di BEPPE CACCIA.
Inizia il trasloco nella “fortezza”: arredamenti e archivi, mezzi e uomini all’interno della nuova Eurotower, la sede della Banca Centrale Europea, realizzata nel quartiere di Ostend, l’area dei vecchi mercati generali di Francoforte. Metafora calzante di uno spazio urbano che si converte, verticalizzandosi, dallo scambio di beni materiali al governo dei segni valutari della finanza. Il costo finale di quest’opera faraonica supererà 1 miliardo e 300 milioni di euro, con un aggravio di oltre 350 milioni rispetto al preventivo iniziale. E molte risorse sono state spese per misure di sicurezza: già oggi, oltre a sofisticati apparati tecnologici, un vero e proprio fossato protetto da alti reticolati in filo spinato cinge il grattacielo, restituendo davvero l’immagine di una post-moderna roccaforte medievale. E mentre la “fortezza” si predispone a ospitare la corte dei custodi della stabilità monetaria, si rincorrono le voci più disparate sulla data per le cerimonie ufficiali d’inaugurazione, previste “in un qualche momento” della primavera 2015. L’imbarazzo per un’autocelebrazione da tenere in faccia a milioni di europei impoveriti dalle politiche della Troika e un po’ di pre-tattica di fronte alle annunciate proteste, ribattezzate come Day X, alimentano l’incertezza.
Ma questa non fa demordere la coalizione, tedesca e internazionale, che ha raccolto movimenti sociali, associazioni e organizzazioni non governative, partiti e sindacati a Francoforte (e poi nel resto d’Europa) intorno alle mobilitazioni di Blockupy negli ultimi due anni e mezzo. E infatti si apre oggi proprio nella città della Banca Centrale il Blockupy Festival, organizzato in concomitanza con l’annuale European Finance Week, una specie di fiera degli attori pubblici e privati che si muovono sul palcoscenico della finanza globale, testimonianza palpabile del fatto che i flussi immateriali del denaro sono orientati da un’oligarchia in carne e ossa. Quello dei movimenti è un’inedita combinazione di momenti di discussione ed elaborazione comune (incontri pubblici, gruppi di lavoro e confronti plenari all’insegna dell’hashtag #talk), occasioni di festa (#dance) e azioni di piazza (#act) che culmineranno nella manifestazione di sabato 22, con visita ai cancelli della nuova Eurotower. Tutto il programma è consultabile qui: www.blockupy.org/en/festival2014.
Appuntamento importante, che cade in un momento di passaggio nelle politiche europee di gestione della crisi. Sembrano lontani i tempi dell’emergenza monetaria, anche se i fattori d’instabilità che la generarono sono ancora tutti lì, in agguato. Ma, contemporanemente, la retorica della “competititività” e del “rigorismo flessibile”, suggellata dall’insediamento della Commissione Juncker ai vertici dell’Unione, pare accompagnare una sorta di normalizzazione delle politiche di austerity, che ambisce a congelare il disequilibrio nei rapporti di forza sociali dati e l’estrema polarizzazione nella distribuzione della ricchezza, stabilizzando condizioni di precarietà e di estrazione di profitto e rendita dalla povertà dei molti. Su questo punto le oligarchie convergono, nonostante la permanente tensione nelle élite continentali tra i vertici della stessa BCE e settori di governi (primo fra tutti quello tedesco) più rigoristi. Si determina così una paralisi di fatto dello stesso ciclo economico, che continua a regalare terreno alla montante marea dei populismi reazionari e razzisti.
Grandi pericoli, ma anche scenari ricchi di potenziali opportunità. A partire da un panorama sociale tutt’altro che pacificato: oltre allo sciopero sociale italiano che si proietta verso la giornata del 12 dicembre, ce lo ricordano le piazze di Bruxelles contro i “sacrifici”, quelle d’Irlanda per l’acqua, le lotte studentesche in Grecia, quelle ambientali in Francia, gli scioperi nei trasporti (pur se limitati da approcci spesso corporativi) in Germania. Ma anche le crepe aperte sul terreno istituzionale dall’irruzione del fenomeno Podemos in Spagna e le aspettative che stanno maturando intorno a una probabile vittoria elettorale di Syriza.
Ma quest’ultime due aperture rischierebbero di risultare rapidamente accerchiate e di richiudersi, se non assumessero respiro europeo. Così come la potente allusione dello sciopero sociale resterebbe al palo, se non riuscisse a essere tradotta in forme e linguaggi comprensibili su scala continentale. Certo tenendo conto della compresenza di elementi di omogeneità ed eterogeneità nello spazio europeo, ma facendo di tali elementi, finora giocati per dividere, altrettante leve di forza. Come provare dunque a essere efficaci nel costruire un riequilibrio nei rapporti di forza sociali? E come tentare di invertire la tendenza a favore di quanti vogliano mettere in questione l’esistente e costruire alternative di sistema? È una nuova “narrazione” che manca mentre i nostri due avversari, i populisti nazionalisti e gli oligarchi continentali – per quanto non così forti come potevano apparire qualche mese fa – possono contare sulle loro. E se ne servono come dispositivi di soggettivazione politica passiva del proprio spazio di consenso, costruendo ciascuno il proprio “blocco sociale” a partire dall’estrema individualizzazione societaria. Un’operazione che, nel contesto italiano, si sta provando a rovesciare proprio con il disvelamento, semantico e pratico, attuato dal dispositivo “sciopero sociale”, iniziando a delineare i contorni di una coalizione possibile dei differenti frammenti del lavoro vivo contemporaneo, precarizzato e impoverito. Per questo, su scala europea, esperienze di alleanza tra diversi soggetti sociali e politici come Blockupy sono tanto rare quanto fondamentali, blocchi di partenza decisivi ma in sé insufficienti nella fase nuova, e rischiosissima, che stiamo attraversando. Ed è precisamente della cura e della crescita di “spazi ibridi” capaci di ricombinare, in termini affatto originali, una pluralità di piani d’azione, di forze e di linguaggi, nella costruzione di una prospettiva necessariamente articolata e multi-livello dell’alternativa, che avremmo oggi bisogno.
Tutte domande aperte che saranno al centro del dibattito che coinvolgerà centinaia di attiviste e attivisti al Blockupy Festival. E le prime risposte a esse non potranno che scandire il percorso verso il Day X. Perché, in fondo, la questione delle questioni è quella efficacemente sintetizzata dall’appello per la mobilitazione a Francoforte: come mettere insieme tutti quelli che intendono agire pensando che “loro vogliono capitalismo senza democrazia, mentre noi vogliamo democrazia senza capitalismo”.
*pubblicato ne il Manifesto del 20 novembre 2014.