Pubblichiamo qui la traduzione in italiano della prima parte del testo “Masterclass della fine del mondo”. L’originale in portoghese è consultabile su neblina.xzy.
Di UN GRUPPO DI MILITANTI NELLA NEBBIA
“Il Brasile non è un terreno aperto dove intendiamo costruire cose per la nostra gente. Quello che dobbiamo fare è decostruire molte cose. Disfare un sacco di cose. E solo dopo cominciare a fare. Che io possa essere almeno un punto di svolta in questo processo”. Con queste parole, Jair Bolsonaro diede il benvenuto agli ospiti nella cena offerta dall’ambasciata brasiliana durante la sua prima visita a Washington nel marzo 2019.[1]
Esattamente un anno dopo, venne confermata la prima morte per Covid-19 in Brasile. Il panorama apocalittico annunciato dalla notizia della pandemia all’estero contrastava ancora, qui, con l’immutata continuità della routine. La vaghezza dello scenario ha creato un’atmosfera di apprensione, ogni giorno più grande. Gli assembramenti obbligatori in luoghi di lavoro chiusi come fabbriche, centri commerciali e uffici, così come in autobus e vagoni del metro invariabilmente affollati, ha fornito l’immagine angosciante della diffusione di una malattia ancora sconosciuta. È stato in un’azienda di telemarketing di Bahia che la tensione è esplosa per la prima volta: gli operatori hanno abbandonato il loro posto di lavoro e sono scesi in strada chiedendo misure di quarantena. In poche ore, la scena è stata replicata nei call center di Teresina, Curitiba, Goiânia e altre città del paese. I video di queste interruzioni del lavoro, diventati virali in gruppi di operatori su WhatsApp e Facebook, indicavano una soluzione molto concreta a quella situazione disperata: letteralmente, uscire![2]
Il coronavirus ha dato un’aria premonitrice ai termini della lettera anonima – più esattamente un “ultimo grido d’aiuto” – che i dipendenti di una catena di librerie avevano rilasciato nel febbraio 2020, dopo una sessione travolgente di mobbing. È sintomatico che, anche prima della pandemia, abbiano descritto l’esperienza all’interno dell’azienda come una “masterclass della fine del mondo”. Ma “il gran problema della fine del mondo”, concludevano, “è che qualcuno dovrà rimanere poi per pulire”.[3] Infatti, quando qualche settimana dopo ci siamo trovati di fronte a una calamità biologica, i “lavori di merda” hanno continuato a prendere ostaggi[4] per garantire la continuità del business as usual.
Il paragone delle centrali di telemarketing con la schiavitù e le prigioni, così comune nei messaggi di sarcasmo tra gli operatori, trovava ora una brutale conferma. Per molti di loro, la fuga dal lavoro[5] appariva come l’ultima risorsa per evitare di morire al desk. Nonostante il decreto presidenziale che ha incluso il settore del telemarketing tra i servizi essenziali subito dopo lo sciopero, ciò che è successo nelle settimane successive è stato uno svuotamento dei call center. Mentre molti lavoratori cominciavano a presentare certificati medici (veri o falsi che fossero) o si assentavano dal lavoro senza giustificazione, le aziende risposero con soluzioni precarie di lavoro a distanza, ferie collettive e licenziamenti.[6] La pressione delle proteste si diluì nella disgregazione che era già una tendenza del settore e fu accelerata dal virus.[7]
Con la stessa rapidità con cui la pandemia ha eroso le condizioni di lavoro nei settori più diversi, la vita si è conformata alla “nuova normalità”. Così, abbiamo visto operai che tornavano dalla cassa integrazione per esporsi all’infezione, ma grati di avere ancora un lavoro in uno scenario di fabbriche che chiudono; insegnanti che criticavano la didattica a distanza per impegnarsi proattivamente nella nuova routine; e la maggior parte dei superstiti della valanga di licenziamenti nel settore dei servizi sottoporsi al programma di riduzione di orario e salario, realizzato su ordine del governo federale (anche se, in pratica, le ore in azienda sono le stesse). E se gli scioperi di autisti e funzionari di autobus sono diventati sempre più ricorrenti in tutto il paese durante tutto il 2020, è perché questo era l’unico modo rimasto per garantire i salari in un contesto di riduzione del numero di passeggeri e di crisi del settore.[8]
Il potere distruttivo del coronavirus si è combinato in Brasile con l’ondata di devastazione già in corso. Uscita di emergenza innescata dal capitale in risposta alla rivolta sociale scoppiata nel 2013, questo “movimento di distruzione delle forze produttive” ha trovato nelle elezioni del 2018 una personificazione nella figura incendiaria di un ex capitano dell’esercito.[9] Nell’impossibilità di gestire la crisi, è la crisi che diventa il metodo di gestione. Dove si potrebbe vedere un governo inefficiente, il nostro autoproclamato agente della decostruzione rivela un’efficienza negativa: il caos costituisce già un metodo[10] e “non governare è una forma di governo”[11]. Creando sistematicamente ostacoli alle raccomandazioni scientifiche per il controllo della pandemia, Bolsonaro non è mai stato esattamente un “negazionista”; al contrario, “è prima di tutto un vettore del virus stesso, la sua identificazione con il virus è integrale”[12]. “Sono un capitano dell’esercito, la mia specialità è uccidere, non curare nessuno”, gridava ancora nel 2017.[13]
