di MARTINA TAZZIOLI.

A quasi un anno dalla chiusura ufficiale dell’ Emergenza Nord Africa proclamata dal governo italiano nel febbraio del 2011 bisogna spostarci in Germania, in Belgio o in Svezia per rintracciare le geografie delle persone fuggite tre anni fa dalla guerra in Libia e passate per Lampedusa. Dopo aver negato l’asilo alla maggior parte delle persone provenienti dalla Libia, l’Italia ha concesso loro come misura alternativa “al ribasso” la protezione umanitaria di un anno, adesso rinnovabile come protezione sussidiaria. Ma la crisi economica ha di fatto reso impossibile le vite di coloro che, dopo aver trascorso anche piu di un anno nei Cara, una volta ottenuto la protezione umanitaria hanno provato a installarsi nelle città italiane. Del resto i 500 euro promessi dal governo italiano come “buono di fuori uscita”  dall’emergenza insieme alla mancanza di qualunque percorso di accoglienza erano un chiaro incentivo a lasciare il Paese. Per questo, come racconta Susi Meret, ricercatrice in Danimarca alla University of Aalborg al Center for the study of migration and diversity, e attivista impegnata nelle lotte dei rifugiati in Germania, molti di loro “hanno deciso di andare il piú a nord possibile”; qualcuno é riuscito ad arrivare fino in Svezia, dove piú facilmente otterrà l’asilo, altri si sono fermati nelle città tedesche. Berlino, Monaco, Francoforte, Duisburg, Amburgo. Qui, come spiega ancora Susi, sono nate “tante Lampedusa”, ovvero lotte di gruppi che si sono costituiti proprio sulla base delle comuni geografie che si sono trovati costretti ad agire: la fuga dal conflitto libico, Lampedusa, alcuni di loro passando forse per il campo di Choucha in Tunisia, i mesi nei Cara  italiani (soprattutto quello di Mineo e di Crotone) ad aspettare la risposta delle Commissioni territoriali, poi Napoli, Roma, Milano o Catania, e infine la partenza verso nord, alcuni forti di contatti che avevano in Germania, altri semplicemente nel tentativo di trovare uno spazio in cui stare.

La lotta dei Lampedusa in Hamburg é stata la prima Lampedusa che si é costituita in Germania e che a oggi rappresenta il gruppo che piú di tutti sta portando avanti una piattaforma di rivendicazioni in Europa del tutto simile a quella dei rifugiati del campo di Choucha: “veniamo tutti dalla Libia”. Non solo dalla Libia: come loro stessi sottolineano, ciò che li unisce e su cui fondano la loro lotta di gruppo affinché non si ripetano le divisioni che le politiche di asilo sistematicamente producono tracciando il partage tra rifugiati e migranti economici, é la loro geografia comune. Il percorso fisico e fatto soprattutto di attese infinite, detenzione e iter burocratici che ha segnato le varie “tappe” dalla Libia ad Amburgo. Non chiamateli ‘migranti’ o ‘rifugiati’ ma Lampedusa in Hamburg, così firmano i numerosi comunicati delle loro rivendicazioni indirizzate alla municipalità di Amburgo con cui affermano di essere lì per restare. ( http://lampedusa-hamburg.info/en)

In previsione della manifestazione del primo marzo, in cui i Lampedusa in Hamburg insieme agli attivisti del movimento Karawane insieme ad altri gruppi mirano a raggiungere almeno le 10 000 presenze della manifestazione dello scorso novembre, Susi Meret ripercorre le fasi della costituzione del collettivo e della loro lotta.

Tu sei entrata in contatto con i Lampedusa in Hamburg fin dall’inizio della loro lotta. Potresti raccontarci come si sono costituiti come forza collettiva e su quali basi hanno fondato le loro rivendicazioni?

