di GIUSEPPE ACCONCIA.

 

 

La risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, approvata all’unanimità il 18 dicembre scorso, ha definito le tappe di una possible transizione in Siria e ha chiarito ancora una volta quanto tra Russia e Stati Uniti non esistano divergenze sostanziali nella gestione del conflitto siriano. Entrambi i paesi sono in guerra in Siria: Washington a guida di una coalizione internazionale che include la Turchia e mira a bilanciare i rapporti di forza tra Stato islamico (Isis) e combattenti curdi nel Nord del paese; Mosca, insieme all’Iran, è in guerra per rafforzare il presidente Bashar al-Assad e indebolire le opposizioni al regime.

Nonostante le guerre di Washington e Mosca non facciano altro che alimentare il terrorismo jihadista, nella sinistra europea e in Medio Oriente, c’è chi ancora dubita in merito al ruolo del presidente russo, Vladimir Putin, in Siria, continuando a vederlo come unica fonte di stabilizzazione del paese. Purtroppo la guerra di Mosca non è alternativa alle bombe della Nato e sarebbe molto ingenuo pensarlo. La sinistra che definiremmo «putiniana», nonostante abbia imparato con difficoltà a ragionare sulla figura di al-Assad, dopo quasi 300 mila morti e milioni di profughi e sfollati, senza metterla davvero in discussione, continua a difendere l’operato del presidente russo in Siria e a considerarlo «risolutivo» per le sorti del paese. Ma con chi stanno i curdi siriani che fino ad un momento prima erano sostenuti dalla coalizione internazionale, guidata dagli Usa? Come giudica l’ingerenza russa in Turchia la sinistra filo-curda e il partito democratico dei Popoli (Hdp)?

 

Sinistra, Usa e crisi russo-turca

Di sicuro in seguito all’approvazione dell’accordo sul nucleare tra i paesi del Cosiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, insieme alla Germania (P5+1), con le autorità iraniane, e dopo l’inasprimento dei raid russi in Siria, il presidente Usa, Barack Obama, ha dovuto accomodare la politica estera statunitense alle mosse di Mosca. In altre parole, anche grazie al lavoro diplomatico dell’inviato delle Nazioni Unite, Staffan De Mistura, Washington, con Francia e Gran Bretagna di nuovo attive in Siria dopo gli attacchi terroristici di Parigi del 13 novembre scorso, e Israele a caccia degli affiliati del movimento sciita libanese Hezbollah, sta lasciando fare ai jet russi qualsiasi cosa vogliano in territorio siriano.

Neppure la testa del presidente al-Assad sembra ormai una priorità per la diplomazia Usa. Inizia invece a essere evidente a tutti che solo colpire gli asset finanziari e i profitti petroliferi dei jihadisti può ridimensionare Is in Siria e Iraq. Di questo si è discusso alle Nazioni Unite e al G20 dello scorso novembre ad Ankara. Eppure sembra un paradosso che i primi tra i finanziatori di Isis, in particolare l’Arabia Saudita, chiedano di congelare risorse che continuano a fornire ai terroristi.

Ad esacerbare il dibattito politico a sinistra ci ha pensato però una guerra nella guerra: la crisi russo-turca. L’abbattimento del Sukhoi Su-24 nei cieli tra Turchia e Siria lo scorso novembre ha scoperto questo nervo nascosto del conflitto siriano e motivato non poco una certa parte della sinistra a insistere nella difesa dell’intervento russo in Siria. Ankara ha accusato Putin di aver sconfinato in Turchia nell’ambito delle sue operazioni in Siria. Mosca ha negato la violazione dello spazio aereo turco, imposto rilevanti sanzioni economiche, e accusato Ankara, in una conferenza stampa in stile guerra fredda alla presenza dei vertici militari russi, di fare affari su «larga scala» con Isis, inclusa la famiglia del presidente turco Recep Tayyip Erdogan.

 

La neutralità dei movimenti curdi siriani

Questo episodio del conflitto potrebbe sembrare marginale eppure non lo è. I raid russi nel Nord della Siria (Rojava) hanno lo scopo ben preciso di riportare il Kurdistan siriano sotto in controllo di Damasco. Da tempo a Kobane e Tel Abyad non si vedono più le gigantografie di al-Assad campeggiare nello spazio pubblico, sostituite da più accoglienti effigi del compagno Apo (Abdullah Ocalan, dimenticato nelle carceri turche). Tuttavia, dopo la conquista di Tel Abyad da parte delle Unità di protezione popolare maschili e femminili (Ypg-Ypj) e la vittoria elettorale di Hdp, l’esercito turco ha fatto la sua comparsa in territorio siriano prima e iracheno poi con migliaia di uomini, in parte ritirati.

