di LEONCAVALLO SPA.

Riprendiamo il documento che annuncia l’appuntamento a Milano per il 30 e il 31 gennaio, in occasione dei “primi quarant’anni” del Leoncavallo. Ci sembra che contenga molti spunti interessanti, che incrociano i discorsi che qui proviamo a sviluppare. Ci vediamo a Milano e, intanto, i nostri migliori auguri al Leo (EN).

Narrazione comune e pratiche costituenti, per dare corpo all’alternativa e trasformare il presente.

Partiamo, e non potrebbe essere altrimenti, dalla nostra parzialità con la voglia di contribuire alla costruzione di un percorso che, nell’incontro con tante e tanti altri, possa portarci oltre.
I centri sociali e gli spazi autogestiti hanno oramai alle loro spalle una storia lunga e consolidata, legata a doppio filo non solo ai movimenti, ma anche ai territori e alle trasformazioni sociali ed economiche che in questi stessi territori si producono.
Oggi, nell’era del capitalismo finanziario e delle mostruosità che lo accompagnano, questi spazi si configurano sempre più come luoghi-laboratorio della produzione di ciò che è comune, dove la condivisione di risorse materiali e immateriali e l’autogoverno delle proprie comunità sono condizione base di uno sviluppo altro da quello dominante. Luoghi di “incontri positivi”, dove singolarità cooperano tra loro e costruiscono reti, cercando giorno per giorno di dare immediatamente corpo ad alternative all’esistente.
In questo senso, in questi quarant’anni siamo diventati veri e propri “incubatori d’impresa biopolitica”, luoghi di produzione di mutualismo e diritti, solidarietà e democrazia reale. Creatori di nuovi codici e linguaggi, di relazioni sociali, di pratiche ecologiche ed economie altre. Ovviamente non siamo affatto il “paradiso”, anzi la nostra vita è difficile e contraddittoria, perché siamo completamente immersi in quel rapporto sociale che si chiama capitale, nel tempo in cui più niente sul globo è fuori da questo rapporto. Ma essere un laboratorio, nel vivo delle contraddizioni della società, ci offre quotidianamente l’occasione di essere attraversati da multiformi pratiche di resistenza allo sfruttamento e al potere che lo garantisce, e di sperimentare quali percorsi di trasformazione siano possibili ed efficaci, da pratiche democratiche di gestione del comune alla torsione delle politiche municipali.
Questo mentre il mondo intorno a noi – stretto tra il cinismo dell’ordine imposto dai mercati finanziari e la speculare, e ad esso funzionale, barbarie degli “ismi”, i fondamentalismi, i nazionalismi, i vecchi e nuovi fascismi – sembra negare la possibilità stessa di un’alternativa.
Anche perché, pure dalle nostre parti, la frammentazione e la compartimentazione delle lotte sociali, la chiusura identitaria e la conseguente incomunicabilità di molte esperienze, l’autoreferenzialità di molti percorsi, le tante difficoltà, oggettive e soggettive, con cui dobbiamo spesso misurarci, mostrano tutti i limiti di un agire che annaspa e fatica a produrre avanzamenti sostanziali.
A partire dai festeggiamenti per “i nostri primi quarant’anni”, vorremmo perciò provare ad allargare i momenti di confronto, dibattito e cooperazione, per produrre uno sforzo comune che punti ad una nuova narrazione condivisa, e alla costruzione di piani intersecati di lavoro utili, non solo alla comunicazione e alla contaminazione delle lotte e delle istanze di cui sono portatrici, ma anche alla loro riproducibilità nella prospettiva della costruzione di quel potere dei “molti”, oggi più che mai necessario ad aprire spazi reali per l’alternativa.
Nel nostro immaginario, se siamo capaci di non ridurle a icone ideologiche o a modellini, le esperienze della Rojava – le regioni autonome del Kurdistan siriano che sono riuscite a liberarsi confliggendo con la barbarie fondamentalista – e di metropoli iberiche come Barcellona e Madrid – dove, a partire dalle lotte contro austerity e corruzione e per il diritto all’abitare, inedite coalizioni municipaliste hanno vinto le elezioni e governano le città – viaggiano insieme. In queste concrete esperienze, e nelle loro profonde differenze, ritroviamo la medesima tensione all’autogoverno delle comunità, alla sperimentazione di pratiche realmente democratiche, in una cornice in cui autonomia e cooperazione sociale, vecchi e nuovi diritti sociali, ecologia e femminismo si alimentano vicendevolmente. Assumendo questo orizzonte di riferimento, vorremmo provare ad affrontare due “blocchi” di discorso che dal nostro punto di vista di spazio sociale o, meglio, di spazio pubblico autogestito, risultano oggi più interessanti e produttivi.

Lavorare nella metropoli: mutualismo e nuove forme dello sciopero.

