del COLLETTIVO EURONOMADE.
Sembra evidente che la svolta/non svolta di Renzi sui migranti, dal decreto-Minniti (apertura di nuovi CIE e facilitazione delle espulsioni dei migranti) all’assunzione senza più velature né giri di parole dei capisaldi della peggiore destra, a partire dall'”aiutiamoli a casa loro”, fino al rinvio sine die della legge sullo Ius soli, sia iniziata una campagna elettorale destinata a durare un anno. Una campagna elettorale condotta dal PD sulla rincorsa a destra dell’elettorato cosiddetto “moderato” e del M5S – che sulle migrazioni ha da sempre posizioni razziste, indistinguibili da Salvini, Toti & Co. e più volte ribadite; che comporterà programmi e promesse sempre più indirizzate alla pancia populista e xenofoba (anti-migranti e anti-Europa al tempo stesso) di un corpo elettorale sempre più ristretto – una minoranza votante attratta più dalle leadership e dai “salvatori della patria” che dalle concrete questioni, sullo schema francese che ha portato alla vittoria elettorale di Macron (con una rappresentanza reale del 15-20% dell’elettorato). Ma soprattutto, la proliferazione di frame, slogan, passioni reattive, prese di parola e di posizione sempre più reazionarie e rancorose – il cui effetto permarrà anche dopo l’esaurirsi delle politiche promesse.
La “svolta” del PD sui migranti è solo l’ultimo, in ordine di tempo, atto di una politica cinica e miope, che per un verso rifiuta di fare i conti col fenomeno epocale delle migrazioni su scala globale – che, va ribadito, interessano l’Italia per una minima percentuale – messo in moto dallo spostamento della produzione di ricchezza, materiale e immateriale, in una ristretta parte del globo, e dal ritorno della guerra come presenza permanente nella transizione fra il passato equilibrio USA-URSS e la nascita di nuovi equilibri a composizione variabile e metastabile ancora difficili da definire. In altri termini, gli attuali migranti seguono, come sempre i migranti hanno fatto, le strade tracciate dalla produzione e circolazione di merci e capitali. Per altro verso, la stessa politica asseconda, col suo “non fare” e con le gestioni emergenziali degli approdi, fenomeni di sfruttamento della forza-lavoro migrante che ormai sono di pubblico dominio – dallo sfruttamento “legale” della manodopera straniera nei campi di raccolta, a quello “illegale” delle diverse forme di devianza che producono reddito e plusvalore per le organizzazioni cosiddette “criminali”, il cui intreccio con l’economia cosiddetta “legale” appare sempre più indistinguibile.
La gestione sicuritaria ed emergenziale dell’immigrazione è del resto la principale, ma non certo l’unica faccia di una governance improntata a logiche del sorvegliare e punire (con eventuali sfumature di decoro urbano). Ne sono un esempio l’altro decreto-Minniti “per la tutela della sicurezza delle città”; e anche, la surreale vicenda del decreto-vaccini, che ridisegna il campo della cura medica secondo una logica di scontro frontale fra i difensori del decreto-Lorenzin, che trasforma i genitori in potenziali inquisiti e reintroduce un idea di malattia come destino ineluttabile cui il paziente deve sottomettersi; e il nascente “partito No-Vax”, guidato da improbabili figure quali Povia, Diego Fusaro, e il governo leghista del Veneto (l’unica regione a non contemplare l’obbligo di vaccino: ma anche, l’unica ad aver aperto le strutture della sanità pubblica ai praticoni del “metodo Stamina”), fautori di un complottismo paranoide nel quale le reali dimensioni di valorizzazione e sfruttamento della cura, i concreti casi di corruzione della sanità da parte di ben precise aziende farmaceutiche svapora nell’indistinta galassia di una Big Pharma che, come analoghe parole-baule (“le banche”, “la casta”, ecc.) non dice alcunché di concreto per dire troppo in astratto. Nel mezzo, schiacciata dagli opposti – questi sì! – estremismi, quell’idea di cura come umanizzazione della malattia, come aumento della consapevolezza e del potere contrattuale (il cosiddetto empowerment) del paziente, di presa in carico e di cura come relazione – ricorda niente il nome di Franco Basaglia? – che è stata prodotta dalle lotte degli anni passati. E poco importa se altri settori della cronaca, dalla violenza omicida sulle donne all’aumento della mortalità sulle strade, dimostrano, dati alla mano, il fallimento annunciato di leggi improntate alla mera repressione – che però “rispondono alla domanda di sicurezza”, inseguendo i sondaggi e i titoli dei giornali, e non i reali problemi e bisogni. Tra i quali, ci ricorda l’ISTAT con la Nota sulla povertà in Italia dello scorso 13 luglio, l’allargamento della forbice sociale e l’aumento dei tassi di degrado e di impoverimento delle famiglie (con particolare evidenza nelle famiglie in cui sono presenti migranti) non nonostante, ma proprio perché il PIL cresce – grazie alla vampirizzazione delle risorse dal basso all’alto, in direzione di un «Medioevo dell’equità sociale» (Marco Revelli).
Nel frattempo, ci sono state elezioni amministrative, dove qualche buona eccezione – ad esempio Padova – ha ribadito che, al Nord come al Sud, la validità di un metodo municipalista non aggirabile né eludibile. In sua assenza, la tendenza prevalente è un’alternativa giocata non fra “destra” e “sinistra”, ma fra diversi e convergenti forme di ulteriore cessione del pubblico – del comune, sarebbe meglio dire – al privato (e anche qui il M5S, vedi Parma, non fa eccezione, anzi).
