Continuiamo a raccogliere materiali di riflessioni sia del collettivo sia di “esterni” che ci sembrano importanti. Le mobilitazioni che stanno caratterizzando il periodo più recente presentano caratteri di novità rilevantissimi. Dal punto di vista programmatico: libertà di movimento, riappropriazione della democrazia anche e soprattutto nelle sue dimensioni più ‘dirette’, antiautoritarismo e riapertura di spazi di liberazione, diritto alla città e rilancio della sfida alle “recinzioni” metropolitane… Sono evidentemente accenni, inizi, attraversati da mille contraddizioni: ma cambiano il panorama, ed è importante indagarli cercandone gli elementi di novità, di spinta, di trasformazione. Ma è dal punto di vista dei soggetti che il campo sta cambiando ancora più rapidamente: una trasformazione di soggettività, una composizione che non solo enuncia l’intersezionalità come fondamentale, ma sembra direttamente incarnarla, nonché un salto generazionale evidente a chi pratichi questi nuovi spazi di mobilitazione. Euronomade ha cominciato a interrogarsi su queste trasformazioni, che nel seminario di Bologna, e in qualche intervento già pubblicato, abbiamo cercato di nominare come riemersione di un evidente tratto “moltitudinario”: abbiamo l’intenzione di tornare su questa analisi, dedicando a questi mutamenti, e alle ricadute decisive che richiedono sul lato delle esperienze organizzative, un appuntamento seminariale autunnale. Nel corso del quale cercheremo anche di interrogarci, “a partire da noi”, sul senso che potrebbe avere oggi un’esperienza di “pratica teorica”, come quella di cui Euronomade è espressione, mettere a verifica, senza dare nulla per scontato, quali potrebbero essere le modalità, i luoghi, il tipo di impegno richiesti per queste sfide. 

Di SAM ADLER-BELL.

È umano resistere anche quando la nostra resistenza è considerata appena da chi è al potere. Nella sua memoria di quando lavorava in un magazzino Amazon a Lepizig, in Germania, nel 2010,1 riprende queste righe della drammaturga e scrittrice austriaca Elfriede Jelinek: “Chiunque sia vivo smette”. Parlando a sé stessa o forse al lettore – il libro è scritto quasi interamente in seconda persona – aggiunge: “Dovresti dimostrare al tuo datore di lavoro che sei vivo”.

Geißler immagina diverse tattiche dirompenti per farlo. Si potrebbero nascondere i prodotti per “rimuoverli dal ciclo delle merci”, o danneggiarli e far finta che siano arrivati in quel modo, o danneggiarli leggermente “in modo che il danno sia rivelato solo quando arrivano al cliente”. Verso la fine del libro, il fidanzato di Geißler riceve un pacco che sembra essere stato sabotato proprio in questo modo.

Inevitabilmente, scrive, ti scopriranno. “Tutto viene scoperto in questa azienda, ma fino a quel punto avrai vissuto un po’ di più sul posto di lavoro e avrai imposto alla tua obbedienza di ritirarsi”.

Questi piccoli atti di resistenza individuale – mezzi per affermare la propria umanità contro un sistema elaborato per cancellarla – sono versioni di quelle che sociologi e antropologi chiamano “armi dei deboli”. Tendono a emergere quando gruppi relativamente impotenti contestano le condizioni della loro sottomissione imposte da potenti soggiogatori. Lo studio seminale di James C. Scott del 1985 sulla resistenza contadina malese2 propone una tassonomia di questi atti quotidiani di sfida, tra cui trascinare i piedi, la dissimulazione, la diserzione, la falsa accondiscendenza, il furto, il far finta di non sapere, la calunnia, l’incendio doloso e il sabotaggio.

Amazon ha costruito un vasto impero logistico sottoponendo la sua forza lavoro a forme estreme di disciplina tecnologica – progettata per mantenere i lavoratori isolati, spaventati e maniacalmente produttivi. Questo pezzo si propone di far emergere le “armi dei deboli” utilizzate dai lavoratori per resistere a questo regime. Ho parlato con dipendenti ed ex dipendenti di Amazon, ho parlato con sindacalisti, ho letto le interviste di uscita su Indeed e Glassdoor, e ho visitato i forum online dove i lavoratori di Amazon si riuniscono per lamentarsi, simpatizzare, cazzeggiare, e cercare e offrire consigli. Ho imparato molto sul regime di sorveglianza totale e di controllo corporeo che Amazon ha costruito per gestire la sua crescente forza lavoro logistica. E ho scoperto le contro-strategie che i lavoratori impiegano per resistere alla disumanizzazione, alla noia, al dolore e all’angoscia mentale che l’apparato disciplinare di Amazon esercita.

