IL NEO MUNICIPALISMO

 

Introduzione ai lavori della seconda giornata della scuola di EuroNomade (sabato 8 ottobre 2016)

 

 

La pulsione sociale a produrre nuove forme di democrazia reale e radicale negli spazi cittadini nasce certo dalla crisi della forma stato e dei modelli politici tradizionali (primi fra tutti la rappresentanza e la forma partito) e dalla crisi di “fiducia” e legittimazione verso una cornice di governance che, dalle istituzioni europee fino ai singoli governi nazionali, s’impone a scapito dei desideri vivi nei territori.

 

Ma essa si catalizza in primis intorno a reti di mutualismo, a pratiche di autorganizzazione urbana, di riappropriazione dei commons, a lotte che nascono dal basso, provenienti dal “ventre” della società. E, probabilmente, essa origina anche dal riconoscimento dei limiti incontrati dalle forme organizzative che hanno fin qui caratterizzato queste esperienze di grassroot politics: cioè dalla loro capacità di instradare la rivendicazione di decisione dal basso, ma anche dalla loro insufficienza nello strutturare organismi che possano esprimerla in maniera efficace ed imporsi perciò come nuove istituzioni delle città.

 

Molto si è dibattuto in questi mesi di “città ribelli”, spesso però limitandosi alla narrazione (o auto-narrazione) acritica delle singole esperienze municipaliste e spesso soffermandosi solo su quelle di maggior impatto. Nel confronto che apre la giornata di sabato vogliamo invece proporre una discussione che metta a fuoco quei concetti fondamentali che possono strutturare un discorso di più ampio respiro sul “neo municipalismo” e iniziare a indagare quei nodi problematici che emergono dalle pratiche singolari e comuni a tutte le esperienze che a tale idea-forza si ispirano.

 

Partendo dai testi pubblicati nell’ultimo mese da EuroNomade (Chignola, Festa-Pinto e Caccia) proveremo a insistere innanzitutto sul rapporto tra le profonde trasformazioni produttive e sociali che hanno investito la metropoli contemporanea e l’emersione di un ciclo diffuso di movimenti urbani, che hanno posto al centro della propria iniziativa proprio il “diritto alla città” come insieme di rivendicazioni variamente declinate sul terreno della lotta alla dimensione speculativa e parassitaria del rapporto di capitale, alla privatizzazione dei servizi e dei commons, alla finanziarizzazione del pubblico e della vita stessa.

 

In secondo luogo affronteremo, sul terreno della “città”, gli effetti delle modificazioni intervenute nella determinazione del politico contemporaneo, anche in conseguenza della gestione capitalistica della crisi economico-finanziaria degli ultimi otto anni: che cosa essa ha comportato, nell’esercizio del comando sulla dimensione metropolitana e delle sue funzioni “amministrative”, a partire dalla crisi strutturale del precedente paradigma rappresentativo e dal passaggio al paradigma della governance? E che cosa ciò significa per la definizione stessa del concetto di “governo”, nella sua applicazione su scala urbana?

 

Fino a che punto si sono spinti processi di vera e propria “ricentralizzazione istituzionale” nel controllo delle risorse finanziarie disponibili e nel depauperamento, politico oltre che materiale, di quelli che – nel pieno della grande trasformazione post-fordista – avevamo definito come “nessi amministrativi”, cioè funzioni cruciali nella (allora) nuova organizzazione territoriale e diffusa della produzione e riproduzione sociale, suscettibili per questa stessa ragione di essere investiti da iniziative di riappropriazione e ridistribuzione nell’ipotesi di un nuovo “welfare comunitario”? Come tali processi di ricentralizzazione non comportino un semplice ritorno alla forma dello Stato nazionale, quanto l’articolazione di nuove costellazioni di poteri che, dal livello globale a quello locale, intervengono in un contesto di “esecutività post-democratica” sulle forme di cooperazione produttiva e di vita nella dimensione metropolitana?

 

Quali sono, una volta definiti questi processi, e come possono essere determinati i “confini” delle nostre città, riconoscendo l’insufficienza di una loro definizione che ne ricalchi la pura e semplice descrizione amministrativa?

