Presentiamo qui i materiali che compongono il Quaderno di EuroNomade dedicato al Contropotere. Il Quaderno può essere scaricato cliccando qui.
A cura di ROBERTA POMPILI
In questo testo Maria Rosa Dalla Costa mette in discussione per la prima volta la classica posizione marxista secondo cui il lavoro domestico non sarebbe “produttivo”. Dalla Costa sottolinea che ciò che produce la casalinga nella famiglia non sono “valori d’uso”, bensì è la merce forza-lavoro che poi il marito può vendere, come libero lavoratore salariato, su mercato del lavoro: la produttività della donna è quindi premessa per la produttività del lavoratore salariato (maschile). La famiglia nucleare che viene organizzata e protetta dallo stato è la fabbrica sociale in cui questa merce forza-lavoro viene prodotta. Quindi la casalinga e il suo lavoro non sono al di fuori del processo di produzione di plusvalore, ma costituiscono propriamente la base per cui questo processo può essere messo in moto. Con il concorso dello Stato e del suo apparato legislativo le donne sono state rinchiuse nelle famiglie nucleari, isolate le une dalle altre: il loro lavoro in questo ambito è stato reso socialmente invisibile e definito non produttivo. Esso appare sotto le forme dell’amore, dell’assistenza, della dedizione, della maternità e della coppia. Dalla Costa mette in discussione le analisi della sinistra tradizionale, introdotte per primo da Engels, secondo cui le donne se vogliono creare le premesse per la loro emancipazione devono lasciare il lavoro domestico “privato” ed entrare come lavoratrici salariate insieme agli uomini nella produzione sociale. Dal momento che è chiaro il collegamento strategico tra il lavoro femminile non pagato e il lavoro salariato maschile retribuito, il contropotere si dà attraverso la rottura dei dispositivi di divisione sessuale del lavoro e gerarchizzazione del capitale: uscire dalle case, rompere l’isolamento, costruire solidarietà comune contro il lavoro comune. Il contropotere è inoltre per le donne un processo di riappropriazione del proprio desiderio e della propria autonomia sessuale, creativa, lavorativa. In questo modo il movimento delle donne per Dalla Costa diventa attacco alla famiglia pilastro della società capitalistica e dunque sfida per la sovversione sociale e lotta per un mondo radicalmente diverso.
Fonte: M.R. Dalla Costa, Potere femminile e sovversione sociale, Venezia, Marsilio Editori, 1977, pp.33-34; pp.38-39; pp.45-47.
Ogni sede di lotta fuori dalla casa, proprio in quanto tutta l’organizzazione capitalistica presuppone la casa, offre il fianco al possibile attacco femminile: le assemblee di fabbrica, le assemblee studentesche, le riunioni di quartiere sono tutti luoghi altrettanti adeguati di lotta femminile: e quindi di incontro-scontro, se si vuole, donne-uomini, tutti come individui anziché come madre e padre, figlio e figlia, con tutte le possibilità di far esplodere fuori della famiglia le contraddizioni, le repressioni, le frustrazioni che il capitale ha voluto accumulare dentro la famiglia. Che le donne chiedano in un’assemblea di fabbrica che venga abolito il turno di notte perché di notte si vuol fare l’amore oltre che dormire, e non è la stessa cosa che farlo di giorno, se di giorno è la donna che lavora, vuol dire portare il proprio interesse autonomo femminile soggettivo contro l’organizzazione del lavoro, rifiutando di essere le mamme insoddisfatte del marito e dei figli. Ma in tale incontro-scontro in cui le donne esprimeranno il loro specifico interesse femminile, tale interesse non è, come è stato detto, separato ed estraneo all’interesse di classe. Casomai indagare perché sono le donne e non gli uomini a sollevare la questione è fare luce sull’intera storia di classe.
Finora il movimento femminile, specialmente con la smitizzazione dell’orgasmo vaginale, ha denunciato il meccanismo fisico che ha permesso che il potenziale sessuale delle donne fosse strettamente definito e limitato dall’uomo. Adesso possiamo cominciare a reintegrare la sessualità con altri aspetti della creatività, a constatare come la sessualità sarà sempre compressa finché a) il lavoro che facciamo mutilerà noi e le nostre capacità individuali; b) le persone con cui abbiamo relazioni sessuali saranno i nostri padroni e saranno anch’esse mutilate da loro lavoro. Far saltare il mito vaginale è richiedere autonomia femminile di contro a subordinazione e sublimazione. Ma non si tratta solo del clitoride contro la vagina, ma di entrambi contro l’utero. O la vagina è innanzitutto il passaggio per la riproduzione della forza-lavoro venduta come merce, cioè la funzione capitalistica dell’utero, oppure è parte del nostro bagaglio sociale. La sessualità è la più sociale delle espressioni, la comunicazione umana più profonda. Solo in questo caso è la dissoluzione dell’autonomia. La classe operaia organizza il superamento di sé come classe; all’interno di quella classe noi ci organizziamo autonomamente per creare le basi per il superamento dell’autonomia.