I magazzinieri che ho incontrato giocano, contro loro stessi o contro i loro colleghi. Imbrogliano per aumentare artificialmente i numeri della loro produttività. Si passano questi trucchi con un linguaggio codice. Usano i loro scanner per trovare articoli erroneamente sottovalutati e comprarli all’ingrosso. (Alcuni rubano apertamente.) Fanno scherzi (di solito innocui) ai manager prepotenti. E quasi tutti infrangono le regole di sicurezza per muoversi più velocemente. Naturalmente, le mie fonti esitavano a rivelare le specifiche di alcune tattiche, in particolare quelle che sfidano apertamente le regole di Amazon o la legge. In alcuni casi, anche quando le ho imparate, ho lasciato volutamente i dettagli vaghi.

La forma di resistenza di gran lunga più comune tra i dipendenti di Amazon, tuttavia, è quella di smettere di lavorare. Un magazziniere dell’Illinois mi ha detto che i dipendenti che sono in magazzino da almeno sei mesi sono considerati “vecchia guardia”. Per la maggior parte dei lavoratori, il lavoro nei magazzini Amazon è estenuante, isolante e pericoloso. “Lavorano fino allo sfinimento e finiscono per esaurirsi”, dice Charlie, un lavoratore del centro di distribuzione nella contea di Northampton, in Pennsylvania.

Per chi rimane, il premio è il generoso pacchetto previdenziale e di indennizzi di Amazon rispetto ad altri posti di lavoro a basso salario. “La battuta che si fa è che l’unico benefit di lavorare in Amazon sono i benefits”, mi dice Charlie. Per i dipendenti a tempo pieno, Amazon offre piani di assicurazione sanitaria e un 401(k)3; nell’ottobre 2018, il CEO Jeff Bezos ha stabilito un salario minimo di 15 dollari nei magazzini statunitensi. Anche prima di allora, Amazon tendeva a pagare meglio di altri datori di lavoro nel settore della logistica.

Amazon costruisce centri di distribuzione in aree industriali vuote e nelle periferie di città sempre più invivibili. I lavori di magazzino sono spesso la migliore (o l’unica) possibilità in città. Anche così, dicono i lavoratori, non sempre ne vale la pena. Secondo Sam Nelson, un attivista di Jobs with Justice, una coalizione nazionale di sindacati e gruppi di lavoratori, un ritornello frequente tra i lavoratori del magazzino di Amazon a Shakopee, Minnesota, è: “Questo è il miglior lavoro che abbia mai avuto, e mi licenzierò in due mesi”.

In questo contesto, gli atti quotidiani di resistenza funzionano come strategie di preservazione del corpo e della salute. Piccole soluzioni – trucchi, giochi, piccoli sabotaggi – prolungano il tempo di sopportazione dell’incessante e terribile fatica. Una strategia che fa risparmiare ai propri polpacci un viaggio extra attraverso il magazzino può fare la differenza tra il licenziarsi questa settimana e tenere duro aspettando un altro stipendio.

Queste strategie sono quindi preziose non solo per esprimere il proprio malcontento, ma anche per la sopravvivenza. Possono essere addirittura realmente oppositive, funzionando come forme di sabotaggio industriale o come forme di solidarietà tra i lavoratori. In Weapons of the Weak, Scott scrive che la resistenza quotidiana permette a coloro che ha osservato di “rosicchiare” politiche pesanti o ingiuste senza intraprendere “azioni più donchisciottesche”. Anche quando non si hanno grandi azioni di massa, sostiene Scott, i piccoli gesti di insubordinazione “creano una barriera corallina politica ed economica” sulla quale la nave dello Stato (o capitale) potrebbe arenarsi.

