di ROJAVA RESISTE.

Riprendiamo dai compagni di Rojava Resiste questa analisi sul presunto “anti-imperialismo” di Assad

Cercheremo di non farla troppo lunga. Ma vogliamo essere chiari.
Nella logorante epoca del conflitto asimmetrico, le geometrie variabili e le guerre coperte ci hanno logorato a lungo, non potendo trovare di fatto un punto di riferimento, un’esperienza che avesse il coraggio di dichiararsi rivoluzionaria e di netta rottura. La sconfitta storica degli eserciti di liberazione e delle opzioni gradualiste ha lasciato spazio a fedeltà che hanno il sapore della mitologia: come se bastasse dichiararsi contro gli Stati Uniti per ottenere la patente di “anti-imperialista”.

Nel contesto medio orientale l’asimmetria mostra tutta la contraddizione di questo approccio “mitologico” alla geopolitica: non solo nella difesa, al tempo delle rivolte per il pane (mediaticamente chiamate Primavere arabe in occidente), di regimi autoritari che avevano ormai avuto tutto il tempo di mostrare il loro triplice volto, familista, militarista e radicalmente gerarchico; ma soprattutto adesso, che la guerra civile siriana è ormai divenuta l’epicentro della polveriera e la coppia Assad-Putin viene interpretata da una parte del fronte cosiddetto “anti-imperialista” come l’unico baluardo non solo a Daesh, ma anche e soprattutto alla temuta egemonia Usa e dell’alleato fronte sunnita. Come se Mosca non portasse avanti la tradizionale e storica politica di potenza (perseguita anche ai tempi dell’Urss) nell’area; come se Assad non avesse prima appoggiato le guerre americane contro l’odiato Saddam, poi favorito la nascita della rete jihadista in funzione anti-Usa dopo il 2003. Come se gli Assad (padre e figlio) non avessero perseguito politiche ispirate al più profondo nazionalismo razziale.

Seguendo il suggerimento dei Wu Ming, utilizziamo analisi storica ed economia politica contro la mitologia di questi neo-stalinisti. L’unica opzione politica, ora pesantemente sotto attacco, che propone una rivoluzione completa dei rapporti di dominio, sociali e regionali, un ribaltamento del ruolo storico delle fonti energetiche, un patto sociale non fondato sull’identità etnica o religiosa è il confederalismo democratico dell’autoproclamata Federazione del Nord Siria – Rojava. Putin, oltre a sostenere uno dei regimi più brutali della regione, non persegue altro interesse che l’indebolimento dell’avversario e il rafforzamento della propria posizione geopolitica, dopo lo stallo della crisi ucraina. Lo dimostra il recente riavvicinamento alla Turchia di Erdogan: dal fallito golpe militare del 15 luglio, con l’accelerazione del proprio fallimentare progetto neo-ottomano, ha deciso di mettere da parte le “incomprensioni” degli ultimi due anni e ha riavviato le trattative per il Turkish Stream (l’ambizioso progetto di gasdotto che renderebbe la Turchia la porta d’accesso del gas russo nel Mediterraneo); le rotte del gas sono nei territori che gli irregolari russi hanno aiutato i lealisti assadiani a riprendere. Un imperialismo più rossobruno, meno a stelle e strisce? Può darsi, ma sempre imperialismo è.

Ad Assad e Putin non interessa Daesh. Esattamente come agli americani. L’asimmetria alimenta il pantano come unica visione tattica di breve periodo, senza strategia. Allo stesso modo, le geometrie variabili non rendono stabili alleanze e inimicizie, tranne i progetti storici ereditati dai tradizionali appetiti geopolitici. Dal pantano e dall’instabilità, il progetto confederale emerge parlando molte lingue e superando gli aggettivi etnici; soprattutto, tenta di edificare un assetto sociale capace di superare attuali rapporti gerarchici, razziali e sub-imperiali.

Questa è progettualità politica anti-imperialista, il resto è mitologia, frutto di una profonda crisi delle culture politiche e dell’incapacità di orientarsi nella complessità attuale. Una confusione che porta ad alleanze improbabili, ma non per questo “contronatura”. Basta leggere le polemiche delle ultime settimane:

  • neo-stalinisti, Forza Nuova e noti neofascisti uniti nel sostegno politico ad Assad e Putin;
  • l’irruzione dei neonazisti al Maxi di Roma, dove era in esposizione una mostra sulle torture nelle carceri siriane, leggendo un comunicato che conteneva frasi assai simili a quelle scritte da una nota band che speriamo non vedere più nei nostri spazi sociali, come la Banda Bassotti (divenuta simbolo di questo “anti-imperialismo” rossobruno nato in certi ambienti della sinistra comunista);
  • la comune accusa ai curdi e ai loro sostenitori di essere filo-americani, per non parlare di chi denuncia la brutalità dell’assedio di Aleppo messo in atto dai lealisti e dall’aviazione russa.

Questa alleanza non dichiarata, ma di fatto, per quanto ci riguarda chiude definitivamente la questione.

È finito il tempo il cui l’internazionalismo aveva padroni e patrie nobili: oggi ripartiamo dalla concretezza di chi, nel fronte di tutte le contraddizioni della crisi globale, oppone un’opzione reale alternativa a tutti gli interessi e gli imperialismi, a tutti i fascismi e gli integralismi. Uomini e donne che ci hanno chiesto di non chiamarle “maestri”, ma fratelli, sorelle e compagni.

in appendice, segnaliamo questa inchiesta di Lorenzo Declich postata su Vice: “Perché sia i neofascisti che una parte di estrema sinistra in Italia sostengono Assad”

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