“Tutte le persone che hanno poi formato il gruppo dei Lampedusa in Hamburg provenivano dall’Emergenza Nord Africa, dall’Italia, arrivati dunque nel 2011. Molti di loro non hanno ricevuto i 500 euro di buona uscita promessi dal governo italiano a Marzo 2013, quando l’ emergenza é stata dichiarata conclusa. Quindi molti hanno chiesto soldi in prestito e sono partiti per la Germania con l’idea di arrivare il piú a nord possibile. Molti si erano ritrovati ad Amburgo dopo essersi conosciuti nei centri italiani già prima la conclusione dell’emergenza, ma subito dopo il numero é cresciuto considerevolmente. In una prima fase, fino ad aprile 2013, hanno sfruttato gli alloggi concessi dalla municipalità di Amburgo, che di fatto in un primo momento non poteva cacciarli dalla città in quanto appunto provenienti dall’Emergenza Nord Africa. Tuttavia si é trattato di una soluzione del tutto provvisoria, e a metà aprile la municipalità ha chiuso gli alloggi e ha cacciato le persone che dormivano dentro. In quel momento il gruppo aveva gia cominciato a crearsi, molti si erano conosciuti a Roma o a Napoli, dove la maggioranza di loro erano passati, prima dell’esperienza nei Cara di Crotone o di Mineo. Visto  la mancanza assoluta di opportunità di laovoro si sono spostati a nord. E in questo loro riconoscono di avere un passato comune, tra cui la decisione presa di andarsene, di venire fino qua. Figurati che l’ultima volta che  ero ad Amburgo con me c’era un ragazzo appena arrivato dall’Italia, da Roma, e a un certo punto qualcuno dei Lampedusa ha urlato per strada chiamandolo per nome. Insomma, si conoscevano, da Roma molti di loro si sono ritrovati un po’ per caso ad Amburgo.

Alla chiusura di questi locali per i rifugiati il movimento di attivisti di Karawane ha cominciato a sostenerli nella loro lotta.  A maggio viene indetta la prima grande manifestazione dai Lampedusa in Hamburg, che vanno davanti al comune con uno striscione  che recita “non siamo venuti dalla guerra in Libia per venire a morire nelle strade di Amburgo”. E quello é stato indubbiamente  uno dei momenti costituenti del gruppo. Alcuni dei portavoce del gruppo avevano già una marcata precedente esperienza politica, e questo indubbiamente ha aiutato. Dopo essere passati tutti in italia si erano trovati senza fissa dimora e l’intento della municipalità era di farli sloggiare, disincentivandoli a restare, privandogli di soluzioni concrete. Anche perché tutti loro avevano ricevuto dall’Italia il permesso umanitario di un anno, con cui teoricamente é possibile circolare in Europa e fermarsi però negli altri paesi dell’area Schengen –in questo caso dunque al di fuori dell’Italia- per non piú di tre mesi, quindi senza possibilità di trasferirsi per vivere o lavorare. Però non potevano mandarli via del tutto, visto che se non altro per il periodo di novanta giorni avrebbero avuto il diritto a restare, e dunque hanno cercato di liberarsene semplicemente sottraendo loro ogni forma di accoglienza.  E in ogni caso, nonostante questo diritto di circolazione, la Germania aveva ufficialmente dichiarato di non riconoscere il permesso dato dall’Italia. In piú si era sparsa la voce che l’Italia avesse dato i 500 euro come strategia per incentivare la loro partenza verso nord, il che in parte era anche senza dubbio vero.

Subito dopo la formazione del gruppo di Amburgo hanno cominciato a costitursi altre Lampedusa, a Berlino, a Francoforte, e anche loro stanno cercando di resistere per restare, per restare ma con dei diritti in quanto persone fuggite dalla Libia e che comunque hanno ottenuto una protezione umanitaria”.

Dopo la prima manifestazione di maggio cosa é cambiato e quali sono stati momenti successivi piú significativi ? Puoi parlarci della rivendicazione per una protezione di gruppo che stanno portando avanti facendo appello a un articolo legislativo tedesco?

