Di ANDREA COLOMBO.
Negli anni ’90 del secolo scorso, tra quelli che non molto prima avevano dato vita al più forte e agguerrito movimento di rivolta nell’occidente postbellico, era comune ripetersi l’un l’altro: «Non possiamo permettere che la storia di quel movimento, la nostra storia, venga raccontata solo dagli atti processuali». Da allora le cose sono cambiate: un florilegio di volumi ha riempito gli scaffali, quasi sempre confondendo invece di chiarire. Al punto, a volte, da far quasi rimpiangere quei vituperati atti processuali.
LE ECCEZIONI non mancano e fortunatamente sono in crescita. La principale è la casa editrice DeriveApprodi che da anni, mattone dopo mattone, volume dopo volume, sta restituendo la realtà di quel movimento, con tutte le sue contraddizioni, le sue distinzioni interne, le diverse interpretazioni della fase storica elaborate nel vivo dell’azione o riviste con lo sguardo a ritroso dell’oggi. A volte il compito di ricostruire quei fatti è lasciato ai protagonisti, in altri casi a storici che iniziano a misurarsi con vicende che datano ormai quasi mezzo secolo senza più adoperare il passato come mazza nella lotta politica attuale. Gli ultimi due volumi pubblicati dalla meritoria casa editrice centrano l’obiettivo su due momenti chiave: l’esplosione delle lotte operaie autonome soprattutto alla Fiat Mirafiori ma in realtà in tutta Torino nella primavera-estate del 1969 e l’esperienza dei Collettivi veneti per il potere operaio, una delle principali esperienze dell’Autonomia italiana negli anni ’70. Il primo, 1969. L’assemblea operai-studenti. Una storia dell’autunno caldo (pp. 173, euro 16) è firmato dallo storico Alberto Pantaloni, che per DeriveApprodi aveva già pubblicato un volume sulla dissoluzione di Lotta continua e la nascita di Prima linea a Torino. Il secondo è il VI volume nella serie Gli autonomi. L’asse del libro, che contiene anche interviste e documenti dei Collettivi, è un lungo dialogo tra i fratelli Giacomo e Piero Despali, che di quell’esperienza, centrale soprattutto a Padova, sono stati protagonisti assoluti. Sia il faccia a faccia fra i Despali che l’intero volume sono curati da Mimmo Sersante, anche lui direttamente coinvolto nei Collettivi.
SULLA LOTTA SPONTANEA degli operai Fiat nella primavera ’60, che colse del tutto di sorpresa sia l’azienda che i sindacati, sono oramai disponibili diversi testi, complice anche il recente cinquantenario dell’«autunno caldo». Pantaloni, pur soffermandosi con minuzia maggiore del solito sulle singole lotte, reparto per reparto e officina per officina, di quella stagione, ricostruisce quei mesi da una prospettiva specifica: il ruolo degli «studenti» come venivano definiti, generalizzando, i militanti che, prima da Torino, poi da molte città italiane, affluirono di fronte ai cancelli di Mirafiori, sino a dar vita all’Assemblea operai-studenti, per poi proseguire con la scissione da cui nacquero, in autunno, Lotta continua e Potere operaio
IL RUOLO di quei militanti fu importantissimo. Non tanto per la rivendicazione essenziale che fece saltare l’intera strategia sia dell’azienda che dei sindacati, aumenti salariali sulla paga base uguali per tutti: quella, dimostra Pantaloni, veniva direttamente dagli operai. Ma per la capacità di garantire coordinamento, comunicazione, appoggio prezioso e poi per le forme conflittuali spesso riprese direttamente da quelle nelle università. L’autore, inoltre, ha il merito di rivalutare il ruolo di alcune aree militanti solitamente dimenticate: dunque non solo il Potere operaio toscano, guidato da Sofri, e il gruppo del giornale La Classe, che fu senza dubbio la presenza più importante, ma anche il Fronte della gioventù lavoratrice di Romolo Gobbi, il Potere operaio di Torino e specialmente il Psiup, nato dalla scissione del Psi nel 1964.
IL LIBRO offre almeno uno scorcio sul dibattito nel Movimento studentesco torinese che precedette l’intervento ai cancelli della fabbrica, dimostrando che non si trattò affatto di un semplice «spostamento» di fronte a Mirafiori con i volantini in tasca ma di un dibattito approfondito, che vedeva fronteggiarsi ipotesi diverse. Più denso il libro firmato da Giacomo e Piero Despali. I padovani, provenienti da Potere operaio, sono tra i primi a capire, a metà decennio, che la struttura di classe è radicalmente e definitivamente mutata e l’operaio-massa, che aveva vissuto la sua gloriosa epopea a partire dalla primavera 1969 non è più la figura in grado di essere perno, collante e prima linea dell’intero schieramento di classe. Si mettono sulle tracce dell’operaio-sociale, ricorda Piero Despali, ancora prima che Negri lo battezzasse come tale. Insistono con il lavoro nel territorio e anche nelle fabbriche, ma individuano negli studenti una figura sociale tutta diversa da quella che pochi anni prima aveva occupato le università di mezzo mondo. «L’università è stata la nostra Mirafiori e lo studente il nostro Cipputi», dice Piero.
SUL RIFIUTO DEL LAVORO implicito nella «nuova» classe operaia composta dall’intellettualità di massa ed entrata in campo allora, Giacomo Despali, di pochi anni più grande, è scettico: «È il padrone che ha creato questa figura. Nessuno vuole fare il precario». Il fratello interlocutore replica con una distinzione sottile tra la composizione tecnica della realtà di classe allora emergente e oggi universalmente diffusa, che è in effetti quella che descrive Giacomo Despali, e quella politica. Non si tratta di un discorso sul passato ma sul presente e sul futuro. Sulla profondità della frattura con il passato determinatasi in quel decennio, molto più radicale di quelle che si erano date in precedenza, come la sostituzione nella prima linea dello scontro dell’operaio professionale e sindacalizzato con quello dequalificato e di linea di cui parla il libro di Pantaloni.
COME È TEMA che attiene al presente, sia pure sviluppato raccontando il passato, quello delle esigenze organizzative che la struttura di classe mutata richiede: un enigma che a quasi 50 anni di distanza non è stato né risolto né ancora davvero affrontato dai movimenti di rivolta. I risultati che i Collettivi raggiungono nei ’70 derivano, e allo stesso tempo implicano, una forte valenza territoriale, quasi «localistica», eredità che verrà poi raccolta a Padova dai movimenti degli anni ’90 e 2000 che dai Collettivi ripresero moltissimo. La struttura alla quale pensano i padovani, e che provano a edificare, è dunque quella di un «patto federativo tra realtà organizzate e radicate sul piano territoriale», in concreto con il Collettivo di via dei Volsci a Roma e con Rosso a Milano. Impossibile dire cosa sarebbe stato di quel tentativo senza la repressione abbattutasi su Padova il 7 aprile 1979, che colpì tra gli altri anche gli autori di questo libro. Ma di certo l’interrogativo su quale struttura sia adeguata alla composizione di classe che negli anni ’70 vide l’aurora è inevaso.
È la differenza, eloquente, tra le due vicende raccontate in questi due libri. Quella dell’Assemblea operai-studenti del 1969 pone interrogativi agli storici. Quella dei Collettivi veneti degli anni ’70 a chiunque voglia fare politica sovversiva, in Italia e nel mondo, oggi.
Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il 13 marzo 2020.