Ma sovrastimare le armi dei deboli è pericoloso. Si rischia di ammettere che questi rimarranno sempre tali – rinunciando alla possibilità di un’agitazione collettiva. Alcuni atti di resistenza inibiscono attivamente l’azione di massa. Infrangere le regole di sicurezza e usare trucchi per lavorare meno possono dare la sensazione di colpire il padrone, ma spesso vanno a beneficio dell’azienda. I giochi trasferiscono la concorrenza su un livello orizzontale, tra i colleghi, e isolano la gestione dall’ira del lavoro. E anche quelle tecniche che rallentano la produttività possono funzionare semplicemente come valvole di sicurezza, prevenendo l’accumulo di rabbia più acuta e collettiva.

E però i piccoli atti – specialmente quelli che implicano una sorta di inganno coordinato – possono risvegliare una volontà di sfida che può eventualmente permettere di compiere atti più grandi e decisivi. Resta da vedere se gli atti di sabotaggio, sotterfugio o evasione commessi dai lavoratori di Amazon contribuiscano alla crescita di una barriera corallina pericolosa. Ciò che è certo è che, in un modo o nell’altro, dobbiamo affondare la nave.

La regola del tasso
L’infrastruttura globale di distribuzione di Amazon – dai centri di distribuzione e smistamento, ai crossdocks, alle stazioni di consegna e ai Prime Now Hubs – copre ora quasi 20 milioni di metri quadri, un’area di circa un terzo delle dimensioni di Manhattan. In ogni provincia di questo feudo, come affermato da un magazziniere Amazon su Reddit, “governa l’onnipotente regola del tasso” – vale a dire la velocità con cui ogni lavoratore svolge la sua mansione.

Amazon ha realizzato il suo dominio monopolistico accorciando il tempo critico tra la produzione e la realizzazione (vale a dire la vendita) delle merci. Incorporando le lezioni della produzione “just-in-time” innovata dalle case automobilistiche giapponesi, la vasta rete logistica di Amazon è progettata per ridurre al minimo il tempo in cui i prodotti rimangono fermi. “Più a lungo qualcosa rimane fermo e non è in movimento, meno soldi fa Amazon”, dice Charlie, il lavoratore del centro di distribuzione della Pennsylvania. Che si tratti dello stivaggio, del picking, dello smistamento o della consegna dei prodotti Amazon, ci si aspetta dai lavoratori che lavorino a rotta di collo, e che siano allo stesso tempo precisi.

Dall’avvento del lavoro salariato, il tempo è stato uno strumento disciplinare chiave per i padroni. Ma Amazon ha portato questa tecnica ad un nuovo livello, costruendo un massiccio e intricato sistema di sorveglianza e controllo per accelerare il tasso di produttività. “Non c’è privacy”, dice Charlie. Molti centri di smistamento e di distribuzione sono vasti e luminosi, con pavimenti in cemento e soffitti alti. Le telecamere sono onnipresenti. “Dovresti cominciare a pensarla come una struttura carceraria… Supponiamo semplicemente di essere sempre sorvegliati”.

Quando l’anno scorso è stato concesso ad Amazon il brevetto per un braccialetto tattile con un sensore di movimento progettato per guidare le mani dei lavoratori verso gli articoli d’inventario – o, come alcuni hanno ipotizzato cupamente, per ronzare quando rallentano e hanno bisogno di una motivazione tattile per accelerare – i sostenitori della privacy hanno sussultato. Ma tali innovazioni, mi dicono gli attuali ed ex lavoratori, non farebbero che implementare tattiche già esistenti.

In un tipico centro di distribuzione, alcuni lavoratori disimballano le merci provenienti da produttori e fornitori; altri li stivano in vaste file di scaffali; e i “pickers” (ndt: i raccoglitori) realizzano gli ordini afferrando gli articoli corretti dagli scaffali e mettendoli in una cassetta, che viene trasportata ai “confezionatori” che preparano l’ordine per la spedizione. I lavoratori registrano le loro interazioni con ogni prodotto e la sua collocazione attraverso uno scanner, che quasi tutti portano con sé.

Se sei un picker, il tuo scanner ti dice la posizione del prodotto da prelevare e inizia a contare alla rovescia il tempo necessario per arrivarci. Se ci vuole di più rispetto al tempo assegnato, l’orologio inizia a contare alla rovescia, registrando la quantità di tempo che dovrai recuperare in seguito per rimanere “sopra al tasso”. Quando si arriva a destinazione, si scansiona lo scaffale o il cestino, si trova l’articolo e lo si mette nella propria cassetta. Poi si ottiene un’altra posizione. Questo processo continua fino a quando i prodotti necessari per l’ordine – o una parte di un ordine o un insieme di ordini – ci sono tutti. Si mette poi la cassetta su un trasportatore e il processo ricomincia di nuovo.