“Il movimento di Karawane ( http://thecaravan.org/node/4003) ha cominciato a supportarli e a lottare con loro in tutte le loro proteste. É un movimento molto radicato sul territorio, in vari quartieri di Amburgo, e  tutti loro provengono da precedenti esperienze di lotte che non sono con i migranti ma ormai da alcuni anni stanno lavorando su questo. Soprattutto é stato il quartiere di St Pauli che ha offerto ai Lampedusa in Hamburg delle soluzioni abitative, messe a disposizione sia da parte del gruppo karavane sia dalla Chiesa luterana che li ha lasciati occupare la chiesa di St Pauli dove si sono installati circa ottanta persone. Poi alcuni di loro si sono spostati in altri quartieri, in cantine occupate e a dicembre sono stati messi dei containers nel quartiere, nelle vicinanze della chiesa. La convivenza tra persone di provenienza e di età così differenti sembrava quasi impossibile in quella situazione di precarietà e invece sono riusciti a restare uniti. Dopo la manifestazione di agosto che già aveva visto la partecipazione di migliaia di persone, il 6 novembre circa 10 000 persone erano presenti insieme a loro per portare avanti la rivendicazione di una protezione internazionale che gli venga riconosciuta come gruppo.

Karavane subito dopo la chiusura degli alloggi della municipalità aveva cercato di costruire da subito una tendopoli vicino alla sede della SPD; azione che é stata però impedita dalle cariche della polizia. Dopo il fallimento del tentativo di installare la tendopoli, il primo maggio cinquanta dei lampedusa in Hamburg si sono diretti alla riunione della comunità luterana insieme ai Karavane, dicendo “voi state qui a parlare di migranti e diritti, ecco qua, qui ci sono cinquanta persone migranti che peraltro sono fuggiti da una guerra provocata dall’Europa”. Questo ha di fatto costretto la chiesa a intervenire in qualche modo, a quel punto non poteva sottrarsi. In quel momento é iniziato una fase strategica della lotta, in cui i Lampedusa in Hamburg hanno abilmente negoziato per ottenere la Chiesa di St Pauli come spazio a disposizione per dormire e stare.

Da quanto raccontano alcuni dei Lampedusa in Hamburg, fin dal periodo in cui erano nei Cara in Italia avevano già dei portavoce e chiare erano le loro rivendicazioni, molto simili in fondo a quelli dei rifugiati di Choucha: ovvero, sottolineavano la loro provenienza comune dal conflitto in Libia e il loro essere stati migranti lavoratori là fino allo scoppio della guerra. A questo, una volta arrivati ad Amburgo, si é aggiunta la richiesta del riconoscimento della protezione umanitaria da parte della Germania e che gli venga garantita la possibilità di lavorare e di potersi muovere liberamente senza compiere ogni volta un iter burocratico infinito. In piú, una volta costituitesi come gruppo hanno deciso di fare appello all’articolo federale 23 che regola il soggiorno degli stranieri e che riconosce il diritto a restare e una forma di protezione ai gruppi omogenei. E loro affermano di costiuire un gruppo omogeneo proprio per la loro esperienza comune, sia rispetto alla guerra in libia, sia per il percorso, esistenziale e burocratico, che tutti avevano fatto in italia. Questo articolo puo essere approvato dal senato [il governo della città di Amburgo] in collaborazione con il ministero dell’interno e per questo loro si indirizzano esclusivamente al senato di Amburgo e non ad altre istituzioni tedesche. A questa richiesta il senato ha risposto proponendo una soluzione su base individuale, cercando in questo modo di dividere il gruppo: la proposta consiste nel ripetere l’iter della domanda di asilo in Germania, sperando poi di essere riconosciuti come rifugiati dalle commissioni territoriali tedesche. Proposta che é stata immediatamente rifiutata dal gruppo, consapevole che il riconoscimento su base collettiva é l’unico modo per non riprodurre esclusioni, partages, tra loro, insistendo perché venga riconosciuta l’esperienza della guerra in libia e la presenza in italia come percorso e goegrafia comune”.

La proposta del senato ha effettivamente prodotto divisioni nel gruppo?

