Di AUGUSTO ILLUMINATI

Al termine del primo turno delle elezioni legislative in Francia Il Nupes (Nouvelle Union populaire écologique et sociale), coordinato da Jean-Luc Mélenchon, si attesta praticamente alla pari con le forze macroniane intorno al 26,5% (in altre stime avrebbe un leggero vantaggio).

Trattandosi di elezioni per collegi uninominali a due turni e in un Paese con forte tradizione notabiliare in questo tipo di consultazioni è impossibile tradurre i voti popolari in un calcolo dei seggi che effettivamente saranno attribuiti dopo il secondo turno. Gli esorcisti della stampa mainstream italiana e francese prevedono (cioè auspicano) un vantaggio in termini di seggi per Macron, che resterebbe però in ogni caso al di sotto della maggioranza assoluta che aveva agevolmente raccolto cinque anni fa.

Il Presidente avrebbe così vita difficile nel prossimo quinquennio, ma riuscirebbe a evitare la coabitazione con un primo ministro di sinistra. Così si augurano gli osservatori, che tuttavia hanno sottostimato Mélenchon sia per le presidenziali che per il primo turno delle legislative e adesso invocano uno sfaldamento della coalizione melenchoniana e il soccorso della destra dovunque si confrontino nel ballottaggio un candidato del Nupes e un macroniano, mentre non si fa cenno al barrage antifascista laddove siano in competizione un lepeninista e un candidato del Nupes.

Al contrario, Mélenchon ha dichiarato a caldo di aver conseguito una vittoria storica, che dovrebbe essere apprezzata da ogni «buon democratico e buon repubblicano», una vittoria che andrebbe completata nel secondo turno per garantire «l’avvenire della patria». Rassicurante e inclusivo, ma anche pratico.

L’astensione ha toccato il 53% e in 500 circoscrizioni Nupes è arrivata al ballottaggio: quindi i giochi sono ancora aperti ed è ovviamente fra gli astenuti al primo turno che Mélenchon cerca quei seggi che la stampa gli nega in nome dei passati e scontati equilibri. Il dato essenziale è «che, per la prima volta nella storia della V Repubblica, il partito presidenziale è stato sconfitto e non ha raccolto al primo colpo una maggioranza parlamentare sufficiente.

Si delinea così un’opportunità straordinaria per le nostre vite personali e il destino della patria comune» (correzione plurale del giacobinismo), «dilagate dunque, con le schede elettorali, per aprire la porta del futuro, sulla strada segnata dalle generazioni passate»! Un nuovo Front Populaire, stavolta per «un futuro di armonia fra gli umani e con la natura».

Non dimentichiamo che alle rivendicazioni sociali (fra cui, per noi impensabili, l’abbassamento dell’età pensionabile da 62 a 60 anni e l’innalzamento del salario minimo fino a 1500 euro netti, sempre su 35 ore settimanali) si aggiunge nel programma – grande novità rispetto al passato – una decisa propensione ecologica e l’uscita dal nucleare.

Non dimentichiamo soprattutto che non si tratta di un compitino elettorale, ma del suggello di un ciclo di lotte in cui erano associate fine del mondo e fine del mese, cioè salvezza del pianeta e tutela del livello di vita. Per questi due obiettivi lottavano i gilets jaunes e Nupes riprende quelle parole d’ordine e quelle forme di lotta.

Occorrono anni di mobilitazioni e di rottura con le organizzazioni politiche tradizionali (non con i sindacati, che piuttosto sono stati trascinati), anni di esperienza di democrazie dal basso per arrivare a una coalizione di sinistra riformista radicale con ragionevoli aspettative di successo – Mélenchon non è il populista sporco e cattivo dipinto da “Repubblica” ma neppure un bolscevico 2.0.

In Italia sarebbe possibile? Nella stessa giornata di così fausti auspici oltralpe, da noi (al netto della sempre più fievole retorica bellicista) si parla del flop referendario, si constata la lenta asfissia del 5 stelle (e del conseguente “campo largo” lettiano) alle elezioni amministrative, che preannunciano una netta vittoria del centro-destra alle imminenti politiche.

Del resto, cosa si meriterebbe l’italica sinistra reale, che non osa neppure proporre un salario minimo a nove euro (lordi) orari (un orario di 35 ore figuriamoci) e starnazza sulla legge Fornero sulle pensioni e sull’assegno unico per i figli (irrisorio rispetto al sistema di benefici demografici francesi), una sinistra che scalpita per essere più atlantica e guerrafondaia di tutti e vanta come successo europeo (in giorni di micidiale gestione lagardiana dell’inflazione e dello spread) la futuribile unificazione dei cavi di alimentazione di cellulari e tablet. Neppure sarebbe agevole individuare una figura di riferimento con una storia governativa e un carisma mediatico confrontabile con il caso francese.

La grande lezione francese (e in parte quella spagnola) è il rilancio di coalizioni di sinistra ravvivate da componenti in origine populiste su programmi fortemente connotati da rivendicazioni sociali, pacifiste e non ostili in via di principio all’Europa, con conseguente apertura di stagioni di lotta che plausibilmente andranno oltre il presente radicalismo socialdemocratico.

Lo sfaldamento attivo del vecchio assetto partitico (evidente in Francia, meno in Spagna) ha avuto un effetto liberatorio tanto quanto la crisi dell’ordine neoliberale e la contrazione regionale della globalizzazione. Su questo, purtroppo, non è possibile nessuna analogia con l’Italia, dove la disgregazione dei partiti è un evento passivo, entropico, non l’esito di una scissione del vivo dal morto.

Nel M5S il populismo si è deteriorato con effetti comici e, pur concedendogli le migliori intenzioni, il ruolo di Conte risulta opaco, le varie schegge di sinistra, residuati di una stagione poco gloriosa ma comunque irrecuperabile, galleggiano stabilmente intorno al 2,1%, il Pd non si schioda dal neoliberalismo e dall’atlantismo e per sopravvivere può solo sperare in un’improbabile legge proporzionale e magari in un gioco di rimpallo con Meloni. Essere pessimisti rischia di essere un eufemismo.

Naturalmente un consolidamento al secondo turno del già notevole successo politico del primo potrebbe produrre effetti europei, soprattutto “mediterranei” che coinvolgerebbero pure l’Italia e nella stessa direzione potrebbero operare gli esiti, sempre più estesi e devastanti, del conflitto ucraino e della connessa recessione economica. Ci ritorneremo dopo domenica prossima.

Questo articolo è stato pubblicato su DinamoPress il 14 giugno 2022. Immagine di copertina di radiowood da Flickr.

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