Lo scanner è un potente strumento di sorveglianza. Registra il vostro tasso di produttività – visualizzandolo sulla sua interfaccia – così come il tempo che intercorre tra le scansioni successivi (ad esempio Time Off Task o TOT). Se il TOT supera i quindici minuti o il vostro tasso scende al di sotto della velocità prescritta per il giorno, si ottiene una visita da un manager o un richiamo. Troppe note e si viene licenziati. “I tassi sono usati come una spada di Damocle”, dice Charlie. “Puoi essere re, ma c’è una lama appesa sopra la tua testa tenuta da un capello sottile”.

Per incoraggiare la competizione, i manager pubblicano una classifica della produttività dei dipendenti alla fine di ogni giornata. In alcuni magazzini, c’è una lavagna bianca; in altri, un pezzo di carta stampata o un display elettronico. Ashleigh Strange, che ha lavorato in un magazzino a Breinigsville, in Pennsylvania tra il 2013 e il 2015, ha definito questa pratica come un “metodo di group shaming“. “Se sei la persona peggiore del magazzino”, dice Ashleigh, “lo vieni a sapere. E lo sapranno anche tutti gli altri”. In alcuni magazzini, i lavoratori meno esperti sono automaticamente iscritti automaticamente a corsi di recupero – o vengono richiamati.

La direzione gestisce inoltre anche quelle che i dipendenti chiamano “power hours“, durante le quali i lavoratori sono incentivati da biglietti della lotteria o da dei premi Amazon per lavorare il più velocemente possibile. “Si ottiene una ricompensa irrilevante per lavorare il più velocemente possibile”, dice Charlie. Tutti competono. E questo diventa il nuovo standard”.

I forum online dei lavoratori di Amazon sono pieni di strategie per aumentare artificialmente i tassi di produttività. Un lavoratore ha scoperto che i manager basavano i loro numeri sulla produttività su quanto velocemente iniziava a lavorare dopo una pausa. Lasciando il timer attivato nel suo scanner, poteva ingannare il computer facendogli credere di aver ripreso il lavoro molto velocemente. Altri aumentano il conteggio scansionando rapidamente diversi contenitori di piccoli oggetti.

Questi piccoli trucchi vengono condivisi obliquamente, “come dei segnali codice” (ndt: hobo symbol), dice Charlie. “Un sacco di, ‘Io non lo faccio, ma ho sentito che…’ o, ‘Questo è il modo in cui io non lo faccio'”. Queste strategie circolano tra i reparti fino a quando i manager se ne accorgono, cosa che solitamente fanno. Nel frattempo, le scorciatoie e gli hacks permettono delle brevi pause dal ritmo incessante del lavoro – a volte anche qualcosa di più di semplici brevi pause. Come ha detto un baro professionista prodigioso su Reddit: “Alzo davvero parecchio la mia produzione e poi cazzeggio il resto della settimana”.

Resistere per il capo
In Manufacturing Consent, l’etnografo del lavoro Michael Buroway scrive che i giochi di produttività spesso “nascono da iniziative dei lavoratori, dalla ricerca di mezzi di resistere alla subordinazione del processo lavorativo”. Ma queste fughe temporanee hanno un costo. “Ridistribuendo il conflitto da una direzione gerarchica ad una direzione laterale”, i giochi possono rendere accecare i lavoratori che non riconoscono più i loro avversari comuni.

Geissler, la magazziniera tedesca, ha osservato questo fenomeno tra i suoi colleghi di Lipsia. “Sei in una cosiddetta gerarchia piatta”, scrive, “in cui tutti i pari sono in un siparietto di competizione”. Vedendo l’azienda stessa come un bersaglio troppo complesso e distante, lei e i suoi colleghi indirizzavano il loro malcontento e la loro irritazione verso chi era più vicino – spesso gli uni verso gli altri.