Nell’agosto 2020, quando il Brasile si stava ancora avvicinando alla cifra di centomila morti da Covid-19, le ricerche notavano un altro indice preoccupante, rivelando che meno della metà della popolazione in età lavorativa stava effettivamente lavorando.[14] Se la caduta del tasso di occupazione ai livelli più bassi della storia recente potrebbe essere vista come un’accelerazione dell’eliminazione dei lavoratori superflui, sotto altri occhi, tuttavia, lo stesso quadro devastante stava producendo qualcosa di nuovo… “Abbiamo già visto in Brasile uno scenario promettente per questo nuovo modo di lavorare e la pandemia ha fatto sì che più persone cercassero altri modi per esercitare le loro attività e generare reddito”, ha spiegato un dirigente di una piattaforma usata dalle aziende per assumere freelance in 160 paesi, che ora è arrivata in Brasile.[15] Dopo l’apocalisse, Uber?
Il Brasile sta on[16]
“Vogliamo lavorare!”, reclamavano decine di venditori ambulanti che, nel febbraio 2020, hanno invaso i binari della stazione di Luz, nel centro di San Paolo, per protestare contro l’operazione della nuova società di sicurezza esternalizzata per reprimere il commercio ambulante sui treni – un’attività che, per regolamento ferroviario, è irregolare.[17] Qualche settimana dopo, con l’arrivo del nuovo virus, lo stesso slogan sarebbe riecheggiato di nuovo tra i clacson dei cortei di automobili indetti da Bolsonaro per esigere agli enti locali la riapertura del commercio. Opponendosi alle politiche di isolamento attuate da sindaci e governatori, Bolsonaro non solo ha soddisfatto i desideri dei piccoli imprenditori, ma ha anche strumentalizzato con la situazione di “coloro che dipendono dall’affannarsi quotidiano tra lavori saltuari per sopravvivere e nel contesto della pandemia non hanno altra prospettiva che la miseria”[18].
Se la prospettiva di lotta indicata dai call center non si è generalizzata, è perché la richiesta di quarantena non può assumere di fatto connotati di sciopero in luoghi dove il lavoro è già uscito da tempo dai limiti fisici dell’impresa. Tra le professioni più qualificate, non sarebbe passato molto tempo prima che la rapida transizione verso lo smartworking trasformasse il “rimani a casa” in un raddoppiamento dei carichi lavorativi. D’altra parte, mentre le strade si svuotavano, lo stesso slogan ha cominciato a suonare come una minaccia di miseria e di fame per coloro il cui sostentamento dipende dal movimento quotidiano della città: venditori ambulanti, manicure, camerieri, parcheggiatori, autisti, ecc.
Le misure per contenere il coronavirus hanno portato al centro del dibattito la condizione del lavoro senza una forma definita, il lavoro informale, una definizione politica ricorrente sebbene imprecisa, ma fondamentale nella composizione dell’economia capitalista in Brasile. Lavoretti occasionali, lavori comunitari e attività illegali di ogni tipo hanno compensato, nel corso della nostra storia, la precarietà dei servizi urbani e dell’infrastruttura necessaria all’accumulazione del capitale. I “mezzucci” improvvisati da chi sta in basso per tirare avanti ai margini della città, della formalità e della legalità sono stati l’ossigeno del “miracolo” dell’industrializzazione e dell’urbanizzazione a queste latitudini. Decifrata dalla sociologia brasiliana negli anni ‘70[19], questa formula magica alimentava la speranza di uno sviluppo nazionale verso una società salariale stabile; un modello che, nello stesso periodo, mostrava già segni di esaurimento nei paesi centrali. Da allora in poi è stato piuttosto il primo mondo che si è avvicinato alla flessibilità del lavoro in stile brasiliano[20] – e quest’ultima non indica più alcun futuro di progresso. Le “forme socialmente stabili, contrattualizzate e riconoscibili” del lavoro che definiscono cosa è e “cosa non è l’orario di lavoro, qual è il luogo di lavoro, la retribuzione, il costo del lavoro”, si stanno ormai dissolvendo anche nel nucleo centrale del capitalismo.[21]
Anche al suo apice, durante i governi del Partito dei lavoratori [PT – Partito dos Trabalhadores, che ha governato il Brasile dal 2003 al 2016], il lavoro formale non raggiungeva molto più della metà della popolazione occupata in Brasile, e si espandeva fondamentalmente sulla base di lavori a bassa retribuzione che – contrariamente alla litania neosviluppista – esprimeva più una delle tante strategie per “arrangiarsi” che una tendenza all’universalizzazione del lavoro formale[22]. Affermando che la legislazione del lavoro “deve andare incontro all’informalità”[23], Bolsonaro finalmente aggiusta il parametro e riconosce la deregolamentazione come regola.
