di SANDRO MEZZADRA & TONI NEGRI. Mentre prosegue il duro scontro tra il governo greco, le istituzioni europee e il Fondo Monetario Internazionale, le elezioni spagnole del 24 maggio hanno aperto una nuova breccia nell’“estremismo di centro” che ha governato gli anni della crisi in Europa. A Madrid, a Barcellona, in decine di altre città di piccola o media grandezza, peculiari coalizioni di movimenti sociali urbani, esperienze di associazionismo e forze politiche hanno travolto gli equilibri istituzionali esistenti e hanno fatto irruzione all’interno dei governi municipali con programmi nati nel corso delle lotte, a partire dal 15M. Il ruolo di Podemos è stato importante all’interno di molte di queste coalizioni, che hanno tuttavia tratto la propria forza dal radicamento in dinamiche di mobilitazione e costruzione quotidiana, irriducibili alla forma partito. È su questa base che dovranno ora essere sperimentati processi innovativi di governo municipale, di fondamentale importanza anche in vista delle elezioni politiche di novembre. Questa rottura non è simbolica ma istituzionale: la costituzione materiale è messa in discussione, quella spagnola (e greca) e quella europea.
Grecia e Spagna rappresentano oggi i due poli attorno a cui, in Europa, si è attivato un processo di profondo rinnovamento della politica radicale: inedite combinazioni e articolazioni tra il piano orizzontale delle lotte e il piano verticale dell’organizzazione, del programma e del governo stanno determinando un accumulo di esperienze il cui rilievo va ben al di là dei due contesti nazionali direttamente coinvolti. Conosciamo bene non solo le differenze tra Syriza e Podemos, l’una nata da una costola del movimento operaio, l’altro direttamente dalle lotte sociali contro la crisi, ma anche quelle tra la composizione dei movimenti e lo sviluppo delle lotte in Grecia e in Spagna. Lungi dall’assumere l’uno o l’altro partito come “modello”, ci interessa prima di tutto valorizzare il largo terreno di sperimentazione e costruzione politica che la loro azione ha contribuito ad aprire all’interno della crisi europea. Perché questo è soprattutto importante: queste sono lotte ed esperienze di governo che agiscono a livello europeo. Il nervosismo delle élites eurocratiche lo mostra con evidenza, e tanto più lo dimostrano i feroci tentativi di isolamento e repressione.
Viste dall’Italia, del resto, Grecia e Spagna appaiono parimenti distanti. Non esiste in Italia un partito paragonabile a Syriza, capace di rinnovare dall’interno delle lotte sociali la storia politica della sinistra comunista. E non abbiamo vissuto una rottura analoga a quella prodotta dall’occupazione delle piazze spagnole nel 2011, che ha aperto lo spazio per l’irruzione di una forza politica come Podemos. La stessa crisi politica del 2011, con la formazione del governo Monti sotto la tutela della BCE, ha trovato nel PD di Renzi un sostegno capace non tanto di produrre una stabilizzazione dall’interno del quadro istituzionale esistente, quanto – almeno provvisoriamente – di neutralizzare le resistenze dei movimenti. E tuttavia anche in Italia, tanto più per la forma che ha assunto questa precaria stabilizzazione, è necessario creare le condizioni per una sperimentazione politica all’altezza delle sfide poste da Syriza e da Podemos. Quel che è necessario, crediamo, deve essere reso possibile.
Partiamo da un’analisi realistica della situazione italiana. Se è mancata in questi anni una loro convergenza politica, una loro articolazione espansiva, non sono certo mancate le lotte. Ne nominiamo alcune, che ci sembrano particolarmente importanti. In alcune grandi realtà metropolitane, le lotte per la casa hanno assunto forme e intensità per molti versi inedite, anche per via del protagonismo dei migranti. Collegandosi alle esperienze dei centri sociali e a un ricco tessuto associativo, queste lotte hanno riqualificato il fondamentale tema del “diritto alla città”. Il grande e variegato movimento di rifiuto della riforma Renzi-Giannini che sta attraversando il mondo della scuola pone le basi per rilanciare l’iniziativa sul terreno dell’istruzione e dei saperi, ricollegandosi alle mobilitazioni all’interno delle Università tra il 2008 e il 2010. Le lotte operaie non cessano poi di essere una caratteristica fondamentale della situazione italiana, sia quando si sviluppano all’interno del tradizionale quadro sindacale, sia quando (come nel caso dei lavoratori migranti della logistica) l’autonomia di classe si esprime attraverso il sindacalismo di base. Persistenti lotte ambientali, dalla Val di Susa all’Abruzzo, dalla “terra dei fuochi” al movimento NO MUOS in Sicilia, si incrociano infine con la continua produzione di nuove forme di cooperazione, con eterogenee pratiche sociali che reinventano il significato stesso dei territori: il movimento che in questi anni si è battuto per i “beni comuni” trova qui uno dei suoi terreni materiali di verifica ed espressione.
Molte soggettività organizzate si muovono all’interno di queste lotte. Un’esperienza come quella dello “sciopero sociale”, articolata in “laboratori territoriali”, ci pare particolarmente importante in quanto tenta di costruire un piano di convergenza tra alcune delle lotte che abbiamo menzionato, a partire dal protagonismo di figure del lavoro – precario, “autonomo”, cognitivo – che restano ai margini dell’azione sindacale. La rivendicazione e la mobilitazione attorno al tema del reddito sono qui assolutamente centrali. Lo stesso Maurizio Landini, del resto, nel presentare la proposta di “coalizione sociale” della FIOM, ha spesso insistito sulla crisi della forma tradizionale del sindacato, sulla sua natura necessariamente “parziale”, riconoscendo dunque che la composizione e la natura del lavoro contemporaneo impongono l’invenzione di nuove forme di organizzazione e di lotta.
