intervista di ROBERTO CICCARELLI a CHRISTIAN MARAZZI*.

Chi vorrà andare in pensione tre anni prima dovrà stipulare un prestito con una banca, garantito dallo stato e veicolato dall’Inps.

Christian Marazzi, economista e analista dei capitalismo finanziario, autore di libri come “E il denaro Va” e “Diario della crisi”, cosa pensa della proposta del governo Renzi?

Sembra di sognare. Devo dire che una cosa del genere fin’ora non l’ho mai vista proposta e tantomeno applicata altrove. Per il momento prendiamola solo come idea. Siamo nel pieno della bioeconomia nel senso della messa a valore finanziario della vita. Quella del governo italiano è una pura e semplice titolarizzazione dei diritti sociali. La sua logica assomiglia a quella delle strategie finanziarie che hanno portato alla catastrofe dei mutui subprime. Si vuole coinvolgere le banche e dare di nuovo una bella spinta alla privatizzazione di parti dello stato sociale.

L'economista Christian Marazzi

Quali rischi potrebbe comportare?

Quello di una cartolarizzazione sull’onda di quanto già sperimentato e che peraltro è una pratica ricorrente: questi titoli di credito cartolarizzato saranno sicuramente differenziati al loro interno, per quanto riguarda il rischio di rendimento e di ripagamento. La cartolarizzazione potrebbe rendersi necessaria per permettere alle banche di far fronte alla difficoltà di rendere remunerativi i titoli di credito in un periodo di tassi praticamente nulli, se non proprio negativi. È possibile che le banche tenteranno di aumentare i volumi degli anticipi pensionistici liberando i bilanci attraverso la cartolarizzazione.

Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Tommaso Nannicini sostiene che questa non è una penalizzazione ma una rata di ammortamento, varierà a seconda della categoria dei lavoratori coinvolti e non graverà sui loro eredi.
La pensa così perché altrimenti non l’avrebbe proposta. Mi sembra evidente che il credito e il debito che permetteranno di anticipare e rendere flessibile il pensionamento graveranno sui beneficiari. Dovranno pure pagarlo, anche nell’arco di vent’anni, ma dovranno restituirlo. Con i livelli di pensione che ci sono mi chiedo se questa non sia un’istigazione a lavorare in nero. Sono pur sempre somme che calcolate sull’arco di un anno possono essere importanti per una persona che ha una pensione bassa.

È un altro passo per sostituire l’uomo indebitato al lavoratore salariato nel welfare europeo?

Si è quello che intendo per bioeconomia. La bioeconomia ruota attorna all’uomo indebitato ed è la forma di governance della società attraverso la generalizzazione dell’indebitamento. Vedo un forte parallelismo tra i giovani che si indebitano per studiare negli Stati Uniti e gli anziani che si indebitano per potere smettere di lavorare in Italia. Ormai il nostro ciclo di vita attiva inizia con il debito per finire con il debito. I diritti sociali che abbiamo maturato nel corso del Novecento, a partire dalle lotte dei mobvimenti operai, si stanno trasformando in titoli finanziari. Nel settore immobiliare, nel credito a consumo o in quello previdenziale, la logica è sempre la stessa: anticipare in modo tale da ipotecare il futuro.

Come giudica la politica previdenziale dalla riforma Fornero a oggi?

È costituita da misure tampone per tenere testa a un disastro creato attraverso l’esperimento del governo tecnico Monti che ha commissariato l’Italia con il Fiscal compact. Bisogna capire che il sistema pensionistico non è riformabile nei termini della Fornero e non può esserlo nemmeno con la finanziarizzazione. Lo stato sociale è una cosa molto articolata e metterci mano con questi espedienti denota a volte creatività ma il più delle volte porta a alchimie improvvisate e pericolosissime che destano preoccupazione. È sempre la stessa storia: in una situazione politica a rischio di Brexit e della deflagrazione dell’Ue, si continua a rispondere alle rivendicazioni di sovranità nazionale di destra con misure che non fanno altro che rafforzare vie d’uscita nazionalistiche a problemi che sono strutturali e di fatto riguardano tutta l’Europa.

Cosa dovrebbe fare il governo?

Chiedere l’istituzione di un sistema di mutualizzazione e di intervento in termini di redistribuzione e monetizzazione delle rendite in Europa.

I nati dal 1980 in poi non avranno pensione o dovranno lavorare fino a oltre 75 anni. La finanziarizzazione della previdenza cosa comporterà per loro?

Anche questo è un problema europeo: il cumulo di lacune contributive dovute alla precarizzazione del lavoro riguarda sia l’Italia che addirittura la Svizzera dove vivo. Ha un margine di sopportabilità che non va oltre il 2020. Il finanziamento di questo sistema pensionistico si rivelerà sempre più problematico. Perche il lavoro precario è per definizione l’opposto del lavoro salariato sulla base del quale sono stati costruiti i nostri stati sociali. Più si erode il lavoro salariato, più si erode il finanziamento dello stato sociale. Il finanziamento dell’intero sistema della sicurezza sociale e, in particolare, della pensione è un problema inaggirabile.

Qual è soluzione per lei?

Il reddito di base incondizionato permette di colmare queste lacune ed evitare che portino all’esclusione dal sistema delle tutele sociali. Questo è il senso del referendum che si è tenuto in Svizzera. Il problema non può essere più rimandato. Siamo entrati in una fase in cui la riforma del sistema previdenziale va veramente portata a livello europeo. Sul piano nazionale è praticamente impossibile effettuare riforme in positivo, ma solo in termini repressivi o semplicemente di taglio e smantellamento del welfare.

*Questo articolo è stato pubblicato da il manifesto il 16 giugno 2016.

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