Ci è voluta la calamità economica causata dal coronavirus affinché il lavoro informale ricevesse, per la prima volta nella storia del paese, una definizione legale – è stata la più ampia possibile, delimitata in negativo: informale è qualsiasi lavoratore senza il contratto da lavoro registrato (carteira assinada), “sia egli dipendente, autonomo o disoccupato”.[24] Durante il breve periodo di discussione della legge che istituiva gli “aiuti di emergenza”, era difficile prevedere con precisione la reale portata di quel criterio. Entrato in vigore all’inizio di aprile del 2020, il sussidio ha raggiunto quasi 68 milioni di persone – circa il 32% della popolazione brasiliana – di cui 38 milioni erano fino ad allora esclusi dai sussidi già in vigore. La devastazione stava improvvisamente aprendo un’opportunità storica di “inclusione”:
Definiti “invisibili” dal presidente della Caixa Econômica Federal, la maggior parte di queste persone non aveva uno o più mezzi per accedere alla visibilità sociale specifica determinata dallo Stato: CPF [una specie di codice fiscale, NdT] attivo, telefono cellulare (con internet) e conto bancario. Queste persone non sono quelle già registrate nel programma Bolsa Família (…), che aveva raggiunto gli angoli rurali del paese rendendo visibili al governo circa 30 milioni di persone. Queste ultime erano già registrate. Invisibile, per quanto incredibile possa sembrare, era una parte significativa della popolazione il cui metabolismo sociale era strutturalmente legato al metabolismo urbano. Si tratta di quella parte della popolazione che sopravvive con la “viração” [una sorta di “arte di arrangiarsi”, NdT], non grazie ai benefici pubblici (…). Sono presupposti nella loro conseguenza, ma invisibili nella loro esistenza. Quando la città si ferma, questo segmento sociale rivendica la visibilità statale attraverso la registrazione nel Registro Unificato. La pandemia lo rivela, ma lo sottomette pure, poiché definisce le regole della sua visibilità.[25]
Certo, tutto questo segmento sociale invisibile era già incluso fino al collo – cioè, le conseguenze del suo lavoro “informe” sono presupposte dal funzionamento dell’economia nel suo insieme -, ma ora può essere sottoposto a meccanismi che permettono un controllo più completo sulla sua esistenza. Conto bancario, smartphone con internet e registrazione in un’applicazione: che i mezzi per ricevere il sussidio di emergenza siano gli stessi di quelli per creare un account in Uber, è un segno del fatto che siamo davanti a pezzi fondamentali di questo “nuovo modo di lavorare”. Già anni fa era possibile individuare in Bolsa Família, le cui dimensioni ora risultano ridotte rispetto al sussidio del 2020, l’obiettivo di formare una forza lavoro unificata e più profondamente sussunta dai rapporti capitalistici.[26] La bancarizzazione promossa da quel programma contribuì ad ampliare la portata dei sistemi di micro-credito in un processo di finanziarizzazione dell’informalità – che si è approfondito negli ultimi anni con la diffusione dei POS portatili e di pagamenti digitali sempre più agili e facili, come il Pix.[27] Con il sussidio di emergenza (Auxílio Emergencial), il fenomeno raggiunge un’intensità senza precedenti: la Caixa Econômica Federal ha assorbito 30 milioni di clienti in dieci giorni, un fatto che rappresenta forse il movimento di bancarizzazione più rapido della storia mondiale[28], chiudendo il 2020 con profitti record.