“In parte sì, in quanto anche se la maggioranza é rimasta coesa rifiutando l’ ‘offerta’, alcuni hanno accettato di andare avanti con la domanda individuale di asilo, supportati dalla chiesa luterana. Infatti in questo la chiesa ha giocato un ruolo determinante nel contribuire a dividere il gruppo, spingendo perche le persone accettassero la soluzione individuale – che peraltro poi non avrebbe significato il riconoscimento immediato ma semplicemente la possibilità di tentare nuovamente di ottenere l’asilo. Peraltro, merita sottolineare che di fatto anche la proposta avanzata dal senato di Amburgo, nonostante mirasse a produrre divisioni nel gruppo, ha costituito comunque una concessione importante in quanto si prometteva sostanzialmente di aggirare il regolamento di Dublino II, permettendo ai migranti di ripresentare la domanda di asilo in Germania anche se l’avevano già fatta in Italia. E in Italia a molti di loro erano state anche prese le impronte che poi sarebbero finite nel database di Eurodac, che di fatto dimostra quale sia stato il primo paese europeo di arrivo e dunque quello in cui la persone può chiedere l’asilo”.

Una lotta dunque che, mi sembra di capire, si gioca su piani molteplici, dalle rivendicazioni per gli alloggi a quelli per una protezione umanaitaria su base collettiva.

Sì, esattamente. Ciò che vi é di particolarmente interessante e specifico in questa lotta sono i vari livelli a cui i Lampedusa in Hamburg situano contemporaneamente le varie rivendicazioni, da quelle piu immediate per rispondere alle esigenze abitative o di permanenza sul territorio, alla rivendicazione come gruppo. Una lotta contestualizzata nelle strade di Amburgo e definita anche dalle leggi tedesche e dai margini di azione rispetto a  cui strategicamente loro cercano di giocare. Ma al tempo stesso la lotta di un gruppo che ha fatto delle geografie condivise – dalla vita in Libia, la fuga dalla guerra, l’arrivo a Lampedusa e poi il periodo in Italia – il piano di realtà su cui fondare la piattaforma di rivendicazioni per un riconoscimento umanitario che di fatto ridefinisce del tutto le condizioni esclusive dell’asilo, rivendicando una protezione senza distinzioni. È infine, indubbiamente, una piattaforma, per iniziare una lotta contro il regolamento di Dublino II che impedisce alle persone di scegliere il luogo in cui fare domanda di asilo e in cui progettare la propria esistenza. Un agire su diversi piani, accettando in alcuni casi ‘compromessi’ che consentono di mobilitare, allargare e diffondere la lotta e raggiungere alcuni immediati obiettivi. Un lavoro a più livelli, quindi, che include anche la concreta strategia di dialogo con i sindacati e ai tentativi di creare alleanze tra rifugiati e migranti e lavoratori (metalmeccanici dell’ IG Metall, portuali). E ogni volta si tratta di riposizionare, nel senso di sottolineare di fronte all’opinione pubblica come l’emergenza nord africa e la lampedusa ad amburgo non rappresentino un caso eccezionale definito dal particolare percorso giuridico-politico di questi uomini e donne”.

Come afferma uno dei loro ultimi comunicati la soluzione individuale é di fatto una non-soluzione che  cancella il loro percorso comune e, insieme, le responsabilità politiche degli stati europei nella guerra in Libia e dunque per la loro fuga dal paese: “l’offerta fatta dal senato non considera in alcun modo che siamo già riconosciuti come rifugiati di guerra in Europa, costretti a fuggire la guerra della Nato a cui anche la Germania ha partecipato. Le condizioni disumane di vita con cui noi e altri rifugiati ci siamo trovati in Italia sono la conseguenza del fallimento del sistema europeo di protezione dei rifugiati. Alla luce di questo, Amburgo può e deve assumersi la responsabilità di garantirci il permesso di restare usando le possiblità legali esistenti. L’articolo 23 rappresenta per il senato di Amburgo  questa possibilità politica e noi confermiamo la nostra rivendicazione per una soluzione collettiva di gruppo”.

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