Ora, da quanto fin qui considerato, senza addentrarci nell’analisi dei meandri dei meccanismi psicologici, ci basi aver individuato e tratteggiato essenzialmente questa produttività femminile domestica, che passa attraverso il ruolo complessivo che la donna svolge (oltre che particolarmente attraverso il lavoro domestico che essa si sobbarca gratuitamente). Poniamo quindi come pregiudiziale l’esigenza di spaccare questo ruolo che vede divise le donne, le une dalle altre, dagli uomini, dai bambini, ciascuna nella sua famiglia come crisalide nel bozzolo che si imprigiona con il suo stesso lavoro per morire e lasciare la seta al capitale. Rifiutare tutto questo, come dicevamo già nel corso di queste osservazioni, vuol dire per le casalinghe riconoscersi anche come sezione di classe, la più degradata perché non pagata. La loro posizione nella lotta complessiva della donna è decisiva in quanto viene a minare il pilastro dell’organizzazione capitalistica attuale e cioè la famiglia. Quindi ogni obbiettivo che tenda a recuperare l’individualità della donna di contro a questa figura complementare di tutto e di tutti che è la casalinga vale la pena che sia posto, come obbiettivo eversivo della possibilità di questo ruolo. In questo senso tutti gli obbiettivi che servano a restituire alla donna l’integrità delle sue funzione fisiche fondamentali, a cominciare da quella sessuale, che è la prima ad esserle tolta accanto all’invenzione lavorativa, devono essere poste con la massima urgenza. Non a caso una ricerca anticoncezionale si è sviluppata con notevole ritardo. Non a caso l’aborto è vietato pressoché a livello mondiale o concesso al massimo come terapeutico. Muoversi su queste cose non è fare del facile riformismo. La gestione capitalistica di queste cose ripropone continuamente la discriminante di classe e la discriminante femminile specificatamente. Perché il problema anticoncezionale continua ad essere posto come problema femminile. Collegare queste lotte con la lotta contro la maternità considerata responsabilità esclusivamente femminile, al limite contro tutti i modelli il capitale stesso offre come esempi di emancipazione femminile e che non sono altro che brutte copie del ruolo maschile, è lottare contro la divisione e organizzazione del lavoro. Per riassumere, bisogna distruggere il ruolo della casalinga, dietro il cui isolamento si è nascosto il lavoro sociale. Ma le alternative sono strettamente definite. Finora il mito dell’incapacità femminile, radicato nella donna isolata nella casa dipendente dal salario di un altro, è stato rotto da una sola alternativa: quella della donna che si impadroniva di un salario proprio, rompendo con la dipendenza economica, costruendo una propria esperienza indipendente con il mondo esterno, fornendo lavoro entro una struttura socializzata, fosse la fabbrica o l’ufficio; e lì dava forma alle proprie forme di ribellione sociale in aggiunta alle tradizionali forme di lotta di classe. L’avvento del movimento di liberazione femminile è il rifiuto di questa alternativa. Il capitale ha cercato e cerca di utilizzare la spinta che ha creato il movimento – il rifiuto da parte di milioni di donne del tradizionale posto della donna- per ricomporre la forza-lavoro con un crescente numero di donne. Il movimento può svilupparsi solo in opposizione a questa alternativa. Per il fatto che esiste, già pone e dovrà porre in un’azione sempre più articolata l’istanza del rifiuto femminile del mito della liberazione attraverso il lavoro. Abbiamo lavorato abbastanza. Abbiamo raccolto milioni di tonnellate di cotone, lavato milioni di piatti, raschiato milioni di pavimenti, dattilografato milioni di parole, messo i fili di milioni di radio, lavato milioni di pannolini con le mani e con le macchine. Ogni volta che ci hanno “aperto delle strade” per entrare in qualche roccaforte maschile, ci hanno aperto un nuovo livello di sfruttamento. Ancora dobbiamo richiamarci, in modo diverso da quanto fatto sopra, al sottosviluppo del terzo mondo e al sottosviluppo nella metropoli- più specificatamente nelle cucine della metropoli. Il piano capitalista offre al terzo mondo di “svilupparsi”; il che vuol dire, in aggiunta al purgatorio presente, soffrire anche il purgatorio della controrivoluzione industriale. Alle donne nella metropoli è stato offerto lo stesso “aiuto”. Ma quante di noi sono uscite di casa per lavorare, per necessità di sopravvivenza o per le cosiddette spese personali o per l’indipendenza economica hanno messo in guardia le altre: l’inflazione ci ha inchiodato al dannato pool delle dattilografe o alla catena di montaggio e in tutto questo non c’è salvezza. Dobbiamo rifiutare lo sviluppo che loro ci offrono. Ma la lotta della donna che lavora fuori non è destinata a ritornare nell’isolamento della casa, anche se il lunedì mattina la casa può sembrare attraente. Altrettanto la lotta della casalinga non è destinata a scambiare la prigionia domestica con l’incollatura al tavolino della macchina da scrivere o alla catena di montaggio, per quanto il lavoro fuori possa apparire attraente rispetto alla solitudine dell’appartamento. Le donne devono riscoprire completamente le loro possibilità, che non sono né fare la calza, né il capitano di lungo corso. O meglio si possono fare tutte queste cose, ma la collocazione che queste cose ora hanno è tutta dentro la storia del capitale. La sfida del movimento femminile consiste nel trovare modi di lotta che, liberando la donna dalla casa, da un lato evitino la doppia schiavitù della donna, dall’altro tolgano spazio ad una ulteriore possibilità di controllo e irreggimentazione capitalistica. Questa in fondo nel movimento femminista è la discriminante tra riformismo e politica rivoluzionaria.