Attraverso l’immagine della “fabbrica sociale”, là dove il capitale sussume a sé tempi e spazi di ogni forma del lavoro vivo, abbiamo imparato che il luogo fisico, in cui i lavoratori erano organizzati e producevano valore, ma anche si incontravano e organizzavano le lotte, è in via di dissoluzione. E anche quando permangono rilevanti concentrazioni di lavoratori, la frammentazione dell’attività produttiva destruttura spazi e tempi della relazione, impedendo di fatto la socializzazione che era stata tipica del fordismo.
La metropoli è questa fabbrica, comandata dalle funzioni della finanza, dai dispositivi del credito e del debito. Qui i meccanismi prevalenti di estrazione del valore prodotto dalla cooperazione sociale sono quelli della rendita, della speculazione mobiliare, fondiaria e immobiliare. Nello stesso tempo, la metropoli è anche fabbrica di soggettività altra, spazio di iniziativa, di resistenza e autovalorizzazione di chi coopera attivamente.
Da qui la proliferazione di figura nuove nella composizione sociale del lavoro, figure che attraversano e fanno vivere quotidianamente i nostri spazi: precari, intermittenti, autonomi di seconda e terza generazione, micro-imprenditori, cooperatori.
In questo panorama il vecchio schema del rapporto sindacato/lavoratori, basato esclusivamente su vertenzialità ed erogazione di servizi, seppur necessario, non è più in grado di conquistare un allargamento dei diritti. Oggi, un nuovo “sindacalismo sociale” deve essere incubatore di cooperazione, praticare condivisione democratica delle risorse materiali e immateriali, deve far evolvere il mutualismo in una macchina di produzione di diritti, ricchezza e trasformazione sociale. E in questo processo riconoscere e inventare le forme nuove e più efficaci del conflitto, che cosa significhi lo “sciopero del XXI secolo”. Sindacalizzare gli insindacalizzabili, e socializzare le lotte della solitudine, necessitano prima di tutto di incontro e ingaggio.
E, se diamo buono l’assunto che vede gli spazi sociali autogestiti come laboratori del comune, fuori da logiche gruppettare e identitarie, possiamo iniziare finalmente a intravedere un loro sviluppo in “Camere del lavoro”, intermittente, precario e autonomo , luoghi al tempo stesso della formazione, del mutualismo, di autentico coworking e sharing economy, incubatori di cooperazione, e pertanto dispositivi adeguati ai tempi di nuova organizzazione e di conflitto costituente, vettori di trasformazione sociale.

Milano Leoncavallo

Territorio e spazio politico europeo: le città dell’alternativa.

Lo scenario europeo, ovvero di quello spazio politico che è oggi la scala minima di ogni pensabile possibilità di cambiamento, pare continuamente investito da fatti nuovi, di segno diverso, che ne sconvolgono repentinamente il panorama: pensiamo alla pur contraddittoria vicenda greca, alla irresistibile marcia dei migranti lungo la rotta balcanica, alla dialettica tra piazze e urne elettorali nella penisola iberica, ma anche all’irruzione del terrore jihadista e alla logica liberticida dello “stato d’emergenza”, alla crescita di nuovi nazionalismi, razzismi e fascismi, alle nuove barriere che vengono erette, all’apparentemente imperturbabile normalizzazione delle politiche di austerità, con il loro corollario di precarizzazione e privatizzazioni.
Vi sono eventi che hanno prodotto rotture positive, sedimentato consapevolezza, diffuso saperi e pratiche trasformative. Picchi di lotta che a loro modo illuminano la strada, e che producono nuova soggettività. E altri che sembrano precludere ogni strada, negare la possibilità stessa del cambiamento, determinare orrende involuzioni.
E lo stesso discorso si potrebbe riprodurre nei singoli territori, dove di fronte alla quotidiana catastrofe del climate change, le lotte ambientali, per i beni comuni (materiali e immateriali), per il diritto alla città determinano significativi risultati locali, accumulano saperi critici e partecipazione attiva.
Tutte queste lotte – rileviamo banalmente – presentano un minimo comune denominatore che parla di “democrazia” come decisione condivisa dal basso su ciò che è comune; di “reddito”, diretto e indiretto, come leva redistributiva adeguata a combattere l’insostenibile crescita di diseguaglianze e povertà; di “ecologia”, ambientale e sociale, come difesa e gestione consapevole dei beni comuni, necessità immediata per rovesciare la catastrofe climatica in occasione di cambiamento radicale. Tre grandi temi che, tanto per riconquistare una certa semplicità di discorso, potremmo definire “glocal”, capaci cioè di tenere assieme dimensione locale e transnazionale, istanze comunitarie e di classe, singolarità e moltitudine.
Se guardiamo alle tante esperienze dal basso che, nelle metropoli e nei territori d’Europa, cercano di trasformare l’esistente costruendo reti inedite che promuovono conflitto e partecipazione, e mettono in comunicazione movimenti sociali e realtà associative, forze sindacali e politiche, proponendo e praticando direttamente soluzioni di governo e amministrazione locale, possiamo iniziare a intravedere nuovi dispositivi politici, che vanno oltre il classico rapporto tra movimenti e partiti, fuori dalla logica della rappresentanza. Un movimento reale, che abbia l’ambizione di cambiare lo stato di cose presenti, deve essere in grado di pensare la complessità e di agire simultaneamente su tutti questi diversi piani, con la capacità di rompere le gabbie ideologiche che ci siamo costruiti attorno, di uscire di nuovo, come siamo stati capaci di fare nei nostri momenti migliori, dal ghetto dell’irrilevante testimonianza minoritaria. Per costruire la “forza dei molti”, adeguata a intervenire con efficacia nel nostro tempo, dobbiamo invece pensare e agire come “maggioranza sociale” e dotarci degli strumenti adeguati a conquistarla sul serio.
Vorremmo provare a farlo, confrontandoci con altre esperienze che cercano di fare del proprio territorio metropolitano le “città del cambiamento, le città dell’alternativa” e cominciando a scrivere, insieme a loro, la bozza di “una carta per l’Europa”, nuova e altra da quel panorama di rovine che gli interessi di pochi ci stanno consegnando.

Invitiamo le realtà, associazioni, reti, singoli, collettivi che intendono partecipare all’iniziativa a inviare la propria adesione all’indirizzo e-mail segreteria@leoncavallo.org. Sono graditi contributi scritti preliminari.

Milano, dicembre 2015
Leoncavallo spa

leo3

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