A cura del LABORATORIO ACROBAX.
Un’analisi utile al presente suggerisce di individuare un percorso di ricomposizione e generalizzazione delle lotte sul terreno europeo1. Dovremo immaginarci questo passaggio politico dentro un quadro capitalistico definitivamente e irrevocabilmente globale, attraversato dalla variabile indipendente delle insorgenze che dal biennio 2010/2011 hanno segnato il campo di forze e la nuova geografia dei contropoteri. Insorgenze e rivolte che a guardare Brasile2 e Turchia paiono non essersi affatto interrotte. Si deve non solo partire dal proprio ambiente e contesto quanto poi produrre lo sforzo di individuare nessi comuni e liaison fondamentali (in Europa e in un mondo pienamente globalizzato) per un agire politico della trasformazione reale, per una produzione radicale di movimento. Si dirà a Passignano per un sovvertimento materiale della governance europea, per un’incarnazione pienamente biopolitica del nostro presente3.
Se lo spazio del comune va ricercato nei bisogni, nelle trasformazioni e nelle nuove composizioni di classe, nei mutamenti sociali delle relazioni, nelle stesse forme di vita, gli epocali avvicendamenti dell’ultima crisi economica depositano un enorme squilibrio nel rapporto di forze: è in atto in sostanza un’asimmetrica guerra civile non dichiarata tra il biopotere finanziario e le moltitudini.
Dagli ultimi decenni in Italia si sono affermati nuovi e mutati rapporti di forza. Ad esempio al netto della battaglia perduta da autonomia operaia in quell’assalto al cielo contro lo stato (certamente unico movimento del futuro per quegli anni e degno di nota a proposito di sovvertimenti), andrebbe aperta nei movimenti autonomi e indipendenti dell’oggi una riflessione approfondita e fuori da ogni retorica. Nel presente non può che determinarsi una discontinuità con i modelli e le forme di vita e di organizzazione che quei movimenti hanno animato, si dovrebbe avere la capacità per l’appunto “autonoma” di ripensare dentro le trasformazioni i movimenti stessi e la loro capacità di esercitare rottura, in un ambito evidentemente mutato. Del resto quando i movimenti autonomi crescevano destituivano il presente, la politica, il potere, non cercavano eredità da reinterpretare. Autonomia rompeva con il presente, con il suo attuale, non manteneva tradizioni salvaguardate dalla critica sovversiva, se non quella dell’antifascismo. Tutto questo significa uccidere il proprio padre? Può anche essere se necessario. Certamente oggi dobbiamo costruire gli spazi per una rottura costituente affermando i nuovi diritti di (e per) quelle nuove generazioni che già di fatto sono oltre e alternative alla modernità.
Nella complessità del presente il terreno di ricomposizione e generalizzazione possiamo viverlo solamente in un ambito trasversale dell’analisi politica: sulla produzione del valore, del diritto, della soggettività, della sua alterità. Con un’attitudine che non può che essere orientata al superamento delle discipline del sapere, di come sapere, per le lotte e i conflitti.
Per parlare di welfare del comune o meglio ancora di quello che viene dopo il welfare, quindi dei diritti e dei bisogni in comune, dei nostri claims, si richiamano necessariamente alla discussione almeno tre ambiti fondamentali tra di loro interconnessi sui quali vale la pena concentrare l’attenzione e individuare pratiche teoriche che ci portino all’altezza politica della dimensione che stiamo attraversando. Sinteticamente: i) il biopotere finanziario, la sua globalità e la sua immanenza (altro che parassitario come sostiene una certa retorica di sinistra!) dentro tutte le articolazioni economiche e i terreni produttivi, dentro tutte le forme della produzione e della valorizzazione, nemmeno a dirlo dentro la produzione di soggettività; ii) l’impatto di internet e delle nuove tecnologie, delle infrastrutture come nuove industrie del digitale, del materiale e dell’immateriale, impatto e determinazioni non solo legate alla produzione di valore, ma alla stessa rimodellazione della soggettività e spazialità delle forme di vita interconnesse e innervate nelle reti sociali; iii) la ridefinizione del diritto come terreno e ambito di eccedenze e continue cesure di quel sotterraneo potere costituente che già era alternativa alla stessa modernità dell’ordine della legge, delle costituzioni che si sono man mano in Europa avvicendate nelle teorie intorno a quel mostro marino del Leviatano. Tre ambiti della discussione che tracciano possibilmente un unico ragionamento politico.