A noi pare che la “coalizione sociale” possa essere una proposta interessante nella misura in cui, lungi dal ridursi a una riedizione di precedenti esperienze (dai “social forum” a “uniti contro la crisi”), saprà porre al centro del dibattito e dell’azione un elemento di ricomposizione fra operai e nuove figure del lavoro sociale, nella costruzione di contropoteri. È una composizione che si definisce come trasversale rispetto all’insieme delle lotte che abbiamo ricordato. A partire da qui, da questo elemento essenziale di innovazione e di “eccedenza”, la “coalizione sociale” può diventare un essenziale piano di confluenza delle lotte e di elaborazione programmatica.
Il quadro italiano è del resto segnato da processi di frammentazione della sinistra politica, ulteriormente accentuati dalle convulsioni della “sinistra PD”. È evidente come questa frammentazione, che si accompagna a ricorrenti manie di protagonismo, rappresenti oggi un problema assai più che una risorsa. È bene dunque che il percorso della “coalizione sociale” prenda avvio segnando una distanza dalla sinistra politica e assumendo come suo marchio di fabbrica l’autonomia del processo organizzativo (sia nelle forme che nei contenuti). Siamo però convinti che, se quel percorso si svilupperà nei modi che auspichiamo, sarà molto presto felicemente costretto a fare i conti con il nodo che abbiamo indicato parlando della necessità di una sperimentazione politica all’altezza delle sfide poste da Syriza e Podemos. E questa necessità non potrà essere affrontata in modo produttivo se non affermando, come essenziale principio di metodo, l’autonomia costituente dei soggetti coinvolti e la costruzione dal basso di un progetto che non può subire condizionamenti o veti da storie politiche preesistenti. Solo così potrà prodursi una effettiva rottura della costituzione materiale, della corruzione dominante, della volgarità culturale crescente del nostro povero Paese, e aprirsi uno spazio alla ricchezza di intelligenza e di lotte che ha sempre caratterizzato le storie plurali dei suoi movimenti di resistenza, insubordinazione e rivolta.
Vi è urgenza di porre questo problema. I tempi della politica lo impongono. E non pensiamo soltanto a una possibile anticipazione delle scadenze elettorali italiane. Ancora più rilevante ci pare l’evidente accelerazione della crisi politica europea, in primo luogo sotto la pressione greca e spagnola, ma anche di fronte all’esito delle elezioni britanniche e polacche, che in modi diversi alludono a scenari di scomposizione dell’Unione Europea. È prevedibile che i prossimi mesi siano segnati da nuove iniziative della Commissione sul terreno della riforma della governance europea, nel tentativo di centralizzare ulteriormente gli strumenti di controllo del sistema bancario, dei mercati di capitali, di gestione dei bilanci e delle politiche fiscali, ma soprattutto di porre le basi per interventi europei sui “costi sociali” della crisi – in primo luogo sulla disoccupazione.
Lo scontro attorno a questa riforma della governance europea si determinerà tra l’altro sotto l’ipoteca della crescita in molti Paesi di una nuova destra, estranea alla matrice del Partito popolare europeo e unificata dalla proposta di nuovi nazionalismi autoritari. Ma quello scontro si intreccerà anche con una rapida evoluzione degli scenari economici, in cui le prospettive di “ripresa” si basano su un consolidamento di alcuni dati di fondo che si sono affermati negli anni della crisi: intensificazione della precarietà e della mobilità, gestione della disoccupazione secondo la logica dell’“occupabilità”, ridimensionamento dei sistemi di welfare, compressione salariale, nuove povertà. Su questo terreno siamo attesi.
In questa specifica congiuntura politica ed economica, l’organizzazione e la diffusione orizzontale delle lotte sono fondamentali. Altrettanto importante, tuttavia, è la costruzione di assi verticali, di nuovi dispositivi politici che consentano di prolungare l’azione delle lotte all’interno degli stessi assetti istituzionali – come elemento di una loro permanente destabilizzazione e come base per un’ulteriore moltiplicazione dell’iniziativa autonoma. Costruire questi nuovi dispositivi politici andando oltre i modelli consolidati di rapporto tra lotte, movimenti e partiti, andando oltre cioè la logica della “rappresentanza” delle lotte da parte dei partiti, è un compito cruciale in questa fase. Anche in Italia è il momento di lavorarci.
Gli ostacoli a questa iniziativa sono molti. Fra i piedi abbiamo da un lato il corpaccio putrescente di organizzazioni una volta gloriose; e dall’altro la disperata e disperante illusione di ripetere esperienze – anch’esse gloriose – di un passato di lotte. Una risposta efficace alla crisi, che spazzi via questo vecchiume, è necessaria e possibile. Necessaria: dinanzi all’approfondirsi dell’attacco politico da parte degli eurocrati e del capitalismo europeo, e al loro uso politico della crisi sociale, la risposta non può percorrere altra via che quella di ricomporre le lotte sociali in un dispositivo politico. Solo così si resiste e, come mostra Syriza e Podemos, si può vincere. Possibile: l’incardinarsi delle lotte sociali in quelle operaie ha sempre rappresentato la singolarità italiana o, se volete, la differenza di una ormai lunga esperienza di autonomia delle lotte – che ci è entrata nel sangue.