Marx: come dargli torto, quando possiamo osservare la conferma di questa affermazione finanche negli ultimi fatti della recentissima cronaca politica dei nostri giorni. “Sarà la crisi più trasparente della storia della Repubblica” ha dichiarato il Presidente del Consiglio Conte il giorno in cui si è preso il palcoscenico della Camera per dare l’affondo politico al leader della Lega.

Nell’era della democrazia post-mediatica, al netto di una estate politica dettata dall’agenda social di Salvini, tra una spiaggia e un mohito, il mite Conte ha saputo, dunque, rilanciare e superare la crisi stessa usando l’arma della trasparenza. Il discorso pronunciato alla Camera, in cui il Presidente del Consiglio ha disvelato tutti i retroscena di una difficile convivenza politica durata 14 mesi, ha realizzato il pieno di visualizzazioni in diretta e in differita: in un processo di “rimediazione” le immagini di quel giorno sono, infatti, rimbalzate nelle varie piattaforme e sono diventate virali, trasformandosi in memorabili e ironici meme, la gran parte dei quali aveva come oggetto lo scherno della figura del Ministro dell’interno. E proprio di “trasparenza”, di circolazione delle immagini, immaginario mediale ed ecosistema tecnologico si occupa il recente testo, Black Mirror. Distopia e antropologia digitale, a cura di Davide Bennato, Villaggio Maori Edizioni, 2018. Bennato, sociologo del Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania, nel suo lavoro ci invita a prendere sul serio le serie televisive in quanto forma culturale contemporanea, bacino di esperienze narrate condivise rispetto alle quali procedere ad un’analisi della società e delle dimensioni umane che la attraversano.

La serie Black Mirror, attraverso una sequenza di puntate autoconclusive basate su un colpo di scena finale, descrive una società post-mediatica enfatizzando le conseguenze che le tecnologie potrebbero avere sugli individui e la società, digitando contenuti e rendendolo virali, creando reti di collegamento e amministrando enormi quantità di dati.

Il lavoro è composto da tre saggi, uno dello stesso curatore e gli altri due di Andrea Cerase e Alessandro De Filippo, arricchiti da una appendice con una guida agli episodi della serie televisiva. Bennato si concentra sullo studio degli effetti della serie sull’audience, analizzando il pubblico attraverso una valutazione di dati e numeri che gli provengono dall’accesso dei Big Data presenti su internet (opinion mining). Il buon successo di pubblico e critica ha reso la serie un vero e proprio oggetto della cultura pop, e questo consente all’autore di fare delle letture sulla consistente comunità di fan e appassionati che lascia tracce nella rete –tweet, post, memi e che forniscono oggetti di analisi culturale di tipo computazionale. Per Andrea Cerase ogni episodio mette in scena le ossessioni e le contraddizioni di un mondo distopico che è al tempo stesso presente e reale e futuro e immaginifico, mettendo in campo una critica radicale alla società in cui domina la pervasività della tecnologia e la sovrapposizione della logica dei media con la logica del rischio.

Nella satira distopica di Black Mirror Cerase si concentra ad analizzare il discorso sul rischio, e la sua pretesa di neutralità che rende opaca la valenza normativa e coercitiva nei confronti di individui e gruppi sociali che vengono esclusi, perseguitati o soggetti a punizioni disumane. La decisione di produrre adottare una certa tecnologia per gestire un particolare rischio tende a produrre una catena di conseguenze illimitate e imprevedibili, livelli di violenza e invasività inedite che sono destinate a creare nuovi rischi. Alessando De Filippo con il suo saggio opera una disamina con la lente di Debord  la “società dello spettacolo”: noi viviamo con e attraverso ciò che guardiamo. De Filippo si sofferma ad analizzare alcuni elementi della serie, dalle immagini dello screen, alle formule della regia costruiti in modo da orientare la percezione stessa dello spettatore in un gioco speculare tra la rappresentazione della realtà e il suo doppio mediatico. Lo spettatore è chiamato a produrre egli stesso lo spettacolo.

Riapriamo adesso il palcoscenico con cui abbiamo introdotto queste brevi note, quello dell’attualità politica. Le trasformazioni degli assetti istituzionali si stanno ridefinendo all’interno di nuovi rapporti materiali ed ecosistemi tecnologici, nonché sotto la spinta stessa di mobilitazioni sociali che hanno reclamato una maggiore democrazia, mobilitazioni in passato sussunte e corrotte dai movimenti post-politici della “democrazia digitale” (o populismo digitale) che hanno prodotto nella compagine istituzionale il Partito 5 stelle.  La lettura di questo libro ci sembra un buon esercizio per cercare di leggere il presente, in un momento in cui diventa sempre più chiaro quanto i nuovi media ridefiniscano la realtà delle relazioni sociali e politiche, mentre si modificano i regimi di visibilità e la partizione tra il visibile e l’invisibile diventa un importante terreno di scontro di politico.

Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il 22 novembre 2019.

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