di GIROLAMO DE MICHELE.

Non ci sono buoni e cattivi in questa guerra, così come nelle diverse aree dell’Ucraina oggi non c’è una guerra giusta e una guerra ingiusta. Ci sono solo diverse sfumature di ingiustizia e di malvagità, accomunate da un unico colore: quello dei soldi e del potere.
Non c’è differenza fra le élite dell’industria e della finanza ucraine, piuttosto che russe, piuttosto che statunitensi: la differenza è fra loro e quanti muoiono di fame e freddo e mancanza di cure mediche nell’inverno delle strade delle città ucraine piuttosto che russe piuttosto che americane (sì, anche lì) mentre si stanziano rubli piuttosto che hrivia piuttosto che dollari per finanziare la guerra.
Non è una guerra fra “popoli nazisti” e “popoli liberi” (o liberatori): ci sono plutocrati russi e plutocrati ucraini, ansiosi di mettere o rimettere le mani sulle risorse minerarie del Donbass, e plutocrati statunitensi, ansiosi di dopare la propria economia con le commesse di guerra.
Non ci sono politiche di pace e politiche di guerra, perché non c’è una vera pace: c’è una guerra che anche noi europei, anche noi italiani portiamo in ogni parte del mondo attraverso la produzione e la vendita di armi di ogni tipo, e che adesso ci esplode in faccia.

Non ci sono guerre belle ed eroiche: la guerra non è un film di Quentin Tarantino nel quale si sconfigge il Terzo Reich con qualche mazza da baseball in più. Le guerre sono quelle dell’Afghanistan, dove dopo vent’anni di fallimentare gestione politica seguita alla vittoria militare in un mese l’esercito americano ha restituito uomini, donne e bambini alla ferocia talebana.
Le guerre sono quelle dell’Irak, dove dopo quasi vent’anni non esiste più un unico Irak, ma esiste una guerra civile di fatto, e dove è nato e continua ad esistere Daesh (=Isis).
Le guerre sono come quella in Siria, una mattanza senza fine di tutti contro tutti fra milizie e capi criminali, a partire dal presidente genocida Bashar al-Assad.
Le guerre non sono partite nelle quali si fa il tifo per la propria squadra contro l’altra, o per la propria fazione contro l’altra, anche se Putin che dichiara di volersi riprendere quello che è stato tolto alla Russia da cent’anni ricorda Pietro Savastano che ritorna e dichiara: ci ripigliamo tutto quello che è nostro (probabile che abbiano avuto lo stesso ghostwriter, oltre che lo stesso insegnante di storia).
Le guerre sono quegli eventi nei quali si muore sotto le bombe, o bruciati vivi, o torturati e stuprati, o si viene rinchiusi nei lager, o si è costretti a fuggire lasciando tutto e tutti indietro.
Quegli eventi che non finiscono mai, perché quando sono “cessate le armi” continuano a marciare i profughi in fuga, per anni. Perché quelle armi che cessano di risuonare invadono i mercati, e finiscono in mano a criminali e terroristi di ogni genere (ricordate la strage del Bataclan? Niente di più facile, all’indomani della guerra civile nel Donbass, che comprare sul libero mercato un kalashnikov).

Scrive oggi Mediterranea:

– dobbiamo dirlo, creare la cultura No War, dire che non esistono guerre giuste e che ogni guerra è contro i civili;
– dobbiamo lottare affinché i confini dei paesi che confinano con l’Ucraina bombardata, siano aperti ai profughi che scappano;
– dobbiamo batterci contro ogni violenza, tortura, strage, stupro commesse contro donne, uomini e bambini
– dobbiamo chiedere con forza che gli aiuti umanitari e le missioni di supporto ai civili possano avere accesso alle città e ai luoghi del conflitto
– dobbiamo lottare contro la speculazione dei venditori di armi di casa nostra, a partire da Leonardo Spa che è controllata per il 30 per cento dallo Stato italiano ed è il terzo esportatore di armi in Europa. Queste produzioni di morte alimentano la morte.
Per capire cosa sta accadendo in Ucraina, basta che guardiamo agli effetti su donne uomini e bambini dei paesi dove la guerra l’abbiamo portata noi, armando la mano dei peggiori criminali
Per capire cosa significa fermare migliaia di persone in fuga dalle bombe, basta che guardiamo a quelli che abbiamo fermato noi alle frontiere.
Per capire cosa significa vivere in un lager da prigionieri di guerra, basta che guardiamo a che cosa facciamo noi in Libia con i migranti.

Per questo dobbiamo dire no a questa guerra, ma anche a questa pace che pace non è.
Gino Strada diceva che far finire le guerre è facile: basta non fare la prossima, ed ecco che ne hai già eliminata una. Difficile è fare la pace: perché la pace, proprio perché non c’è, bisogna farla.
Pace è costruzione della pace: comincia adesso, ed è già tardi. E comincia da tutt@ noi.

questo intervento è stato pubblicato sul blog L’inverno del nostro scontento il 24 febbraio 2022

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