Di GIOVANNA FERRARA
Sembra un manuale di smontaggio in questo presente funestato dalla seconda ondata di Covid, l’ultimo lavoro dell’economista Giuseppe De Marzo, Radical choc. Diritto alla salute, collasso climatico e biodiversità (Castelvecchi, pp. 80, euro 10) che ripercorre con precisione le ragioni e i motivi della crisi sanitaria e sociale, anticipando la dolorosa attualità di molte delle domande sospese: sul perché non si sia fatto niente per invertire, dalle cause, la rotta degli eventi che avanza a grandi falcate verso il collasso.
Ne esce fuori il ritratto impietoso di questo mondo, con l’idiozia dei suoi 40 mila chilometri di filo spinato a blindare la roccaforte dell’occidente e un virus che spara la sua luce accecante su come abbiamo male interpretato il nostro ruolo di esseri viventi sulla terra. Quello che si afferma è l’assioma da mandare a memoria e non dimenticare più: il Covid- 19 è l’effetto prevedibile di una errata percezione di noi stessi, per parlarne filosoficamente, di una cattiva allocazione «nel metabolismo del pianeta» per dirla con il vocabolario della biologia.
Un certo tipo di modello economico si è imposto su quello ecologico, non è un’opzione quanto piuttosto l’alfabeto delle cose. L’umano ha male interpretato il suo ruolo, facendo deflagrare, con un atteggiamento egocentrico, il principio di conservazione delle risorse che è condizione dell’esistere comune, evidenzia De Marzo, utilizzando studi autorevoli, da più di una disciplina. Dai riferimenti letterari alle parole sulla «comunità della giustizia» di Gudynas, direttore del centro latino-americano di ecologia sociale. Dalle denunce dell’organizzazione mondiale della sanità ad alcuni studi recenti come quello di Harvard sulla diretta correlazione tra diffusione del virus e inquinamento, corroborato da ricerche di molte università italiane sull’anomalia lombarda che fa di Bergamo uno dei centri più colpiti al mondo.
C’è una stretta correlazione tra l’esplosione del contagio e i livelli di polveri sottili, doppi rispetto alla soglia massima prevista nel comune di Milano nei primi mesi del 2020 (l’Italia lo scorso anno è stata deferita alla Corte di Giustizia europea per aver violato le norme antismog). «A norma di legge le città che avevano superato i limiti si sarebbero dovute fermare e la politica avrebbe dovuto programmare una transizione ecologica per tutelare il diritto al lavoro e il diritto alla salute, investendo nelle alternative già disponibili da decenni», ricorda De Marzo.
INVECE L’EPILOGO di queste mancanze ora è cronaca di un numero impronunciabile di morti, sui cui corpi si sommano i diversi assi di colpa assemblati in uno sconsiderato governo del mondo: il virus, nato nell’ambito delle trasmissioni zoonotiche favorite dalla distruzione delle biodiversità, si diffonde nelle aree maggiormente inquinate; le società vi fanno fronte con sistemi sanitari depotenziati dalle privatizzazioni e senza adeguate garanzie economiche e sociali. A un sistema di competizione va sostituito uno di cooperazione. A un sistema di estrazione di risorse vanno opposti ripensamenti di cicli di produzione che mettano al bando il concetto di «scarto». Un sistema monopolizzato dall’economia deve cedere il passo ad uno che si ispiri all’ecologia. Equità sociale e sostenibilità ecologica, più che opzioni sembrano le uniche strade possibili.
Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il 10 novembre 2020.