L’accesso al credito è fondamentale per la creazione di una forza lavoro precaria a cui vengano trasferiti costi e rischi di capitale, mentre i tassi di interesse forzano un nuovo livello di produttività alla vecchia viração, direttamente collegata al mercato finanziario globale. Il focus di queste politiche di distribuzione del reddito sarebbe quindi meno l’espansione della capacità di consumo dei beneficiari (come nel modello distributivo keynesiano), e più l’espansione della loro capacità di investimento, finanziando l’acquisto degli strumenti di lavoro e “auto-valorizzando” il loro “capitale umano”.[29] Questo è ciò che viene apertamente dichiarato dai sostenitori di questo tipo di programma: “il cuscinetto finanziario che il reddito di base fornisce può rappresentare una stabilità sufficiente perché le persone siano in grado di spendere i propri risparmi o altri capitali per avviare un’attività”.[30] Come afferma una ricerca che ha intervistato i residenti di alcune capitali del Nordest, “in molti casi il denaro [del sussidio] è servito come capitale di garanzia per attività informali”: per finire di costruire una casetta da dare in affitto, accumulare scorte per il commercio ambulante, aprire un piccolo negozio o comprare “una bicicletta usata da un vicino per fare consegne via App”.[31] Tuttavia, nei grandi centri urbani, il sussidio non copre il costo di vita per molte famiglie, che devono arrangiarsi per mantenere altre fonti di reddito. “I soldi basterebbero appena per l’affitto. Poi ci sarebbero le bollette e il cibo”, spiega un disoccupato costretto a dormire per strada.[32] Prima ancora di prendere in considerazione l’idea di affittare di nuovo una stanza, dopo aver ricevuto le prime rate del sussidio un altro intervistato dice di aver comprato un telefono cellulare. Quando non è stato investito in mezzi di produzione, il denaro è stato convertito in mezzi di riproduzione: è servito per pagare la ristrutturazione della casa e gli elettrodomestici. Proprio nel mezzo di questi due ambiti si colloca il telefono cellulare.[33]
Concentrando le funzioni di svago, lavoro, socializzazione e controllo in un unico dispositivo, gli smartphone materializzano l’indistinzione contemporanea tra tempo di vita e tempo di lavoro. Le applicazioni che collegano una moltitudine di persone allo stesso server hanno reso possibile al capitale incorporare e organizzare direttamente, attraverso algoritmi che elaborano milioni di dati in tempo reale, quel lavoro informe che è costitutivo dell’economia brasiliana. La famigerata “uberizzazione” del lavoro significa, qui in Brasile, una sorta di “sussunzione reale della viração”.[34]
Per tutta la durata della pandemia, il numero di brasiliani che ricorrevano alle piattaforme come possibilità di lavoro è cresciuto, raggiungendo la soglia di un lavoratore su cinque.[35] E vale la pena ricordare che anche il primo passo per ottenere il sussidio di emergenza era quello di scaricare una App e rispondere a un questionario. Il programma ha accelerato il processo di digitalizzazione di questa folla invisibile: “chi non aveva un cellulare doveva procurarsene uno o prenderlo in prestito” e “chi non lo sapeva usare doveva imparare” o chiedere aiuto.[36] Anche così, la marea di problemi nella registrazione online durante la prima settimana si è riversata sulle filiali fisiche della Caixa, causando code che si estendevano per interi isolati. Oltre a sovraccaricare il personale, l’affollamento davanti alle banche all’inizio della pandemia ha dato caratteristiche concrete al cupo dilemma tra essere infettati dal virus o morire di fame. Per alcuni giorni, quel ritardo disperato si trasformò in rivolta: nelle città di tutto il paese, la popolazione protestò, depredando le filiali e facendo blocchi stradali.[37]
Mentre i dirigenti della Caixa riorganizzavano il cronogramma del servizio al pubblico per evitare il caos, si sono formati gruppi WhatsApp e Facebook per scambiarsi informazioni rispetto al sussidio. Con centinaia di migliaia di membri, questi forum auto-organizzati compensavano la precarietà del servizio bancario: i partecipanti segnalavano i loro problemi, scambiavano esperienze, risolvevano dubbi, ecc. L’unico attore politico che ha cercato di navigare su questa immensa attivazione invisibile è stato un parlamentare sconosciuto eletto nell’ambito dello tsunami bolsonarista del 2018 grazie ai video selfie che aveva registrato ai blocchi stradali durante lo sciopero dei camionisti di qualche mese prima delle elezioni. Da quando ha cominciato a seguire quotidianamente le questioni burocratiche relative al sussidio attraverso il suo profilo Facebook, il deputato federale di Minas Gerais, André Janones ha acquisito notorietà, trasmettendo le lives più seguite nella storia di internet di tutto l’emisfero occidentale.[38]
D’altra parte, l’inizio del pagamento dei 600 reais mensili durante la prima ondata della pandemia sembra aver contribuito a ritardare la convergenza tra lavoratori informali e imprenditori su cui cercava di far leva la critica bolsonarista dell’isolamento sociale. In quel momento, le manifestazioni anti-lockdown [un lockdown che in Brasile si è sempre limitato alla chiusura degli esercizi commerciali e non ha mai significato un vero coprifuoco, NdT] si limitavano al nucleo militante dell’estrema destra e ai ricatti dei piccoli e medi imprenditori, che cercavano di costringere i loro dipendenti a protestare sotto la minaccia del licenziamento in caso di fallimento.[39] Allo stesso tempo, il flusso di denaro fornito dal sussidio di emergenza alle famiglie e ai quartieri più popolari, forniva un po’ di sostegno a coloro che, in mezzo al caos della pandemia e nonostante l’aumento della disoccupazione, rifiutavano di lavorare in quelle condizioni. Dopo essersi manifestata nelle segrete dei call center, l’insubordinazione avrebbe presto fatto sentire la sua presenza fuori, nelle strade, sempre più affollate di rider e autisti delle piattaforme.
