Di GIAIRO DAGHINI

È uscito in questi giorni “Il lavoro, la fabbrica, la città. Gli scritti di Sergio Agustoni intellettuale militante” (Fondazione Sergio Agustoni/ Edizioni Casagrande). Il libro è stato presentato il 27 settembre alla Filanda di Mendrisio da Giairo Daghini, assieme a Sandra Ghidossi, Christian Marazzi e allo storico Mattia Pelli.

Quando penso a Sergio Agustoni mi viene in mente la figura di un compagno, di un amico nel senso di uno che pensa e agisce e dibatte con altri per fare qualcosa insieme, o per fondare una città. Interventi politici, scritti, ricerche, articoli, passioni – tante – e professionalità sono stati il modo di vita di Sergio Agustoni militante dell’immanenza. La prima parte del volume “Il lavoro, la fabbrica, la città” contiene lo scritto di uno storico, Mattia Pelli, che ritraccia il viaggio di Agustoni a cominciare dalla fine degli anni Sessanta, a Ginevra, dove aderisce a un sindacato studentesco. Il contesto erano le fabbriche della Svizzera che facevano largamente ricorso alla mano d’opera immigrata secondo un sistema a due velocità tra chi godeva i primi frutti del boom economico, gli indigeni, e chi invece viveva e lavorava separato da barriere sociali rafforzate dall’emergere di movimenti xenofobi.

Attorno al 1970 il viaggio di Sergio approda al Movimento giovanile progressista (MGP) perché di linea marxista, ma soprattutto perché vicino alle lotte operaie per un altro modo di vivere e di lavorare. Poi in Lotta di classe, dove Agustoni sarà accanto a due altri ticinesi attivi nel movimento, Gianluigi Galli e Giorgio Bellini. Il loro è un viaggio con un rapporto forte con noi, con Panzieri, con Tronti (“prima viene la lotta”), con Toni Negri, con Sergio Bologna e con il sottoscritto a Milano, per continuare con l’Autonomia e le lotte dell’operaio multinazionale in Svizzera, al posto dell’operaio massa. 

In questo tempo avvengono tutte le belle invenzioni di lotta e di rottura della “pace del lavoro”, ma per un altro lavoro, che loro realizzano nella vertenza alla Murer di Ginevra, negli scioperi selvaggi della metallurgia alla Monteforno di Bodio, alla Savoy di Stabio e nella metropoli di Zurigo dove dalla fabbrica l’intervento viene esteso, con le parole d’ordine dell’Autonomia operaia, alla città e al territorio con la comparsa, oltre agli operai, di nuove soggettività di genere e del proletariato giovanile.

Accanto e oltre la militanza, non si ferma mai in Agustoni il lavoro di ricerca. Nella seconda parte del volume sono raccolti i suoi scritti di inchiesta e di approfondimento. Qui si trovano delle pagine molto belle sul gigantismo architettonico e sullo sviluppo dilagante dell’agglomerato zurighese sottoposto alla pressione degli investitori privati e alla resistenza delle società cooperative. Ma non solo. Agustoni nelle sue inchieste lavora molto anche sulla particolarità dell’industria elvetica non basata su una produzione di massa e sulla catena di montaggio, ma sul secondo “salto tecnologico”, sulla automazione e sulla formazione di una forza lavoro polivalente, flessibile che richiede un più alto grado di scolarità, un lavoro vivo con una certa formazione. Altri suoi testi sul post fordismo e l’economia alternativa raccontano l’emergere della finanziarizzazione nell’economia e il paradosso della smaterializzazione della catena dell’accumulazione. Sull’emigrazione un suo scritto mette in luce come Schwarzenbach prima, Blocher poi (UDC), che si professano nazionalisti e identitari, in realtà aderiscono ai principi di un liberismo radicale. Però Agustoni mette in evidenza anche che nei nuovi lavori cognitivi e culturali gli immigrati di seconda generazione costituiscono una moltitudine trasversale di soggetti che contano politicamente nella società post fordista.

Il lavoro è stato il grande tema attorno cui si è svolta la militanza e la ricerca di Agustoni, ma anche una scelta del suo modo singolare di lavorare. Sergio ha sempre lavorato tramite il metodo del montaggio di materiali ed eventi eterogenei (dalla tecnica all’etica, dal padronale all’alternativo, dall’individuale al comune) che, “assemblati”, gli permettevano di estrarre le linee di tendenza in corso. Il montaggio è stato, è, il metodo del moderno, e il moderno è l’epoca del montaggio universale in cui più che partire dai principi si considerano i movimenti di mutazioni e di differenze del divenire.

Infine c’è un momento di grande passione: la lotta delle Officine di Bellinzona del 2008 alla quale Agustoni partecipa staccandosi per un momento dalla ricerca per rientrare nella militanza. Con la presenza anche di Christian Marazzi, di alcune fantastiche avanguardie e dell’Assemblea operaia quasi permanente. Partita come “conflitto fordista” per la difesa del posto di lavoro, perché le Ferrovie Federali volevano chiudere un’importante Officina di manutenzione in Ticino (OBe), l’agitazione si è concentrata sul rischio di desertificazione industriale e sociale di tutto un territorio cresciuto attorno alle ferrovie e quindi sul “ruolo – come ebbe a scrivere Agustoni – delle Officine sul territorio inteso come competenze professionali, rapporti sociali e soggettività in movimento”, ben oltre gli schemi sindacali e la presunta ragionevolezza negoziale. La lotta vincerà includendo il rapporto salariale nel rapporto territoriale. Agustoni ne scriverà ancora nel 2011, poco prima della sua morte avvenuta il 5 luglio 2012.

C’erano molta gente e molti compagni alla Filanda domenica 27 settembre. C’era anche un giovane studioso, Giacomo Mueller, che ha appena terminato una ricerca di dottorato sui dieci anni del lungo Sessantotto in Italia. Gli abbiamo chiesto perché ha fatto ora quella ricerca. «Perché oggi c’è così tanto bisogno di quegli eventi» è stata la sua risposta.

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