di COLLETTIVO EURONOMADE.

Muoviamo da un presupposto: le questioni poste dalle migrazioni segnano un salto di scala. Da un lato, per la forza espressa dai movimenti e dalle lotte dei migranti negli ultimi anni su scala, quanto meno, europea: dalle lotte sul terreno della logistica, a quelle in agricoltura, a quelle sul terreno della cittadinanza, a quelle soggettivamente espresse nel diritto di fuga che, con particolare forza, hanno segnato l’estate del 2015, sollevando straordinari movimenti di solidarietà che si sono intrecciati con le reti materiali di supporto costruite all’interno delle stesse migrazioni. Dall’altro, per la risposta che queste stesse lotte hanno suscitato sul piano della governance europea e nazionale: l’estensione dei confini e l’esternalizzazione del controllo (tendenze certo non nuove, e tuttavia radicalizzate con l’accordo con la Turchia nel marzo 2016) si sarebbero dovute combinare con il dispiegamento del cosiddetto hotspot approach per delineare una complessiva ridefinizione del regime europeo di controllo dei confini. Questo tentativo, tuttavia, è evidentemente fallito, almeno fino a oggi, a fronte di potenti spinte alla ri-nazionalizzazione. Tanto gli sviluppi in Libia, con la costituzionalizzazione delle milizie paramilitari come parte integrante del governo dei flussi quanto il prepotente ritorno del razzismo nel backlash sicuritario (particolarmente evidente in Italia), sono da interpretare in questo quadro. Ed è inutile aggiungere che al suo interno sono i/le migranti a pagare il prezzo più alto.

A fronte di questo salto di scala, evidente sia sul lato della composizione e del ritmo dei movimenti e delle lotte migranti sia sul lato delle politiche di controllo, siamo convinti che gli stessi paradigmi che hanno orientato le nostre pratiche teoriche e politiche negli ultimi anni debbano essere verificati e in qualche modo essere aggiornati: se manteniamo con forza il principio dell’autonomia delle migrazioni – le migrazioni non possono essere compresse all’interno di tracciature orientate dall’assunzione di fattori «oggettivi»; esse marcano, piuttosto, desideri, esodi, progetti soggettivi di liberazione e di libertà -, riteniamo tuttavia che una serie di altri dispositivi – dall’accoglienza alla ridefinizione dei perimetri della cittadinanza, dalle tematiche dell’asilo ai meccanismi di disobbedienza delle operatrici e degli operatori sociali alla legge Minniti-Orlando – ci impongano di confrontarci con il contesto dei processi materiali che quella autonomia definiscono, limitano o, al contrario, si sforzano di sostenere. Dobbiamo inoltre domandarci che tipo di capitalismo e di società viene disegnato da una tendenza alla chiusura nei confronti delle migrazioni che sembra segnare le retoriche e le politiche contemporanee ben al di là della situazione italiana ed europea.

Quello delle migrazioni si dimostra un nodo cruciale tanto per il livello di politicizzazione e di soggettivazione che vi si esprime, quanto per ciò che attorno ad esso si ristruttura sia sul piano dei dispositivi globali di governo, dei mercati del lavoro, delle politiche di Welfare e della cittadinanza, sia in chiave di completa ridefinizione dei parametri della militanza e dell’attivismo. Da quest’ultimo punto di vista ci sembra necessario articolare un bilancio delle esperienze italiane a partire dai primi anni ’90: il tema delle migrazioni, spesso attraverso la spinta e la mobilitazione dei migranti, è stato indubbiamente al centro delle pratiche politiche di “movimento” (mentre ha contribuito a innovare profondamente lotte storiche, come ad esempio quella sulla casa). Contemporaneamente non ci sembra che ci sia stata sul piano della ricerca e della produzione teorica all’interno della nostra esperienza (quella che si colloca nel solco dell’operaismo rivoluzionario) una vera assunzione della centralità del tema, pur varie volte affermata e riconosciuta. L’organizzazione del seminario di Milano si propone di determinare un salto in avanti da questo punto di vista, collegandosi da una parte alle esperienze di lotta più significative degli ultimi anni, dall’altra al lavoro di ormai due generazioni di ricercatori e ricercatrici militanti in Italia e in Europa.

Ciò che intendiamo mettere al centro del seminario sono almeno tre diversi livelli di analisi.