[1] Eduardo Bolsonaro, “Fala de JB abrindo o jantar na embaixada do Brasil nos EUA (17/MAR/2019)”, YouTube, 18 mar. 2019.
[2] “Para não morrer, operadores paralisam call center em todo Brasil exigindo quarentena”, Passa Palavra, 19 mar. 2020. Le proteste in questione rappresentavano un esito inaspettato per quei militanti che, qualche anno prima, si sono confrontati con le difficoltà di organizzarsi in un settore così rotativo rotativo (Um grupo de militantes, “Disk Revolta: questões sobre uma tentativa recente de organização em call centers”, Passa Palavra, 30 mai. 2019). Nel momento in cui i call center sono stati attraversati da un’ondata di interruzioni senza precedenti, è significativo che la prospettiva della mobilitazione fosse semplicemente quella di sfuggire a quell’inferno.
[3] Trabalhadores da Livraria Cultura, “’Nosso último grito de socorro’: trabalhadores voltam a denunciar a Livraria Cultura”, Passa Palavra, 19 fev. 2020.
[4] “Siamo ostaggi”, diceva un manifesto eretto dagli operatori nella vetrina di una società di telemarketing nel centro di San Paolo nel giorno dello “sciopero generale” indetto dalle centrali sindacali contro le riforme del lavoro e del welfare nel 2017 (Disk Revolta, “Pedido de socorro e apoio à greve na Uranet”, Facebook, 28 abr. 2017).
[5] Anche qui la battaglia sotterranea alla libreria ha rivelato una tendenza. “Per qualsiasi sindacalista, l’obiettivo finale delineato dai lavoratori di Livraria Cultura suonerà molto strano: vogliono essere licenziati senza giusta causa. Anche se questa affermazione ha senso solo nel quadro della CLT [Consolidazione delle Leggi sul Lavoro, introdotta dal governo di Getúlio Várgas negli anni ’40, ed equivalente a una specie di statuto dei lavoratori, NdT] (dopo tutto, l’obiettivo è quello di ottenere la buonuscita), guardando in prospettiva storica questo tipo di lotta indica già un addio alle promesse dei fautori della CLT, poiché l’orizzonte giuridico, politico, economico e sociale che questa presentava un tempo (carriera, stabilità, diritti, ecc.) non esisteva più. Essere licenziato era visto come una vittoria”, ha scritto un ex dipendente in un commento”. (“Por que as denúncias contra a Livraria Cultura viralizaram?”, Passa Palavra, 27 abr. 2019).
[6] Un caso di pressione per lo smartworkingi è stato registrato in Invisíveis de Goiânia, “Atento: resistindo à chamada da morte”, Passa Palavra, 17 abr. 2020.
[7] “Nota per essere la porta d’accesso al mercato del lavoro per migliaia di giovani”, la professione di operatore di call center ha dovuto affrontare, “negli ultimi anni, (…) una ristrutturazione del mercato [del telemarketing], con tagli di posti vacanti e un investimento nel self-service”, spiega il direttore del sindacato degli imprenditori del settore. Le misure di isolamento sociale sembrano aver contribuito, tuttavia, a che “per la prima volta in cinque anni” ci fossero più operatori che licenziati nei dodici mesi terminati a febbraio 2021, in un movimento che una parte degli esperti vede come temporaneo. In ogni caso, l’automazione e la dispersione della forza lavoro sembrano essere tendenze complementari nella ristrutturazione del settore, che studia il mantenimento di parte della forza lavoro in smartworking anche dopo la pandemia – e sta già sviluppando nuovi meccanismi di sorveglianza per questo, come fanno diversi altri settori. (Angelo Verotti, “Ao novo normal”, IstoÉ Dinheiro, 14 jul. 2020; Douglas Gavras, “Telemarketing reabre vagas com mudança de comportamento do consumidor pós-Covid”, Folha de S. Paulo, 8 mai. 2021; “Funcionários de call center em home office serão vigiados”, Poder 360, 28 mar. 2021).