i) L’analisi sui concatenamenti e le discontinuità dall’operaio massa all’operaio sociale e oggi al precariato metropolitano indebitato, diventa centrale nei nuovi processi di accumulazione che pongono la produzione di soggettività consustanziale alla valorizzazione capitalistica. Una soggettività che potremmo indicare definitivamente dentro la precarietà in un nomadismo incarnato tra lavoro e non lavoro. La soggettività precaria è prima di tutto corpo nomade sottomesso tra autovalorizzazione e competenze performative, dentro le geografie e i territori, dentro la liberale “mobilità” decantata nei perimetri formali del mercato del lavoro. È mobile e nomade come lo stesso capitale, ancor di più se a contatto con le macchine e con le tecnologie smart, “è un corpo parlante e sessuato che conosce la ricattabilità politica, sociale e sessuale sul luogo di lavoro, lo sfruttamento del corpo, dell’affettività, della capacità di relazione 24 ore su 24”4. L’esempio delle tecnologie è decisivo in questo senso. Vi è di pari passo alla co-creazione di valore per mezzo della soggettività, una co-creazione delle identità, potremmo dire uno scambismo soft, un nomadismo tutto interno al nuovo mercato sociale delle identità5. L’anonimato o il nominalismo nella rete portano comunque ad un movimento continuo, ad uno scambio intrecciato e parallelo, anche dei generi, dove più facilmente e con più tracciabilità si sperimentano spazialità differenti delle relazioni e della stessa soggettività (che è già immersa da qualche decennio nella società dello spettacolo. I movimenti di questo sanno qualcosa – e non è certo un complimento). Possiamo affermare che le moltitudini connesse, i corpi precari che sulla rete dispiegano la loro attività costituiscono la nuova composizione sociale al lavoro, sempre produttiva tra lavoro e non lavoro, lavoro gratuito, continuo e permanente: dove le contraddizioni con il capitale digitale, affettivo e immateriale divengono ontologiche, mai specialistiche, nomadiche appunto, senza perimetri formali. Certamente non si può parlare di cognitariato separandolo dall’intelligenza generale del precariato diffuso, tanto meno si può pensare di separare il corpo da sé stesso come la corruzione della politica e del sindacato spesso richiede, quanto invece è sempre più corretto parlare della soggettività come corpo nomade e macchina-competenza6. Il capitale finanziario, al centro della cui accumulazione vi è la produzione continua di soggettività, è divenuto capitale generale e collettivo7. Premessa necessaria per intendere oggi il divenire rendita del profitto e il (nuovo) plusvalore appropriato dalla rendita finanziaria in un’economia prevalentemente basata sul debito (pubblico e privato) come paradigma ed esercizio di comando. “Il capitalismo non è una struttura o un sistema: esso si elabora, si trasforma, si organizza e si dota di procedure più o meno adeguate, a seconda degli imperativi dello sfruttamento e del dominio”8. Per dirla con altre parole, “il ceto capitalista è in un certo qual modo foucaultiano: ogni sua categoria definitoria è categoria pratica, ipotesi di trasformabilità rapporto tattico e strategico”9.
Spesso si è sottolineato come nella crisi contemporanea e nella sua complessa condizione ambivalente (non solo economica ma anche politica: una crisi propria della soggettività, delle istituzioni, della rappresentanza politica, di quella mediazione fordista regolata anche attraverso i corpi intermedi come i partiti e i sindacati o lo stesso welfare state) vi sia una contraddizione, un passaggio fondamentale, un nesso cruciale: una crisi nella crisi, quella della misurazione formale e consolidata del valore. Si è detto e affermato da più parti che a fronte delle trasformazioni epocali del capitale10 abbiamo prima di tutto una crisi della misurazione del lavoro e della produzione formalmente costituita. Uno dei focus della discussione dovrebbe essere dunque la nuova produzione biopolitica del capitale sociale e i nessi tra le forme della valorizzazione capitalistica odierna (cognitiva, digitale, affettiva) e l’evoluzione delle tecnologie, della comunicazione, del linguaggio e delle soggettività che nella rete si dispiegano. Parlare delle trasformazioni produttive oggi rimanda immediatamente ad internet ed al più complessivo e approfondito processo di informatizzazione produttiva, alle nuove tecnologie, al loro impatto dentro il capitale, alla loro capacità di permeazione totale del lavoro.