Il primo concerne l’autonomia delle migrazioni e le modalità per mezzo delle quali la rivendicazione del diritto di restare e di autodeterminare la propria vita – un diritto che deve essere, vale la pena ribadirlo, garantito – ricodifica la cittadinanza. Ius soli, diritto all’abitare, definizione di un diverso fascio di diritti sociali sono la posta in gioco del confronto tra i/le migranti e ciò che rimane di un’idea di cittadinanza fondata sui presupposti della nazionalità e della proprietà. Se quest’ultima sembra oggi dispiegare la propria violenza in primo luogo contro i/le migranti, occorre porre in evidenza come questa violenza si indirizzi al tempo stesso, attraverso una geometria variabile, contro una pluralità di altri soggetti – dalle donne ai giovani precari. La migrazione, in questo senso, è una lente che ci consente di leggere in modo particolarmente efficace trasformazioni sociali e politiche che sono ben lungi dal riguardare solo i/le migranti. Una lente, che va combinata con altre, secondo quella reinvenzione della “intersezionalità” che lo sviluppo recente delle lotte femministe e di NonUnadiMeno ha positivamente determinato.

Il secondo livello di analisi riguarda le trasformazioni dei meccanismi di governo che lavorano a filtrare, imbrigliare, bloccare o canalizzare i movimenti migratori. Esternalizzazione e militarizzazione del controllo, politiche di selezione della manodopera, precarizzazione dei diritti, marcano una costante e mobile ridefinizione dei confini interni ed esterni dell’Europa, in una prospettiva che, come già si è detto, si incontra e si scontra con potenti tendenze alla rinazionalizzazione. Di questo ci sembra centrale discutere: per noi l’Europa è lo spazio politico di riferimento, la dimensione minima nella quale leggere i processi globali, ma l’Europa, ben oltre la sua autoperimetrazione istituzionale, ci sembra essere la posta in gioco di una partita che si svolge tra le pratiche di libertà e di movimento che dal basso la sfidano e i dispositivi per mezzo dei quali essa rinsalda le proprie supposte certezze (istituzioni, politiche, autorappresentazioni). Anche in questo caso, si tratta di uno scontro che non riguarda solo i/le migranti: comprendere come la posta in gioco riguardi la definizione dell’Europa nel suo complesso, l’organizzazione della cooperazione sociale e produttiva al suo interno e la stessa posizione dell’Europa nel mondo, ci pare un punto di decisiva importanza, che già in passato abbiamo affermato ma che si tratta di verificare e aggiornare in condizioni molto cambiate (di nuovo: tanto in Europa quanto su scala mondiale).

Il terzo livello di analisi riguarda quello che succede e quello che può succedere. Cartografare le lotte dei migranti e le trasformazioni che segnano idea e pratiche della militanza di chi le sostiene, pensare come articolare soggettività migranti e lotte moltitudinarie, impiantare l’autonomia delle migrazioni nel quadro delle coalizioni sociali e politiche, chiedersi che cosa significhi fare coalizione sui molti livelli sui quali ci si confronta con la macchina del governo, ci sembra un compito ineludibile all’altezza del presente. Intendiamo discutere con chi si è attivato o si attiva con i migranti sui molti livelli – metropolitani, transfrontalieri, europei – del confronto tra diritto di fuga, diritto di restare e macchine del governo.

Ciò che è in questione è la definizione di nuove forme della cittadinanza e di nuove pratiche appropriative degli spazi metropolitani: migranti di seconda o di terza generazione precarizzati che si mobilitano contro l’invisibilizzazione o che, nelle scuole, ridisegnano dal basso i percorsi dell’«integrazione», lotte per la casa e per il diritto ad una vita degna, rivolte e scioperi nella logistica e in agricoltura, nuovo mutualismo, ci danno il ritmo dei processi sui quali chiamiamo alla ricerca e alla discussione.

Per dare un minimo di anticipazione: ciò su cui intendiamo con particolare attenzione concentrarci sono le trasformazioni e il prolungamento dei confini, la ridefinizione dei territori e degli spazi metropolitani, i regimi di sfruttamento che concernono il lavoro comandato in agricoltura e nella logistica, i meccanismi di politicizzazione che attraversano tutto questo con una particolare attenzione alla possibilità di coniugare in maniera inedita – intersezionale, meticcia – lotte sul confine e lotte per la cittadinanza.

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