[8] Alcune di queste interruzioni sono registrate nel video del canale Treta no Trampo, “2020 – Greve dos rodoviários!” (Instagram, 1 fev. 2021), e citati in Thiago Amâncio, “Crise no transporte público na pandemia provoca greves em série por todo o país” (Folha de S. Paulo, 21 mai. 2021).
[9] “Mentre la politica acquista un carattere di guerra aperta”, abbiamo suggerito in un’altra occasione, “le tecnologie di mediazione sociale sviluppate negli ultimi anni suonano obsolete. (…) L’ondata di distruzione che si è abbattuta non solo sui principali operatori dell’assetto politico costituito dalla ri-democratizzazione e sulla sua macchina di governo, ma anche su alcune delle più grandi imprese brasiliane, deve essere compresa nel quadro di un “annientamento forzato di tutta una massa di forze produttive”, un movimento tipico delle crisi capitaliste, che si accompagna sempre a un approfondimento dello sfruttamento. La distruzione delle forze produttive, spesso per mezzo della guerra, ha sempre costituito un’efficiente uscita di emergenza per il capitale”. (Un gruppo di militanti, “Guardate un po’ com’è andata a finire”).
[10] Marcos Nobre, “O caos como método”, Piauí, abr. 2019.
[11] Gabriela Lotta, “O que acontece quando a falta de decisão é o método de governo”, Nexo, 27 jan. 2020.
[12] “Il discorso di Bolsonaro non è un negazionismo della letalità del virus, o se lo è è ad un livello superficiale”, ha notato uno spettatore dei primi pronunciamenti ufficiali durante la pandemia: “transustanziato in un complesso umano-virus, (…) Jair Bolsonaro si avvicina alla sua forma finale, un angelo della morte, un emissario della morte di massa – quale migliore espressione ci sarebbe per il capitale suicida?” (Felipe Kouznets, “anjinhos”, helétricuzinho, 25 mar. 2020).
[13] “Bolsonaro diz que, no Exército, sua ‘especialidade é matar’”, Folha de S. Paulo, 30 jun. 2017.
[14] Instituto Brasileiro de Geografia e Estatística (IBGE), Pesquisa Nacional por Amostra de Domicílios Contínua – Mercado de Trabalho Conjuntural, ago. 2020.
[15] Tra i nuovi utenti della piattaforma, il 35% ha collegato la loro ricerca di lavoro all’isolamento sociale (Beatriz Montesanti, “Startup israelense de trabalho freelancer chega ao Brasil”, Folha de S. Paulo, 10 nov. 2020)
[16] Resa popolare dall’attaccante Neymar l’espressione “papà sta on” è diventata un meme di internet. Essere online significa anche, in questo caso, stare “connesso”, disponibili, pronti a tutto, in contesti che vanno dal flirt al lavoro, passando per tutto l’ambito ambiguo dei social network.
[17] Clara Assunção, “No país da informalidade, ambulantes na CPTM protestam pela sobrevivência: ‘Queremos trabalhar’”, Rede Brasil Atual, 6 fev. 2020.
[18] Um grupo de militantes, “Entre o isolamento e a correria, trabalhadores em disputa na pandemia”, Passa Palavra, 11 abr. 2020.
[19] Nei suoi scritti degli anni 70, Chico de Oliveira descriveva il processo di modernizzazione del paese come un “uovo di Colombo”: come il vecchio trucco di rompere il guscio d’uovo per metterlo in piedi, ciò che metteva e manteneva in piedi il capitalismo brasiliano era questa “strana, apparentemente arretrata, economia di sussistenza” delle periferie urbane e delle campagne. L’industria dei beni di consumo -ha mostrato il sociologo- aveva la sua controparte nel commercio ambulante, mentre la crescita della produzione di automobili era accompagnata dalla proliferazione di autolavaggi manuali e officine meccaniche di strada. Man mano che compensava la mancanza di una sufficiente accumulazione capitalista previa, tale simbiosi ha messo il “lavoro informale” al centro del processo di industrializzazione e urbanizzazione del paese. In questo modo, la stessa tessera di lavoro (documento che indica una relazione contrattuale formale, standard, e che ne conferisce i relativi diritti, NdT) è stata fin dall’inizio legata all’informalità: nei giorni liberi dalla fabbrica, l’operaio continuava a lavorare – in maniera autonoma e non retribuita – per costruire la sua casa in aree urbane irregolari, una pratica che ha dato origine a buona parte delle periferie delle grandi città brasiliane e che ha determinato a sua volta un abbassamento dei salari, la cui somma non doveva tener conto del costo dell’affitto. Nell’autoproduzione dei lavoratori per mezzo di soluzioni logoranti e improvvisate, una quantità colossale di superlavoro