 

Quale senso attribuire dunque, in questo quadro, alle domande di “autonomia” e “indipendenza” che paiono caratterizzare, dalla dimensione sociale a quella più prettamente istituzionale, l’immediata proiezione delle pur eterogenee esperienze neo municipaliste in tutta Europa?

 

E come qualificare, anche qui nel superamento di certa retorica “partecipativa” e di un certo formalismo procedurale che avevano segnato i precedenti cicli, la pretesa di “democrazia” che attraversa questi stessi laboratori territoriali?

 

Come intrecciare questa discussione sugli snodi fondamentali di ogni ipotesi neo municipalista con il tema del “sindacalismo sociale”, ovvero con le forme nuove di organizzazione e di lotta su scala metropolitana dell’attuale composizione del lavoro vivo? Come costruire, concettualmente e praticamente, l’interazione tra lotta contro l’indebitamento e la precarizzazione, per salario/reddito, diritti sociali e ricchezza comune, e il ruolo di istituti nuovi dell’autogoverno municipale?

 

In questo ambito di confronto è perciò estremamente importante che il dibattito affronti anche una riflessione intorno agli “stili della militanza” – cioè delle attiviste e degli attivisti che si impegnano nelle organizzazioni di base e nell’azione diretta – mettendo a tema una riformulazione degli stessi, che risulta necessaria per poter individuare gli strumenti adeguati nella costruzione di una prospettiva neo municipalista per le lotte. Il passaggio dalla pratica di forme di ribellione urbana e di processi mutualistici dal basso alla produzione di strumenti di decisione diretta sul governo della città non può essere dato per semplice né scontato, ma richiede un approfondimento ulteriore.

 

Esso ha a che fare col tema del rapporto tra la processualità costituente che si incarna nelle esperienze municipaliste, i passaggi elettorali e l’ingaggio con e/o nelle istituzioni locali esistenti: quali sono e/o possono essere i tratti caratterizzanti una dialettica aperta, contradditoria e conflittuale, tra i differenti attori di questi processi nella loro singolare qualificazione, ovvero tra cittadinanza attiva, movimenti sociali, organizzazioni di movimento, istituti embrionali di autogoverno, piattaforme civiche, liste elettorali, forze politiche, consigli comunali, giunte e sindaci? Per dirla brutalmente: come si fa a innescare e nutrire una processualità virtuosa, capace di evitare la logica dei “vasi comunicanti” o della “somma zero”, per cui a un pieno dell’azione di governo debba per forza corrispondere un vuoto dell’iniziativa dal basso, o viceversa? Come si possono creare le condizioni, strutturali e soggettive, affinché il “costituito” non sussuma e annulli così il “costituente”? O viceversa che si ritorni ad un quadro di composizione delle forze statico ed improduttivo? Come possono essere le stesse istituzioni esistenti investite e trasformate dall’azione di istituti embrionali di autogoverno e dalla forza deliberativa e non consultiva delle loro scelte? E, là dove non si dia la matura compresenza della pluralità di attori che abbiamo sommariamente indicato, come creare le condizioni per lo sviluppo di iniziativa neo municipalista?

 

Se l’insieme di tali cruciali questioni attiene allo sviluppo presente e futuro delle relazioni all’interno di uno spazio urbano/metropolitano, come affrontare – in stretta relazioni con queste problematiche – il rapporto tra la dimensione cittadina e la scala nazionale e sovranazionale? Molti tra i limiti e le contraddizioni che ciascuna esperienza neo municipalista può incontrare sul suo percorso dipendono infatti dall’insieme di vincoli esterni che costringono anche la più avanzata sperimentazione locale: come costruire, da questo punto di vista, i dispositivi sociali e politici capaci di forzare questa gabbia di poteri eteronormativi sul piano nazionale ed europeo? E come, infine, immaginare il contributo, parziale ma decisivo, che le esperienze neo municipaliste possono dare a più generali processi di radicale trasformazione dell’esistente?

 

Non abbiamo ovviamente la pretesa di rispondere compiutamente all’insieme di queste domande, ma crediamo che, con il contributo di tutte e tutti, il confronto aperto tra esperienze pratiche e riflessioni teoriche che, negli ultimi mesi ma anche attraverso la riattivazione di più lunghe genealogie, si sono sviluppate, possa farci fare qualche utile passo in avanti.

 

 

 

 

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