Di MARCO BASCETTA
Come e se si sbloccherà l’impasse parlamentare francese dopo gli inattesi risultati delle elezioni del 7 di luglio, in che modo e con chi si configurerà la coabitazione con la presidenza, con quali rischi per il futuro, con quali compromessi e riflessi sull’opinione pubblica? Sono questioni decisive che tuttavia resteranno per un bel pezzo senza risposta. Ma, nell’immediato, il voto francese rappresenta un segnale ben preciso: conferma e rafforza qualcosa che già con le elezioni europee si era lasciato intravvedere. Nonostante un’indubbia avanzata delle forze nazionaliste e xenofobe, e in buona misura proprio per questo, la paura della destra più radicale e della sua marcia verso il potere in Europa si è diffusa.
E si è intensificata, facendosi in più occasioni maggioranza. Malgrado lunghe e laboriose strategie di ripulitura, umori neri e nostalgie, riaffiorano alla minima occasione nei partiti dell’estrema destra e, più in generale, l’avventura nazionalista comincia suscitare qualche preoccupazione.
Al contrario le sinistre non fanno più paura a nessuno, o quasi. Sono passati i tempi nei quali Berlusconi vedeva comunisti dovunque, o meglio fingeva di vederli per rifilare un babau all’infantilismo che ben sapeva stimolare tra i suoi potenziali elettori. Semmai il quadro appare oggi rovesciato. Le sinistre non è facile vederle quando perdono, ma soprattutto quando vincono. Difficile scovare qualcosa di sinistra nel Labour di Keir Starmer e altrettanto arduo dalle parti di Olaf Scholz e dei Grünen tedeschi o dei socialdemocratici danesi.
In Francia le sinistre all’opposizione si sono viste di più (anche in occasione di partecipate lotte sociali), ma soprattutto nel momento del massimo pericolo, di fronte al quale hanno tempestivamente edificato un argine decisivo. Un argine tuttavia non è ancora un’architettura politica, è un’opera importante ma piuttosto semplice, con una sola ed unica funzione: respingere, trattenere. Cambiare lo stato delle cose è un altro paio di maniche.
Quello che nel corso degli anni ha determinato il lungo declino delle forze di sinistra in tutta Europa non è certo la paura di un inesistente radicalismo, ma piuttosto la generale delusione per la timidezza, la subalternità al cosiddetto “pensiero unico” e l’inefficacia politica e sociale che ne è conseguita. E che a un certo punto si è trasformata in seconda natura, fregiandosi del titolo di “responsabilità”, quella che ha spinto, in questo caso comprensibilmente, un gran numero di elettori di sinistra a votare per gli uomini di Macron, compresi macellai sociali e questurini come l’indigeribile Darmanin, pur di sbarrare il passo al Rassemblement national. Molti di meno gli elettori macroniani e gaullisti che hanno fatto il sacrificio di votare a sinistra per la medesima ragione. La cortesia è stata ripagata in minima misura. Fino alla faccia tosta di rivendicare il successo di una presunta scommessa strategica del presidente che, per la verità, ha quasi dimezzato la sua forza parlamentare. Probabilmente il peso della variegata opinione di sinistra è perfino maggiore di quello che si traduce nei seggi assegnati al Nuovo fronte popolare.
E resta il fatto che il paese, come già anticipato dai grandi e tenaci movimenti di protesta che si sono susseguiti in Francia negli ultimi anni e dal vasto appoggio che hanno ottenuto nell’opinione pubblica, non ne può più di Emmanuel Macron, della sua arroganza e del suo stile di governo. Un umore diffuso che peserà non poco sulle precarie condizioni in cui si trascineranno gli ultimi anni del suo mandato.
Converrà però non dimenticare che la minaccia di una destra agguerrita all’arrembaggio del potere non si è affatto estinta e che l’aggregazione di una parte dei gaullisti al Rassemblement national resta un segnale decisamente preoccupante riguardo alla tenuta dell’antifascismo borghese. Inoltre i voti confluiti nell’estrema destra sono comunque una marea. Se lo spaventapasseri comunista è finito in soffitta, ce ne è un altro pronto all’uso e dimostratosi in più occasioni di grande efficacia: i migranti e la popolazione francese di origine extraeuropea, in particolare quella araba e di fede musulmana, che le destre demonizzano come fattore di minaccia su diversi fronti: culturali, economici, sociali. Qui, non si può negarlo, la paura esiste ed è pronta a essere mobilitata. Del resto, su questo terreno, le risposte delle sinistre di governo sono state ovunque fiacche, reticenti quando non anticipatrici o imitative delle politiche adottate dai governi della destra. La sfida più difficile sta qui, dove perfino il più classico repertorio repubblicano finisce col contraddirsi ripetutamente.
Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il 9 luglio 2024.