senza una forma definita rimaneva invisibile all’ombra del mondo del lavoro ufficiale. Chico de Oliveira ha messo in relazione questa dimensione invisibile dello sfruttamento con la sfiducia dei lavoratori nei confronti dei governi populisti di prima del colpo di stato del 1964, rovesciati da un giorno all’altro senza molta resistenza popolare. Non a caso, fu proprio dalle periferie urbane, dove si concentrava questo lavoro informale, che entrarono in scena nuovi personaggi negli ultimi anni della dittatura militare. Dalle invasioni di terra alle richieste di strutture collettive per i quartieri (come fognature, elettricità, asfalto, autobus, asili, centri sanitari, scuole, ecc.), le lotte nelle periferie delle metropoli ebbero un posto centrale nel movimento di ricomposizione politica del proletariato brasiliano alla fine degli anni ‘70. Nello stesso tempo in cui rappresentava un superlavoro funzionale all’accumulazione capitalista, l’autocostruzione della città si rivelò una zona esplosiva di conflitti. In questo processo ambivalente, in cui l’auto-attività proletaria era contemporaneamente lavoro non retribuito e lotta di classe, emerge ciò che il brasilianista James Holston ha chiamato una “cittadinanza insurrezionale”, in cui lo scontro diventa un modo per integrarsi nell’ordine. (Cfr. Francisco de Oliveira, Crítica à razão dualista / O ornitorrinco, São Paulo, Boitempo, 2003 e, dello stesso autore, “Acumulação monopolista, Estado e urbanização: a nova qualidade do conflito de classes”, in José Álvaro Moisés et outros, Contradições urbanas e movimentos sociais, São Paulo, CEDEC / Paz e Terra, 1977; il riferimento finale è a James Holston, Cidadania insurgente, São Paulo, Cia. das Letras, 2013).
[20] Vedere Paulo Arantes, “A fratura brasileira do mundo”, Zero à esquerda, São Paulo, Conrad, 2004. Per una recente ripresa di questa discussione, nel contesto del fallimento della lotta alla pandemia nel cuore del capitalismo occidentale, si veda Alex Hochuli, “The Brazilianization of the World”, American Affairs, v. 5, n. 2, 2021.
[21] Ludmila Costhek Abílio, “O futuro do trabalho é aqui”, Revista Rosa, v. 4, n. 1, ago. 2021
[22] Questa espressione popolare, presa in prestito da alcuni sociologi negli ultimi anni, definisce bene il transito “tra una serie di attività contingenti, segnate da instabilità e incostanza, così come tra espedienti legali e illegali”, che segna la traiettoria di una parte significativa della forza lavoro brasiliana: “percorsi sempre discontinui, sempre instabili nel mercato del lavoro” che “rendono inoperanti le differenze tra formale e informale” (Carlos Freire da Silva, “Viração: o comércio informal dos vendedores ambulantes” in V. Telles e outros, Saídas de emergência, São Paulo, Boitempo, 2011 e Vera da Silva Telles, “Mutações do trabalho e experiência urbana”, Tempo Social, v. 18, n. 1, 2006). Questo “‘vivere sul filo’ delle periferie brasiliane significa un costante aggrapparsi alle opportunità, che in termini tecnici si traduce nell’alto turnover del mercato del lavoro brasiliano, nel transito permanente tra lavoro formale e informale (…),nella combinazione di lavori saltuari, programmi sociali, attività illecite e impiego formale” (Ludmila Abilio, “Uberização do trabalho: subsunção real da viração”, Passa Palavra, 19 fev. 2017.
[23] “Lei trabalhista tem que se aproximar da informalidade, diz Bolsonaro”, Folha de S. Paulo, 12 dez. 2018.
[24] Pedro Fernando Nery, “Desigualdade em V”, Estado da Arte, 11 nov. 2020.
[25] Isadora Andrade Guerreiro, “O vírus, a invisibilidade e a submissão dos vivos ao não-vivo”, Passa Palavra, 11 mai. 2020.
[26] João Bernardo, “Programa Bolsa Família: resultados e objectivos”, Passa Palavra, 10 abr. 2010.
[27] Vettori dello stesso processo, la nuova Legge di Regolarizzazione delle Terre Rurali e Urbane e il Programma Casa Verde e Gialla promuovono la trasformazione delle abitazioni autocostruite in un asset finanziario, in una sorta di finanziarizzazione della viração, che costituisce la vera controparte di questi titoli – sia come lavoro morto cristallizzato nelle case regolarizzate e utilizzate come garanzia per mutui e altri prestiti, sia come lavoro vivo che paga questi debiti. . (Isadora Guerreiro, “Casa Verde e Amarela, securitização e saídas da crise: no milagre da multiplicação, o direito ao endividamento”, Passa Palavra, 31 ago. 2020).
