Di BENEDETTO VECCHI.
Il gruppo Ippolita è una delle poche esperienze italiane che sa tenere assieme attivismo, riflessione teorica e una indiscussa competenza tecnica attorno alle macchine informatiche. Sono anni che produce materiali di «autodifesa digitale» (il che fare per sottrarsi alle forme di controllo dentro e fuori la Rete), partecipando alle esperienze delle sfaccettate comunità hacker e producendo riflessione teorica all’interno di una prospettiva libertaria e multidisciplinare.
RILEVANTI sono state le sue analisi su Google, Facebook, la polarità e opposizione tra software open e free, sull’anonimato, sui tentativi, finora falliti per la resistenza degli attivisti e per consuetudini diffuse degli «internauti», di trasformare la Rete in una «tecnologia del dominio».
Rigettando ogni tentazione «primivitista» e antitecnologica, Ippolita sostiene la posizione dello stare dentro la Rete – con competenza e consapevolezza – per meglio essere contro il potere costituito. Ora la casa editrice Milieu ha riunito alcuni scritti «scelti» di Ippolita, alcuni dei quali già in precedenza pubblicati in varie forme, più uno inedito. Il titolo è programmatico, come programmatiche sono le riflessioni di Ippolita: Etica hacker e anarco-capitalismo (pp. 104, euro 8,90).
L’ETICA HACKER può essere un potente antidoto all’ideologia anarco-capitalista, anche se non è taciuto il ribaltamento di alcune attitudini e pratiche hacker, compiuto da imprese capitalistiche nel corso degli anni. La critica al sistema, alla burocrazia delle grandi imprese che frena l’innovazione, elevata a valore in sé e per sé, la pratica della condivisione dei saperi e delle competenze come leve di una nuova organizzazione del lavoro che prende congedo definitivamente da quella rigida di tipo taylorista: sono questi gli elementi dell’anarco-capitalismo, ai quali si aggiunge una diffidenza verso qualsiasi forma di regolamentazione statale degli affari. E una indifferenza se non ostilità, da parte degli anarco-capitalisti di Silicon Valley e non solo, al processo di balcanizzazione della Rete alimentato da forme striscianti di censura e di «nazionalizzazione» delle pratiche discorsive, economiche, produttive nel web.
Per Ippolita l’anarco-capitalismo è un affare serio, da studiare attentamente nelle sue evoluzioni e nelle manifestazione del suo potere sociale e politico, perché contende all’etica hacker l’egemonia culturale nella Rete. Sia ben chiaro, Ippolita è un gruppo libertario. È refrattario cioè al lessico gramsciano o marxiano, ma ha l’indubbia capacità di mettere al lavoro griglie analitiche e teoriche che aiutano a capire le dinamiche della Rete più di molti ponderosi trattati marxisti del capitalismo digitale.
L’antropologia di David Graeber, la filosofia di Gilbert Simondon, Gilles Deleuze e Michel Foucalt fanno sicuramente parte della costellazione teorica di Ippolita, che tuttavia nell’analisi dell’anarco-capitalismo privilegia l’esperienza sul campo, l’internità alle comunità hacker. Su questo crinale emerge l’interesse per la sua riflessione, ma anche differenziazioni che hanno spiegazioni su quello che è diventata la Rete.
LA GRANDE trasformazione annunciata dal web si è infatti consumata. L’anarco-capitalismo è stato egemone, ma conosce una crisi per l’entrata in campo di altri protagonisti che vedono invece nello Stato nazionale un forte impulso all’innovazione, come testimoniano i progetti di innovazione maturati in India, Cina, Israele e Stati Uniti, cioè i paesi che più di altri stanno operando per il consolidamento di quello che viene ormai chiamato «capitalismo della sorveglianza».
Allo stesso tempo i processi di produzione, lavorativi e di valorizzazione capitalistica sono diventati una «totalità» sempre in divenire, capace di creare quelle interdipendenze tra produzione, distribuzione e commercio, che rendono urgente, almeno per chi scrive, di riattraversare l’opera marxiana, a partire dai concetti di lavoro produttivo, improduttivo, di capitale finanziario.
UN ATTRAVERSAMENTO indispensabile per cogliere i possibili punti di rottura dentro e fuori la Rete. E per mettere in campo pratiche sociali e politiche adeguate a un «medium» – la Rete – divenuto universale. Prospettiva forse non coincidente con quella di Ippolita, ma che hanno punti in comune, a partire da quello stare dentro per meglio essere contro.
Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il 27 aprile 2019.