Invece alcuni lavoratori riferiscono di un profondo cameratismo con i propri colleghi. Mentre i manager cercano di promuovere una cultura dello spionaggio, questo non sempre funziona. Il lavoro di Charlie gli impone di correggere gli errori di inventario, compresi quelli causati dalla scansione “creativa” dei suoi colleghi. “Alcuni di noi cercano di correggerli, ma non è davvero una priorità a meno che non si tratti di prevenzione delle perdite” – cioè, a meno che i suoi colleghi non stiano effettivamente rubando prodotti. “I colleghi cercano di coprirsi l’un l’altro, non di denunciarsi a vicenda. Ci aiutiamo a vicenda”.

Nel suo libro di prossima uscita Data Driven: Truckers and the New Workplace Surveillance, la sociologa Karen Levy ha osservato tecniche comparabili utilizzate dai camionisti per eludere il monitoraggio elettronico di bordo. Queste tecniche vanno dal sabotaggio bruto (coprire un registratore di bordo “con un sacchetto di ghiaccio secco e picchiettarli con un martello di gomma”, cosa che non lascia “nessun segno di manomissione” mentre si rompono le “i meccanismi interni solidi” della macchina) all’editing dei dati, all’interferenza del GPS e all’hackeraggio (nel caso di un autista, per giocare al solitario e a Quake sul computer di bordo del camion).

“C’è un valore della resistenza che non sfida lo status quo“, mi dice Levy. “Cose come la formazione dell’identità e la conservazione culturale sono altri motivi per resistere, che si riesca o meno a cambiare il sistema”. I giochi e i trucchi sul posto di lavoro forniscono evasioni dalla monotonia, mentre la loro condivisione tra i colleghi – sia sul posto di lavoro che nei forum online – può favorire un senso di identità condivisa.

Ma, dice Levy, le tattiche di resistenza non rappresentano necessariamente una minaccia per i paradigmi (di sfruttamento) sottostanti; a volte persino li rafforzano. Molte delle evasioni quotidiane osservate tra i camionisti erano volte a eludere le leggi federali che impediscono ai camionisti di guidare più a lungo, per più pericolose ore di guida. Espressioni di autonomia, forse, che vanno comunque a beneficio del capo.

Allo stesso modo, alcune delle strategie messe in atto dai lavoratori di Amazon – in particolare quelle che eludono le precauzioni di sicurezza – consentono loro di lavorare più velocemente. I giochi basati sui tassi di produttività, anche quelli che non sono sanciti dal management, possono avere l’effetto di aumentare la produttività complessiva di Amazon.

Inoltre, Levy mi dice: “Alcuni tipi di resistenza possono diventare una valvola di rilascio per le persone – come il riciclaggio”. O come odiare il tuo capo e scarabocchiare graffiti su di lui sulle pareti del bagno degli uomini. “Ti sembra di aver fatto qualcosa. Dici, ok, è fatta”. In questo modo, la resistenza olia gli ingranaggi del sistema, consentendo una negoziazione quotidiana sul potere e un consenso che previene qualsiasi confronto finale. In alcuni casi, le armi dei deboli non sono semplicemente insufficienti, impediscono l’azione collettiva.

Robot cattivo
Uno dei motivi per cui i lavoratori di Amazon ricorrono a misure di resistenza è di preservare la loro salute in un luogo di lavoro che cerca costantemente di distruggerla. Amazon è costantemente classificata tra i luoghi di lavoro più pericolosi in America – e questi numeri sarebbero molto più alti se i lavoratori segnalassero costantemente i loro infortuni.

“I lavoratori devono raggiungere tassi punitivamente elevati, e ogni azione è misurata in termini di efficienza e qualità”, scrive Martin Harvey, un magazziniere Amazon e studente laureato. “L’impatto di questo processo sui corpi e sulle menti umane è orribile: dolori articolari, tunnel carpale, lesioni alla schiena, ansia e depressione sono tutti aspetti comuni del lavoro”.

“Non c’è modo di fare un lavoro senza essere ‘creativi’ con il ‘Fai il tuo lavoro in sicurezza, fallo correttamente, ma tieni il ritmo”, si legge su un post su Reddit a proposito di una discussione sui rischi per la sicurezza nei centri di distribuzione. E poiché l’imprecisione e l’inefficienza possono costare il lavoro, i lavoratori sono incoraggiati implicitamente a ignorare le regole di sicurezza.