[28] “Non abbiamo notizie di nessun paese che in soli dieci giorni abbia fornito conti bancari gratis a 30 milioni”, ha sostenuto Paulo Guedes [ministro dell’Economia, NdT] all’inizio di aprile 2020 (Mariana Ribeiro e outros, “Auxílio emergencial colocará 30 milhões de pessoas em contas bancárias digitais”, Valor Investe, 7 abr. 2020).
[29] “L’obiettivo è liquidare le forme arcaiche di credito e assicurazione, sostituendole con i loro equivalenti capitalistici. È curioso considerare che se si raggiunge questo obiettivo, ci troveremo nella situazione opposta a quella del modello keynesiano di distribuzione dei redditi, perché qui si fa leva non sulla capacità di consumo dei beneficiari, ma sulla loro capacità di risparmio per gli investimenti. In questo modo coloro che non trovano lavoro come salariati sopravviveranno come micro-imprenditori, contribuendo così da un lato e dall’altro alla modernizzazione del capitalismo brasiliano” (João Bernardo, “Programa Bolsa Família: resultados e objectivos”, cit.). Il processo di organizzazione di questa economia che è allo stesso tempo informale e assolutamente moderna è precisamente quello che è stato chiamato “uberizzazione”, un termine che non indica di per sé né un retrocesso né una modernizzazione, ma certamente un aumento della temperatura di quelle caldaie dell’inferno che rappresentano il mondo del lavoro contemporaneo.
[30] Michael Grothaus, “How Universal Basic Income Could Rescue The Freelance Economy”, Fast Company, 1 dez. 2017.
[31] João Pedro Pitombo e João Valadares, “Auxílio emergencial irriga negócio informal e banca puxadinho em casas no Nordeste”, Folha de S. Paulo, 7 ago. 2020.
[32] Toni Pires e Heloísa Mendonça, “Mesmo com auxílio emergencial, crise empurra desempregados para viver na rua”, El País, 1 set. 2020 e Beatriz Jucá e Heloísa Mendonça, “O auxílio que revoluciona a vida no Ceará não salva da rua em São Paulo”, El País, 31 ago. 2020.
[33] Questo è forse un buon esempio di “consumo produttivo”, nel modo in cui Ludmila Abílio riprende il termine di Marx e lo risignifica, associandolo al rimescolamento di lavoro e consumo nel capitalismo contemporaneo (si veda Sem maquiagem: o trabalho de um milhão de revendedoras de cosméticos, São Paulo, Boitempo, 2014).
[34] La definizione è di Ludmila Abílio (“Uberização do trabalho: subsunção real da viração”, cit.). Nell’opera di Marx, la sussunzione reale del lavoro al capitale segna il momento in cui, nell’industria, le macchine formano un sistema integrato che non è più controllato dagli operai, ma detta il ritmo del loro lavoro e dà unità ai compiti che svolgono separatamente. Il lavoro morto arriva a organizzare pienamente il processo di produzione e a sottomettere a sé il lavoro vivo in un processo di spoliazione che consolida la separazione tra lavoratori e mezzi di produzione e costituisce la forza lavoro in quanto tale. Se, anni fa, Chico de Oliveira indicava qualcosa che si poteva definire come “sussunzione formale” del lavoro al capitale, le tecnologie che permettono il controllo di questo lavoro nella sua stessa dispersione rappresentano un nuovo passo. Attraverso i guadagni di scala, la razionalizzazione e la centralizzazione, la “gestione algoritmica” della viração eleva la sua produttività a livelli sconosciuti. Da questo punto di vista, il riconoscimento di questo lavoro informe nel cuore della nostra modernizzazione troncata impone un limite alla categorizzazione della “uberizzazione” come un semplice processo di flessibilizzazione dei rapporti di lavoro. In un certo senso, ciò che le piattaforme di delivery hanno fatto è accelerare la creazione di connessioni sempre più dirette e razionalizzate tra quell’attività informe e i circuiti di accumulazione.
[35] Luciana Cavalcante, “Do WhatsApp ao Uber: 1 em cada 5 trabalhadores usa apps para ter renda”, UOL, 12 mai. 2021.
[36] Victor Hugo Viegas, “O movimento do auxílio emergencial”, A Comuna, 14 out. 2020
[37] Treta no Trampo, “Tretas na pandemia: Filas do banco”, Instagram, 6 mai. 2020.
[38] Victor Hugo Viegas, “O que o auxílio emergencial tem a ver com a luta de classes?”, Jacobin Brasil, 27 out. 2020.
[39] Aliny Gama, “MPT investiga se funcionários ajoelhados em ato foram coagidos por patrões”, UOL, 30 abr. 2020