E invece tocca assistere all’ennesimo tentativo di creare un cartello elettorale fra i progressisti, o sedicenti casi, col battesimo di neonate formazioni politiche e improbabili proposte di alleanze. Deve pur significare qualcosa, se uno di questi neonati gruppi politici assume per nome il titolo di una canzone (Insieme) i cui primi versi, scritti da un cantautore che amava planare “sopra boschi di braccia tese”, recitano “Io non ti conosco / io non so chi sei / so che hai cancellato / con un gesto i sogni miei. Così come deve significare qualcosa, se a un forum “per una lista per la nuova sinistra” la cosa più di sinistra è parsa a molti la maglietta dei Ramones (cantori di “quel Blitzkrieg bop che infiniti lutti addusse ai tapinelli del punk“) del segretario di Rifondazione – che ci auguriamo di vedere presto vestito con più radicali t-shirt. Ma l’ipotesi di un fronte unico «da Boccia a Che Guevara», per dirla con Pippo Civati accomunato solo dal brand No Renzi e vincolato alla necessità delle leadership come garanti del «raccordo indispensabile con le armi della politica, con i suoi tempi e anche ritualità» (come sostiene Michele Prospero) rischierebbe, come è stato peraltro sottolineato con toni più o meno sfumati da alcuni dei partecipanti al forum (Maurizio Acerbo, Anna Falcone, e in altra sede lo stesso Tomaso Montanari), di attuare un improbabile accatastamento degli inventori dei Centri di Permanenza Temporanea e dei responsabili della guerra illegittima e illegale contro la Serbia del 1999, degli agevolatori assenteisti della Buona Scuola e dei sostenitori del SI al referendum costituzionale, degli esecutori dei diktat epistolari della BCE sotto il governo Monti e dei fiancheggiatori del waterboarding mentale contro la Grecia e Tsipras nel 2015, degli autori di leggi contro l’ambiente e dei fedifraghi delle politiche ambientali – vedi il caso ILVA. Se questi sono parte inderogabile della “nuova sinistra”, allora siamo finiti in un qualche momento nel Sottosopra di Stranger Things, senza essercene accorti.
Eppure basterebbe rovesciare il Sottosopra, per avere non un programma elettorale, ma un’agenda delle urgenze e delle scadenze di lotta imprescindibili: migranti e diritto di asilo e libera circolazione di ogni essere umano; opposizione senza se e senza ma alla guerra come strumento di redifinizione dei rapporti fra moltitudini, governi e tendenze imperiali; diritto al sapere e alla conoscenza per tutt@, senza limiti di accesso e soglie, glass floors e sbarramenti visibili e non; opposizione alle politiche neo-liberali di distruzione del welfare; processo costituente dal basso, per una costituzione del comune; dimensione europea delle lotte e delle visioni politiche; priorità politiche dettate dalle lotte – e dunque, qui e ora, Non Una di Meno, che si sta dimostrando il nodo attorno al quale si sta configurando la questione del welfare come riproduzione biopolitica; municipalismo, diritto alla casa, lotta alla precarizzazione nel settore logistico e in generale nel mondo del lavoro, difesa dell’ambiente come bene del comune non comprimibile nella falsa alternativa salute/lavoro.
Un’agenda che non può certo avere come scadenza una data elettorale, ma che deve distendersi sul terreno e il ritmo delle lotte – alcune delle quali hanno peraltro la prospettiva, e in alcuni casi la capacità, di una proposta municipalista, creatrice di nuove forme giuridiche di gestione dei beni pubblici, che non casualmente spaventa taluni capetti dell’autoproclamata sinistra “nuova” ben più di quel PD col quale, una volta concessa una simbolica derenzizzazione, sono disposti ad associarsi.
Vasto programma, non c’è dubbio. Tanto quanto lo erano quelli di esperienze di lotta che, in altri paesi europei, hanno saputo irrobustirsi e acquisire peso politico e contrattuale, anche sul piano istituzionale. Ma alcune priorità sono dettate dal semplice alternarsi degli eventi e delle lotte: e fra queste, quella migrante, con la moltiplicazione di esperienze di resistenza – da Ventimiglia alle forme di intervento nelle realtà dello sfruttamento agricolo, all’invenzione di forme di accoglienza – che le recenti assemblee tematiche di Genova e Milano hanno riproposto, se mai ce ne fosse stato bisogno, all’attenzione dei movimenti. La questione migrante implica una dimensione europea della lotta – che deve condurre alla messa in discussione e alla riscrittura delle norme europee – e un’immediata opposizione alle logiche disciplinari di governance; senza dimenticare che, sia in negativo che in positivo, il terreno migrante è attraversato dalla questione femminile e di genere, e da quella del welfare come riproduzione sociale: rimettere al centro al questione migrante, in un’ottica europea e con uno sguardo strabico all’altro versante del Mediterraneo, deve essere un impegno militante sul quale costruire reti, relazioni, alleanze, assemblaggi e intersezionalità – in una parola, processi conflittuali di soggettivazione comune. Come dice il tale: Questa è l’acqua e questo è il pozzo. Bevete e scendete.