“Le condizioni e le premesse del divenire, della nascita del capitale, sottintendono appunto che esso non è ancora, ma soltanto diviene”11.
ii) Con questo ragionamento alcune tendenze le abbiamo individuate: le reti sociali virtuali sono lo spazio della cooperazione sociale diffusa e nel contempo della nuova cattura del valore per mezzo della produzione stessa di soggettività.La polarità costituente pare essere senza dubbio auto-valorizzazione vs comando: da un lato vi è la produzione biopolitica del comune, dall’altro la nuova produzione di valore per mezzo di quella sociale, continuamente espropriata dal processo finanziario12.
Come intermezzo intanto sappiamo che “la teoria del plusvalore potrà essere costruita solo a partire dal fatto che lo sfruttamento organizza la società politica e che di questa ne costituisce il fondamento”. Realmente questo avviene secondo Marx quando il capitale assume “il comando come materia del denaro” cioè individua il ruolo politico e non solo economico del denaro nel comando capitalistico. L’analisi della legge del valore e dello stesso concetto di plusvalore è in prima istanza analisi dei rapporti di classe13. Come sappiamo, nel processo di produzione del capitale il lavoro è una totalità – una combinazione di lavori, sicchè il lavoro complessivo si presenta non come opera del singolo operaio, ma come unità, totalità dell’opera collettiva di tanti e diversi operai combinati dal comando capitalistico14.
Si deposita sul piano dell’analisi del valore/tempo di lavoro un primo nodo evidentemente problematico se posto in riferimento alla valorizzazione del capitalismo cybernetico – cioè a quello che si indica come limite (qui definitivo) dell’esaurimento della razionalità economica, nello sganciamento, nella dissociazione tra valore e ricchezza15.
A quest’altezza un’ipotesi di riflessione dovrebbe tentare di unire il mercato delle identità, delle informazioni, dei dati sociali raccolti in rete e sistematizzati – dai colossi conosciuti di internet – alla possibile nuova leva della misurazione del valore che attraverso questa sistematica raccolta dati, profilati e individualizzati, si determina16.
Si potrebbe ipotizzare che su questi processi di soggettivazione si fondano gli elementi essenziali dell’accumulazione per mezzo dei nuovi monopoli sul controllo e sulla gestione verticale delle infrastrutture informatiche e tecnologiche. Certamente anche qui il plusvalore può essere inteso solo dentro le contraddizioni antagonistiche, politiche, prima che economiche. Ma la soggettività che usa le tecnologie e produce direttamente plusvalore è ancora lontana in questa fase dalla forma del conflitto e della assunzione piena delle contraddizioni dispiegate su questo specifico terreno. Vi è al limite un ragionamento tattico da parte di movimenti sull’uso strumentale di alcuni media, ma non sulla produzione di valore dentro questi processi che sono economici e come già detto fondamentalmente costituiti sulla produzione di soggettività.
Siamo certamente di fronte alla più grande espropriazione capitalistica dentro la nuova accumulazione originaria del ciclo economico cybernetico. Di contro, non vi è alcun riconoscimento dei nuovi processi di cattura e sottomissione, sfruttamento intensivo e co-estensivo del lavoro vivo nel grande capitale globale, laddove invece la pressione verticale esercitata dal processo di finanziarizzazione ha compresso ogni articolazione dell’economia neoclassica17.
iii) Si pone non in ultimo un ulteriore slittamento: ormai è evidente come il lavoro e la produzione immateriale, affettiva, relazionale e cognitiva, siano definitivamente inaccessibili alle forme tradizionali della costituzionalizzazione nel diritto dell’attuale scontro di classe.
Quale programma di lotta, quindi, e quali ricadute politiche possono misurarsi dentro tali trasformazioni? Certamente a fronte della produzione sociale e cooperante, permanentemente attiva per il capitale e per la quale l’unica istanza possibile che si dà oggi è quella del reddito di esistenza, universale e incondizionato dal lavoro formalmente riconosciuto, quale dovrebbe essere il referente, la controparte di questi nuovi claims, rivendicati dalle nuove soggettività produttive emergenti? Chi a questo punto oltre il pubblico e privato dovrebbe erogare la prima forfettaria forma di riconoscimento nella produzione del comune socialmente prodotta? (prodotta evidentemente oltre la riappropriazione biopolitica che già si dà sull’abitare, sulla socializzazione dei saperi, negli snodi della socialità, nella riappropriazione di quei controdispositivi delle istituzioni del comune come molti spazi occupati e autogestiti di fatto sono).