Ashleigh mi dice che ha ignorato spesso i dolori, e lesioni durante il lavoro. “Se ti schiacci il dito in una cassa, trattieni il respiro e continui”, dice, “Perché altrimenti A) troveranno un modo per dirti che è colpa tua o B) se ti fermi e ti lamenti, vai in infermeria e questo avrà delle ripercussioni sui tuoi numeri”.  andare all’ufficio [medico], che influenzerà il tuo tasso”. Sarà poi a discrezione di un manager se la nota dell’AmCare, l’ufficio medico interno di Amazon, sarà sufficiente per darti pace dalle tue statistiche.

Quando subiscono degli infortuni gravi sul posto di lavoro, ha rivelato un’indagine del Guardian, i dipendenti hanno dovuto combattere contro la compagnia assicurativa di Amazon. Michelle Quinones di Fort Worth, Texas, è stata rispedita in magazzino da AmCare almeno dieci volte dopo aver segnalato dolori dovuti al tunnel carpale. Quando il suo polso ha infine avuto bisogno di un intervento chirurgico, la compagnia assicurativa dei lavoratori di Amazon si è battuta contro di lei per oltre un anno prima di pagare per l’intervento.

L’ansia e il forte stress per raggiungere le statistiche richieste sono onnipresenti anche nei forum online e nei gruppi che ho visitato. “Qualcun altro ha incubi e stress per non soddisfare le statistiche?”, si legge in un post con decine di risposte su un subreddit di un magazzino Amazon. “Ho sempre il terrore di andare al lavoro… Odio stivare e non posso migliorare non importa quanto duramente ci provi… Guido verso casa esausto e mi stendo a letto stressato per come farò il giorno dopo. Sono qui da quasi 6 mesi, mi sorprende di essere ancora un dipendente… Amo Amazon, ma poi lo odio. Non ce la faccio e lo stress mi sta uccidendo”.

Alcune risposte offrono strategie per stivare rapidamente, mentre altre discutono di sostanze che aumentano la produttività. “La caffeina mi ha aiutato. Una Red Bull, una Monster rockstar e ora ho di nuovo 5 ore di energia”, dice un operaio. “No, le bevande energetiche ti fanno solo sudare molto di più e causano ansia”, scrive un altro. “Olio CBD… potrebbe aiutare (dopo il lavoro e prima di andare a letto) con lo stress e l’ansia. Non è illegale e non verrà rilevato da nessun test antidroga, non è come il THC”.

Forum pubblici come questi (e molti forum privati altrove su internet) sono spazi di collaborazione in cui l’agitazione – espressioni condivise di rabbia e lamentela – può diventare solidarietà. In un’azienda che è notoriamente parsimoniosa riguardo al Time Off Task, i forum funzionano di fatto come sale di pausa in cui i lavoratori simpatizzano, si lamentano e a volte intraprendono anche azioni collettive.

Ma a volte questi spazi servono anche a razionalizzare le pressioni manifestamente oppressive del luogo di lavoro. I partecipanti dei forum si incoraggiano l’un l’altro a non farsi notare, a combattere nonostante il dolore. “It gets better” è una frase che ritorna spesso. Collaborano su tecniche per chiedere di più al proprio corpo e per eludere le pesanti norme di sicurezza. Sono pochi i consigli su come fare carriera in Amazon; sono perlopiù su come sopravvivere. I veterani consigliano ai nuovi arrivati di rassegnarsi alla monotonia disumanizzante, per non rischiare l’insoddisfazione eterna: abbassare la testa, indossare i paraocchi, lasciarsi trasportare dal flusso. Condividere strategie di sopravvivenza ha l’effetto di normalizzare l’idea che il “lavoro” è qualcosa alla quale si può solo sperare di sopravvivere (appena).

Nel novembre 2018, i lavoratori di Amazon hanno organizzato manifestazioni in tutta Europa all’insegna dello slogan “non siamo robot”. Rispondendo alla protesta, un dipendente Amazon ha scritto su Reddit: “No, ma a volte vorrei esserlo. La vita sarebbe molto più facile e sarei qualcuno con il quale sarebbe molto più piacevole lavorare se non avessi né emozioni né dolore”.