Erdogan vorrebbe il controllo completo di Rojava. Prima Ankara ha imposto una safe-zone in Rojava, costruito un muro nel cantone di Efrine, trasformando il Kurdistan siriano in un carcere a cielo aperto per i profughi siriani e curdi. Poi, dopo la presa di Sinjar dai jihadisti di Isis, ha inviato le sue truppe nel Kurdistan iracheno con il placet del leader del Partito democratico del Kurdistan (Pdk), il neo-liberista Massoud Barzani, e nonostante la dura opposizione delle autorità di Baghdad. In questo contesto, il Partito democratico Unito (Pyd), estensione siriana del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), ha accolto di buon grado i raid russi che hanno sì rafforzato al-Assad ma potrebbero ridimensionare la presenza turca in Rojava.

La strategia del «male minore» che ha portato i curdi siriani a non patteggiare né con al-Assad né con le opposizioni dal 2011 in poi è stata accantonata temporaneamente, come è già avvenuto in passato, perché è messa in gioco la stessa esistenza di Rojava che potrebbe essere inglobato dalle aggressive mire turche sul Kurdistan siriano. E così il via libera che i curdi siriani hanno concesso indirettamente ai raid russi ha a che fare con la loro mera sopravvivenza territoriale. In altre parole, per i curdi siriani tornare ad essere cittadini apolidi di un rafforzato regime di al-Assad, in virtù dei raid di Mosca, non sarebbe un grande passo avanti.

 

Islamismo politico e sinistra in Turchia

Per la sinistra curda turca invece, colpita con una violenza inaudita dalle autorità di Ankara negli ultimi mesi, incluso l’assassinio politico del leader degli avvocati curdi, Tahir Elçi, e il tentato omicidio della guida carismatica di Hdp, Salahettin Demirtaş, l’impegno russo in Siria non può certo implicare una violazione dello spazio aereo turco.

L’ingresso di Hdp in parlamento con il voto del primo novembre scorso, sebbene ridimensionato in numero di parlamentari rispetto alla vittoria di giugno, è già una conquista da difendere ad ogni costo. Quando il governo di Ahmet Davutoglu deciderà di chiudere la stagione dell’attacco diretto al Pkk, mascherato da guerra a Isis, che ha riportato indietro il paese agli anni della strategia della tensione, si potrà finalmente riaprire il processo di pace dei curdi con Ankara e chiudere la stagione della lotta armata del partito di Ocalan.

Se quindi in Rojava e nel Kurdistan turco è in corso uno scontro regionale per ridimensionare la sinistra curda, l’ambiguità con cui Ankara ha gestito l’ascesa di Isis in Siria, permettendo rifornimenti e il passaggio di uomini attraverso i suoi confini con l’unico scopo di contenere l’avanzata dei combattenti curdi, ha chiarito invece la completa incompatibilità tra sinistra e islamismo politico, come è stato evidente in altri paesi del Medio Oriente a cominciare dall’Egitto. In altre parole, attivisti dei movimenti e giovani islamisti hanno lavorato insieme quando era in atto la dura repressione politica in regimi autoritari e polizieschi, ma nel momento in cui gli islamisti sono arrivati al potere hanno chiuso le porte ai movimenti operai, alle classi disagiate, alle sinistre in nome di nazionalismo e capitalismo.

 

E così l’islamismo politico di Erdogan è diventato sinonimo di nazionalismo kemalista, lasciando i movimenti di sinistra ai margini e concedendo loro la possibilità di esistere appena. In altri contesti, decaduta l’alternativa dell’islamismo politico, il ritorno dei militari e il loro patto di ferro con Mosca sono stati salutati come unica alternativa possible all’islamismo moderato da una parte della sinistra. Questo ha completamente azzerato i movimenti della sinistra egiziana per esempio. Potrebbe succedere lo stesso con i curdi siriani qualora il locale via libera assicurato temporaneamente a Putin diventasse un allineamento di lungo periodo in funzione anti-turca.

La guerra in Siria ha confermato e chiarito quanto la strategia di Stati Uniti e Nato in Medio Oriente abbia gravi responsabilità nell’aver favorito l’ascesa di gruppi radicali. Se invece nella crisi russo-turca le accuse di Putin ad Ankara sono comprensibili, questo discorso non si può estendere in alcun modo alla strategia generale di Mosca in Siria. Le sinistre europee che non vedono la sovrapponibilità delle guerre statunitensi, dal 2001 a oggi, in Medio Oriente con i raid russi in Siria del 2015 cadono in un tranello ideologico e tattico che potrà solo prolungare i conflitti in corso e alimentare il terrorismo. Per sconfiggere Isis è necessario prima di tutto cancellare tutti gli elementi che ne hanno determinato la nascita, a cominciare dai regimi autoritari che governano in Egitto, in parte della Siria e della Libia.

 

 

 

 

 

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