Emerge quindi un’altra fondamentale apertura del ragionamento, quella del riconoscimento giuridico e costituzionale delle trasformazioni produttive e dei nuovi processi di valore. Avevamo già avuto modo di osservare quanto nella sussunzione della società nelle maglie dello stato postmoderno fosse in atto un processo di astrazione, scollamento, non coinvolgimento delle forze sociali nell’ordinamento giuridico18. Il neoliberalismo normativista è’ riuscito attraverso questa determinazione dello “Stato snello” a dare alle forze sociali e produttive il compito di scomparire come agenti, come “moover” del conflitto e quindi dello spazio di produzione del diritto19. O come da più parti diciamo l’altro tentativo continuo è quello di gestire attraverso la norma e il diritto l’eccedenza produttiva, immanente della soggettività negando al diritto stesso una capacità autoproduttiva verso unove forme di autogoverno20. In ogni caso “la visione postmoderna dello Stato e del diritto e’ fondata non sull’inclusione ma piuttosto sull’esclusione della differenza sociale”21 se ci confrontiamo tutti i giorni con una materialità del potere che, nel controllo dei territori e delle metropoli, diviene fondamentalmente poliziesco giacché pare essere quello l’unico modello di gestione del pubblico e dello stato come nuovo welfare. Nella crisi della rappresentanza politica, nei processi di ristrutturazione e svuotamento della protezione sociale che sottintendeva quella mediazione fordista tra capitale e lavoro, la governance oggi non ha problemi ad adottare nella dittatura dei mercati finanziari, contro le moltitudini europee strette nell’austerity, la polizia come unica forma dello stato, riattualizzando neoliberisticamente la sempre valida polizeiwissenschaft.
Oggi quindi, a fronte della nuova costituzione materiale attiva nell’economia immateriale, non abbiamo nessuna forma costituzionale corrispondente. Anzi l’ordinamento giuridico in Italia è l’esempio lampante di questa forte idiosincrasia; basti pensare al primo articolo della costituzione che nella sua retorica per le generazioni precarie ha solo il sapore di una burla che non fa più ridere nessuno.
Sandro Mezzadra, Per una politica costituente europea. ↩
Giuseppe Cocco e Bruno Cava, Vogliamo tutto! Le giornate di giugno in Brasile: la costituzione selvaggia della moltitudine lavoro metropolitano. ↩
Laboratorio Smaschieramenti, Il divenire queer del comune , “alfabeta2” n. 23, 2012, p. 44, qu. ↩
Francesca Bria, Rafael Di Maio, Franz Nachira e Federico Primosig, Working paper, Internet, Valore e soggettività. ↩
Maurizio Lazzarato, La fabbrica dell’uomo indebitato, Roma, 2012, pag. 105. ↩
Idem, pag. 88. ↩
Idem, pag. 119 ↩
Pierangelo Schiera, Lo stato moderno, origini e degenerazioni, Clueb, Bologna 2004, pag. 143 ↩
Karl Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, Vol. II, La Nuova Italia, Firenze 1997, pag. 80. ↩
Antonio Negri e Michael Hardt, Comune, Rizzoli, Milano, 2010, pag 158. ↩
Antonio Negri, Marx oltre Marx, Manifestolibri, Roma, 2003, pag. 89. ↩
Cfr. Karl Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, Vol. II, La Nuova Italia, Firenze 1997, pag. 93. ↩
Carlo Vercellone, La legge del valore nel passaggio dal capitalismo industriale al nuovo capitalismo. ↩
Francesca Bria, Rafael Di Maio, Franz Nachira e Federico Primosig, Working paper, Internet, Valore e soggettività ↩
Idem. ↩
Antonio Negri, Michael Hardt, Il Lavoro di Dioniso, Manifesto libri, Roma, pag. 93. ↩
Cfr. Antonio Negri, Il potere costituente, Sugarco edizioni, Varese 1992, pag. 145, ma anche Costantino Mortati, La costituzione in senso materiale, Giuffrè editore, Milano 1998, pag. 55. ↩
Per un proficuo approfondimento cfr. AA. VV. Il diritto del comune, (a.c. di Sandro Chignola), Ombre corte, Verona, 2022, pag. 93 (Autopoiesi del sistema, autonomia dell’eccedenza, di Adalgiso Amendola). ↩
Antonio Negri, Michael Hardt, Il Lavoro di Dioniso, Manifesto libri, Roma, pag. 93. ↩