Arterie coagulate
Amazon ha costruito il sistema più avanzato della storia per disciplinare i corpi dei lavoratori. Li trasforma, con la paura e la tecnologia, in parti sostituibili di una singola macchina. “Tutti i dipendenti sono essenzialmente wetware attaccati ai macchinari”, dice Charlie, il magazziniere della Pennsylvania. Lo scopo di questo macchinario è accelerare il tasso di sfruttamento – facendo in modo che una quantità senza precedenti di ricchezza sia espropriata da ogni singolo lavoratore.

L’apparato disciplinare di Amazon isola i singoli lavoratori, incoraggia la concorrenza tra di loro e li consuma fino all’esaurimento e alla rassegnazione – a quel punto molti di loro lasciano. I lavoratori temporanei entrano ed escono a tempo determinato, e i deboli mercati del lavoro assicurano che una nuova forza lavoro sia sempre disponibile. Nei casi in cui si hanno forme di resistenza, spesso si ha solo un momento di conforto – una pausa per il corpo, una fugace sensazione di sfida, o un modo per sfogarsi. Altre volte, come nel caso delle norme di sicurezza, il sistema si affida alle infrazioni delle regole per funzionare.

Tuttavia, l’approccio disciplinare di Amazon indica anche la sua maggiore vulnerabilità: il suo bisogno di velocità. “Nell’immaginario mondiale idealizzato della logistica” – scrive Jasper Bernes – “la produzione è solo un momento in un flusso continuo ed eracliteo; la fabbrica si dissolve in flussi planetari, frammentati in processi modulari e componenti che, separati da migliaia di chilometri, si combinano e si ricombinano secondo i capricci mutevoli del capitale”. Se questa immagine di un flusso senza attrito ha prodotto le pessime condizioni dei magazzini Amazon, offre anche a quegli stessi lavoratori una potenziale punto d’attacco.

Mentre i lavoratori di una fabbrica hanno il potere di rallentare o arrestare la produzione, i lavoratori del settore logistico hanno il potere di bloccare la circolazione, di chiudere i canali attraverso i quali il capitale scorre e conosce sé stesso. Gli scaricatori di porto hanno esercitato questo potere con grandi risultati per un secolo, i loro scioperi funzionano come dei blocchi de facto. E la logistica just-in-time è potenzialmente ancora più vulnerabile alle interruzioni dei lavoratori, poiché non si danno i licenziamenti e le scorte di riserva che in passato avrebbero potuto compensare i blocchi circolatori.

La logistica è allo stesso tempo il sistema circolatorio e nervoso del capitalismo contemporaneo. Amazon prefigura il lavoratore come un condotto senza soluzione di continuità – un neurone e una cellula del sangue – nella libera circolazione delle informazioni e delle merci. Il suo comportamento è minuziosamente calibrato, in ogni momento, per rispondere alle esigenze sempre mutevoli di un sistema mondiale dinamico e idraulico. Se lei e i suoi colleghi si rifiutano di svolgere il loro ruolo in questa operazione meticolosamente coreografata, tuttavia, l’intero sistema si ferma.

Naturalmente, un progetto di questo tipo si basa sul darsi della solidarietà tra i lavoratori Amazon, solidarietà disincentivata dall’apparato disciplinare che li circonda. Significa andare oltre le forme di micro-resistenza che possono anche mitigare gli aspetti più disumanizzanti del lavoro, ma che alla fine vengono accettati senza problemi (se non attivamente incoraggiati) dalla struttura aziendale. 

Coinvolgimento della comunità
Ad oggi, l’unico gruppo di lavoratori di Amazon che sono riusciti a forzare collettivamente una trattativa con l’amministrazione sono quelli del centro di distribuzione di Shakopee, Minnesota, fuori Minneapolis. Con l’aiuto di alcuni sindacalisti dell’Awood Center, un centro per lavoratori finanziato dalla Service Employees International Union, la forza lavoro, prevalentemente somala, ha organizzato una serie di proteste contro un ritmo di lavoro in continua crescita che punisce i dipendenti musulmani praticanti che usano il tempo di pausa per pregare. Il 14 dicembre 2018, al culmine della frenesia del periodo natalizio, quaranta magazzinieri di Shakopee hanno abbandonato il luogo di lavoro.

Queste azioni hanno costretto Amazon al tavolo di trattativa. Hanno accettato di avere dirigenti di lingua somala presenti per i licenziamenti legati alla produttività e di tenere riunioni trimestrali con i lavoratori. Un portavoce di Amazon ha detto al New York Times che “l’azienda non ha visto il suo lavoro con i lavoratori dell’Africa orientale come un negoziato, ma piuttosto come una forma di impegno comunitario simile ai suoi sforzi di sensibilizzazione con i veterani e le dipendenti lesbiche, gay, bisessuali e transgender”.

Ma i lavoratori dello Shakopee non sono alla ricerca di un “impegno comunitario”. Stanno lottando per ottenere cambiamenti, e un maggiore controllo, sulle condizioni del loro lavoro. “I lavoratori stanno usando ogni mezzo possibile per cercare di ottenere lavori sicuri e che investono nelle nostre famiglie e nelle nostre comunità”, afferma Abdirahman Muse, direttore dell’Awood Center.

Durante il turno di notte del 7 marzo 2019, circa una trentina di stivatori di Shakopee hanno messo in scena un altro sciopero, tornando al magazzino dopo tre ore con un elenco delle richieste. “Oltre a chiedere un ‘finirla con tariffe inique che costringono a commettere errori e le terminano carriere”, riferisce Labor Notes, “hanno chiesto Amazon di smettere di impiegare dipendenti temporanei, di ‘smettere di contare le pause di preghiera e per il bagno nel conteggio delle statistiche di produttività’ e di fare una migliore manutenzione delle attrezzature che portano a delle lesioni più frequentemente”. [Il 16 luglio 2019, durante il primo dei due giorni del Prime Day, i manifestanti di Shakopee hanno fatto un altro blocco per protestare rispetto alle condizioni di lavoro.]

Certamente i lavoratori di Shakopee hanno tratto beneficio da un mercato del lavoro ristretto. In Minnesota, Amazon non può basarsi esclusivamente su spreco e fatturato per risolvere i suoi problemi rispetto al lavoro. Hanno anche beneficiato di legami culturali e comunali preesistenti che hanno fornito un terreno fertile per costruire la solidarietà sul posto di lavoro. “Una cosa da sapere sulla nostra comunità è che parliamo molto al telefono e chiacchieriamo per un caffè”, dice Muse al New York Times. “Questo facilita l’organizzazione”. Fondamentalmente, tuttavia, i lavoratori hanno avuto successo perché hanno fatto insieme azioni su larga scala – azioni che rappresentano una vera e propria minaccia per gli obiettivi di produttività di Amazon, per il flusso di merci senza frizioni e, di conseguenza, per i suoi profitti.

Il fatto è che organizzare al di là della resistenza quotidiana è difficile. Così come lo è superare la paura all’interno di un sistema progettato per ispirarla, e sviluppare legami solidi quando il lavoro richiede durezza. Amazon ha già iniziato a reagire contro i lavoratori che partecipano a proteste su piccola scala. Senza dubbio intensificheranno i loro sforzi se i disordini su larga scala cominciano a espandersi. L’esperienza di Shakopee suggerisce che la mobilitazione delle reti di lavoratori al di fuori del magazzino è una parte necessaria della strategia. Magazzini pieni di migliaia di operai possono amplificare l’impersonalità e l’isolamento; il quartiere invece può offrire un luogo più promettente per l’organizzazione.

E anche i forum online, come quelli che ho consultato per questo pezzo, possono essere un luogo dove si coltiva la solidarietà e la strategia. “Non riceviamo un aumento se non possiamo organizzare qualcosa di drastico”, scrive un operaio nel febbraio 2018 sul subreddit del magazzino Amazon, “come colpire durante la Prime Week in tutta la rete. Sto parlando di rappresentanza in tutti i turni (di giorno e di notte), in tutti i reparti”.

In risposta, un altro lavoratore ha postato: “Divertente, qualcuno ha scritto ‘Amazon ha bisogno di un sindacato’ in ‘voce del consiglio di amministrazione dei soci’. Il giorno dopo è stato cancellato senza alcuna risposta”.

(Traduzione di Clara Mogno)

Versione in inglese: Surving Amazon, Logic, issue 8, 3 agosto 2019.

 

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  1. ndt:  Heike Geißler, Saisonarbeit, 2014 

  2. ndt: James C. Scott, Weapons of the Weak: Everyday Forms of Peasant Resistance, 1985 

  3. ndt: contributo pensionistico definito nel sotto-paragrafo 401(k) dell’Internal Revenue Code